[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

182 / FEBBRAIO 2023 (CCXIII)


medievale

LA CROCIATA DI FEDERICO II

Un’alternativa alla “Guerra Santa”

di Lucio Orecchioni

 

Fra tutti gli eventi accaduti nei circa mille anni dell’Età di Mezzo, le Crociate sono quelli sicuramente più conosciuti, mitizzati e rielaborati fino ai giorni nostri anche negli agoni politici. Una lettura molto superficiale di questo fenomeno porta spesso a immaginare uno scontro di civiltà tra cristiani e musulmani, con il rischio – purtroppo concreto – di incoraggiare movimenti suprematisti e attentati terroristici da entrambe le parti.

 

In effetti, è difficile non pensare al Medioevo senza associarlo all’immagine di un cavaliere cruce signatus che, da solo o al seguito di altri compagni, decide di raggiungere Gerusalemme per liberarla dai malvagi Saraceni: persino nel Cinquecento, quando ormai l’epopea della cavalleria è solo un ricordo, autori quali Ariosto e Tasso riprendono tali tematiche molto care agli ambienti cortigiani.

 

Anche nell’attuale cultura pop occidentale permane questa immagine prettamente romantica dell’eroe crociato senza macchia e senza paura, a parte alcune eccezioni, come il film Kingdom of Heaven (uscito in Italia come Le Crociate) di Rydley Scott: l’opera cinematografica mostra, pur con le dovute ricostruzioni e semplificazioni, le contraddizioni e la mancanza di scrupoli che contraddistinguevano alcuni condottieri cristiani; non a caso, esso esce nelle sale qualche anno dopo il terribile attentato alle Torri Gemelle a New York dell’11 settembre, evento che portò l’allora Presidente George W. Bush Jr. a dichiarare guerra all’Afghanistan e all’Iraq, utilizzando un linguaggio che legittimava l’idea di una “guerra giusta”: i risultati di questa tragica guerra li conosciamo più che bene, e non sarà in questa sede che li tratteremo.

 

Facendo un salto indietro di molti secoli, le Crociate furono indette ufficialmente nel 1095, durante il Concilio di Clermont-Ferrand da papa Urbano II, il quale intimò a buona parte della nobiltà cristiana di prendere le armi contro i Turchi Selgiuchidi e recuperare la città santa per eccellenza, Gerusalemme.

 

Furono molti a rispondere alla chiamata: non solo i figli cadetti di feudatari che, per motivi di successione, non avevano ereditato alcun pezzo di terra e spesso indulgevano in attività poco lecite per accaparrarsi un po’ di ricchezze; ma anche popolani, eremiti e monaci infervorati, decisero di intraprendere questo pellegrinaggio verso la Palestina; l’eremita Pietro d’Amiens si mise a capo della cosiddetta “crociata dei poveri”, un movimento costituito perlopiù da uomini di basso ceto, male organizzati e per nulla preparati al grande viaggio verso l’Oriente; dopo un lungo peregrinare costellato di massacri e violenze nei confronti delle comunità ebraiche tedesche, essi giunsero in Terra Santa, per poi essere trucidati dai Selgiuchidi.

 

La Prima Crociata era guidata dal condottiero francese Goffredo di Buglione, insieme ad altri cavalieri del calibro di Boemondo d’Altavilla e Raimondo IV di Tolosa; costoro, partiti nell’agosto del 1096 seguendo itinerari diversi, si congiunsero a Costantinopoli l’anno successivo. Dopo una lunga serie di battaglie e assedi di piazzeforti quali Edessa e Antiochia, i crociati arrivarono nel giugno 1099 davanti alle mura di Gerusalemme. Questa fu sottoposta a un lungo ed estenuante assedio per entrambe le parti, conclusosi tra il 13 e il 15 luglio: prese d’assalto le estremità meridionali e settentrionali della città, i crociati vinsero la resistenza dei difensori, abbandonandosi a un cruento massacro; secondo cronisti sia musulmani che cristiani, anche le donne e i bambini furono vittime delle spade crociate.

 

Conquistata la città santa per eccellenza, i principali condottieri della spedizione diedero vita ai cosiddetti “Stati Crociati”, o “D’Oltremare”: il regno di Gerusalemme, la contea di Edessa, di Tripoli e il principato di Antiochia. Tale sconvolgimento geopolitico attirò un gran numero di mercanti veneziani, pisani e genovesi nei principali porti della regione, contribuendo ad aprire o a potenziare le rotte commerciali con l’Oriente, da cui provenivano spezie e ricchezze. Tuttavia pochi decenni dopo avvenne la riscossa del mondo musulmano: inizialmente diviso tra principati litigiosi durante la calata cristiana del 1096-1099, era riuscito a opporre una scarsa resistenza agli invasori.

