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N. 101 - Maggio 2016 (CXXXII)

QUANDO LA CULTURA DIVENTA UN’ARMA
ALLE ORIGINI DEI NAZIONALISMI 

di Ilaria La Fauci

 

Il nazionalismo è un fenomeno che ebbe radici nel Settecento, si sviluppò nell’Ottocento e si estese nel Novecento. I più grandi imperi dell’età moderna, quello austriaco (austro-ungarico dal 1867) e quello ottomano, subirono una crisi graduale, fino al crollo nel 1919, a causa delle spinte indipendentiste di sempre più numerosi movimenti nazionalisti. Ma quando e perché i popoli decisero di ribellarsi ad una sottomissione che durava da secoli? Si trattò di una sorta di circolo vizioso: alcuni popoli scoprirono la loro storia di “paese unito” e poi inglobato dall’impero; altri, in vista delle pretese di questi ultimi e in virtù di un’unità religiosa e/o linguistica, decisero di conquistare uno spazio in cui vivere insieme nel futuro.

 

Durante l’età medievale, le chiese, unici luoghi di acculturazione, diventarono teche in cui custodire la storia dei popoli: lo scriba copiava testi ricchi di narrazioni sugli antenati dei magiari, dei polacchi, degli italiani, dei croati, dei tedeschi, etc. Tale lavoro venne compiuto passivamente, poiché fu ritenuto una forma di lavoro manuale come lavorare la terra, motivo per cui i testi non vennero consultati.

 

In epoca moderna, l’alfabetizzazione degli strati sociali inferiori fu ritenuta altamente nociva: avrebbe potuto svegliare istinti di emancipazione individuale che di riflesso, dopo aver preso coscienza di appartenere ad una società, si sarebbero tramutati in emancipazione nazionale. Con la Riforma Protestante tale sospetto fu confermato: molte identità linguistiche ed etniche stavano per fiorire, ma furono frenate, mediante la Controriforma, dal rinnovato obbligo d’uso del latino e del tedesco come uniche lingue amministrative e culturali. Nei paesi protestanti (come Inghilterra, Paesi Bassi e alcuni cantoni della Svizzera) l’istruzione elementare entrò in vigore molto tempo prima che nell’Europa Cattolica e ciò favorì la precoce industrializzazione e l’ammodernamento politico, spezzando l’assolutismo e affermando l’idea del popolo che concede potere al Parlamento (Patto del popolo, 1647).

 

Con l’Illuminismo l’attenzione si spostò sul singolo individuo, mostrando il ruolo fondamentale della ragione, i diritti che possiede in qualità di essere umano appartenente ad un gruppo sociale. Uno degli obiettivi da raggiungere in Europa fu proprio ciò che secoli prima si temeva: l’alfabetizzazione (ovvero saper leggere, scrivere e far di conto). Nel 1774 l’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo compì un’azione che ben presto si ritorse contro il suo stesso impero: emanò l’ordinanza Ratio Educationis, una riforma scolastica secondo cui ogni parrocchia dovette dotarsi di una scuola elementare, le città principali di una scuola superiore e ogni capitale di un istituto di preparazione per gli insegnanti. La “cultura della parola” prese il sopravvento sulla “cultura delle immagini” e, da una cultura fondata sull’oralità, pian piano si passò ad una cultura fondata sulla scrittura.

 

Fin dalle origini l’impero austriaco e l’impero ottomano nacquero come “stati plurinazionali”: tali pressioni furono sempre più forti e finalizzate ad ottenere l’autonomia, in virtù del passato medievale che i popoli cominciarono a leggere nei testi conservati (o forse dovremmo dire nascosti?) nelle biblioteche. Il significato di “Nazione” in Occidente e in Oriente fu diverso: nel primo caso si intese un’unità territoriale simile allo Stato moderno; nel secondo caso invece si intese un legame di sangue indipendente dal luogo, motivo per cui i nazionalisti del mondo orientale puntarono ad unirsi con chi avesse la stessa lingua o religione (ad esempio gli ungari e i croati difendevano antichi privilegi e diritti che li accomunavano). Tali movimenti si imposero pretendendo parità per l’uso delle lingue nella vita pubblica all’interno dell’impero, il che rese il parlamento ingovernabile. È vero che agli imperi interessava che le persone sapessero leggere e scrivere per rispettare le leggi e i decreti, gli orari e le regole delle industrie così da ottimizzare la produttività; ma non capirono cosa tutto ciò potesse comportare dal punto di vista sociale e politico. Il Romanticismo sostenne l’idea che il singolo individuo avesse dei diritti; l’unione di queste componenti implicò la nascita dell’ideale di Nazione con diritti inalienabili, che incoraggiò la Primavera dei Popoli nelle rivoluzioni del 1848-1849, e del Nazionalismo Romantico: ribellandosi al potere imperiale, gli esponenti diedero spazio alla lingua, al folklore, ai valori, alle tradizioni locali/nazionali, in vista di una possibile “autodeterminazione”.

 

L’impero austro-ungarico contava diversi gruppi nazionali, tutti accomunati da personaggi-simbolo delle idee che si affermarono grazie alla diffusione dell’istruzione: serbi, croati, rumeni, magiari, tedeschi, cechi, slovacchi, polacchi, sloveni e italiani. Lo scrittore serbo Kostić Laza fece parte dell’Omladina, un’associazione patriottica che univa i serbi assoggettati all’impero; simile fu la Narodna odbrana, una società nazionalista antiaustriaca, famosa per essere accusata di aver progettato l’attentato di Sarajevo. Il politico e scrittore Ljudevit Gaj codificò una lingua croata (Kratka osnova horvatsko-slavenskog pravopisanja): la lettura dei testi presenti nelle biblioteche dei monasteri fece emergere il diritto storico della Croazia di essere restaurata come Stato indipendente; pubblicò anche un libro patriottico, Još Hrvatska ni propala, e, attraverso vari periodici, nel 1835 nacque il Movimento Illirico: inizialmente fu un movimento culturale, ma successivamente assunse importanza dal punto di vista politico e l’obiettivo divenne l’unificazione culturale degli slavi del sud, con al centro la Croazia, reminiscenza dell’esperienza unitaria sotto Napoleone. Da quest’ultimo movimento si sviluppò il Trialismo: movimento tendente all’unione degli slavi del sud in un impero federale tripartito (tedesco, magiaro e croato). I rumeni rivendicarono la loro origine latina, che scoprirono nel XVIII secolo attraverso la chiesa cattolica della Transilvania: nel 1881 fondarono il Partito Nazionale Rumeno, il quale puntava all’autonomia della Transilvania e alla parità dei diritti con i magiari. I magiari ebbero il loro simbolo in Lajos Kossuth: fondò il giornale liberale Pesti Hirlap per diffondere le idee nazionaliste dei moti rivoluzionari.

 

I tedeschi rivendicarono il loro ruolo storico, all’interno dell’impero, nel 1880, fondando il Partito Pangermanista finalizzato all’unione di tutti i popoli di lingua tedesca: ebbe origine con il filosofo Johann Gottlieb Fichte e lo storico e poeta Ernst Moritz Arndt, i quali spinsero i tedeschi al risveglio politico. I cechi, nel Medioevo, abitarono nei territori della corona di San Venceslao, ovvero in Boemia, Moravia e nella Slesia austriaca; in Boemia fondarono nel 1881 un teatro e nel 1882 l’università. Insieme agli slovacchi crearono il Movimento Panslavista: lo scopo era unirsi al mondo slavo e russo contro le popolazioni germaniche e latine; i popoli slovacchi, solo dopo la nascita di una loro lingua, concepirono il concetto di “Slovacchia” e l’idea di una possibile autonomia. I polacchi della Galizia, attraverso il Partito Conservatore, combatterono affinché il governo austriaco accettasse che la loro lingua diventasse ufficiale e che le università di Cracovia e Leopoli venissero “polonizzate”. Le scuole furono usate come strumenti di omologazione linguistica e nazionale: in Ungheria chi accettò la lingua magiara fu trattato alla pari dei magiari, in caso contrario venne represso. Gli sloveni cominciarono a studiare il loro passato locale, da cui derivò un patriottismo territoriale e il tentativo di costruire un’identità nazionale, come quella slava teorizzata nel trattato sul nazionalismo romantico sloveno del drammaturgo e storico Anton Tomaz Linhart; nel 1848-’49 il movimento liberale si rivoltò per attuare il programma “Slovenia Unita” (unione delle terre austriache abitate da sloveni). Tra i partigiani italiani si può ricordare Guglielmo Òberdan, uno studente d’ingegneria irredentista che sostenne la causa di Trieste libera dall’impero nei moti rivoluzionari di fine Ottocento.

 

Anche nell’impero ottomano possono essere ravvisati movimenti simili a quelli dell’impero austro-ungarico. In Albania si originò il “Rilindja”: un rinascimento ideologico che permise la costruzione di un’identità albanese autonoma dal dominio turco, i cui scrittori furono anche partigiani del Movimento Indipendentista albanese. I greci sognarono di distaccarsi dall’impero ottomano e restaurare l’impero bizantino: seguendo la Megali Idia, tutti coloro i quali parlassero il greco avrebbero dovuto riunirsi in un unico grande impero. In Bulgaria, il presbitero e santo Paissij Hilendarski, dopo anni di ricerche e viaggi, scrisse un’opera, l’Istorija Slavjanobolgarskaja, in cui celebrò le glorie dell’impero medievale e che diventò un punto di riferimento per i bulgari per la rivendicazione d’indipendenza entro i confini originari: celebre fu la frase: «Perché ti vergogni di chiamarti Bulgaro?», da cui emerge la spinta al popolo bulgaro ad opporsi all’ellenizzazione del clero; venne creata una chiesa autocefala che univa tutti coloro i quali si sentissero bulgari: la scelta religiosa diventava una scelta nazionale.

 

Tali movimenti non coinvolsero la Russia, nonostante lo zar fornisse aiuti militari all’impero austro-ungarico favorendone la monarchia, poiché venne impedito che notizie di rivoluzioni trapelassero nell’impero. Caterina II di Russia censurò lo scrittore Aleksander Radiscev, autore di un romanzo in cui illustrava la realtà misera in cui versava la massa contadina a San Pietroburgo e a Mosca, a differenza dei nobili corrotti; la censura derivò dalla paura che potesse emergere l’ideale rivoluzionario della sovranità appartenente al popolo, motivo per cui lo scrittore venne condannato a morte per regicidio e tutti i successivi dissidenti furono esiliati.

Nel 1919, a Versailles, venne enunciato il principio di autodeterminazione dei popoli: un popolo sottomesso ad una dominazione straniera (in teoria) avrebbe potuto scegliere, attraverso dei plebisciti, di ottenere l’indipendenza o unirsi ad un altro Stato esistente. Nella pratica, tale decreto ebbe valenza effettiva a partire dal 1945, quando l’Organizzazione delle Nazioni Unite promosse lo sviluppo di «relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'auto-determinazione dei popoli» (Carta delle Nazioni Unite, capitolo I, articolo 1, paragrafo 2), tracciando nuovi confini territoriali particolarmente simili a quelli dell’età medievale, riscoperti nell’Ottocento dal “nuovo” popolo istruito e che fomentarono i moti rivoluzionari: l’istruzione si dimostrò un’arma inaspettatamente potente che, nell’arco di un secolo, permise di ridefinire gli assetti geopolitici dei vecchi imperi.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Geraci M., Prometeo in Albania. Passaggi letterari e politici di un paese balcanico, Catanzaro, 2014.

Hinrichs E., Alle origini dell’età moderna, Roma, 2013.

Mason J.W., Il tramonto dell’impero asburgico, Bologna, 2000.

Pitassio A., Storia dell’Europa Orientale, Perugia, 2011.



 

 

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