 

Ma alla fine del 1144, Imad al-DinZengi, signore di Aleppo e di Mosul, cinse d’assedio la città di Edessa, conquistandola e saccheggiandola un mese dopo; la notizia della caduta della capitale di uno dei regni crociati raggiunse Roma, provocando scoramento e sdegno nel papa Eugenio III. Nella sua bolla “Quantum praedecessores” emessa il 1° dicembre 1146 rinfocolò il ricordo delle glorie della spedizione del 1096-1099, affermando la necessità di un nuovo intervento militare in Terrasanta da parte di una nuova generazione di cavalieri.

 

Fu così che venne indetta la seconda Crociata, destinata però a un effimero successo; allo stesso modo accadde per le successive spedizioni: nel 1187 Gerusalemme venne riconquistata dal sultano ayyubbide Salah AdDin, fornendo il pretesto migliore per indire un terzo pellegrinaggio armato. Sebbene vi avessero preso parte personaggi di spicco quali Riccardo Cuor di Leone e Federico I Barbarossa, rispettivamente re d’Inghilterra e Sacro Romano Imperatore, anche questa crociata si risolse in un nulla di fatto. Allo stesso modo accadde per la quarta e la quinta crociata: nel 1204 il doge di Venezia Enrico Dandolo fece persino deviare le truppe cruce signate verso Costantinopoli, saccheggiandola e conquistandola.

 

Fu nel 1227, nell’ambito della Sesta Crociata, che qualcosa cambiò. Indetta da papa Gregorio IX, a essa partecipò Federico II Hohenstaufen, nipote del Barbarossa e, come lui, Sacro Romano Imperatore; figlio di Enrico VI e di Costanza d’Altavilla, il giovane Hohenstaufen era cresciuto in una Palermo multietnica, dominata dalla forte presenza della cultura musulmana e della lingua araba anche a corte, frutto delle politiche di tolleranza e di convivenza pacifica attuate dai sovrani normanni (in particolare da Ruggero II, suo nonno materno.)

 

A causa di impegni dovuti all’amministrazione del Sacro Romano Impero e della Sicilia (di cui lo Svevo aveva conservato il titolo regio) la partenza verso la Terrasanta era stata più volte rimandata, provocando un crescente fastidio da parte dei papi; egli stipulò il Trattato di San Germano, secondo cui se non fosse partito entro il 1227 avrebbe dovuto pagare una consistente somma in denaro e sarebbe stato scomunicato.

 

Alla fine Federico riuscì a preparare la spedizione e a partire, ma si ammalò ancor prima di imbarcarsi; ciò provocò la reazione furiosa di papa Gregorio IX, che lo scomunicò. Tuttavia il primo, non appena le sue condizioni di salute migliorarono, si diresse ugualmente verso la Terrasanta. Allora Gerusalemme era ancora saldamente in mano agli Ayyubidi, guidati dal sultano al-Kamil, succeduto al padre al-Adil, fratello del Saladino.

 

Al-Kamil, dopo le iniziali divisioni interne seguite alla morte dello zio, era riuscito a sconfiggere gli odiati “franchi” (così le fonti musulmane indicavano genericamente gli invasori europei) a Damietta, sul delta del Nilo, durante la precedente crociata. Per cui quest’ultima crociata avrebbe dovuto vendicare l’ennesimo smacco subito dai cristiani, nuovamente divisi e sempre meno propensi a mettere da parte le proprie divergenze per una causa comune.

 

Una volta sbarcato a fine estate, Federico non era certo un ospite eccessivamente gradito: anche se era Re di Gerusalemme, su di lui pesava l’anatema della scomunica papale, tanto che i Templari stessi si rifiutarono di schierare le proprie truppe a meno di un miglio dalle sue.

 

D’altro canto, lo Stupor Mundi intrattenne rapporti con colui che avrebbe dovuto affrontare in battaglia in nome di Dio: mediante l’emiro Fakhr al-Din, che aveva precedentemente visitato la corte siciliana di Federico, questi e al-Kamil iniziarono a scambiarsi doni, discutere in via epistolare di problemi di matematica e di filosofia, fino a considerare la possibilità di risolvere il conflitto mediante la diplomazia.

 

In realtà tale via era già stata tentata durante la Quinta Crociata da San Francesco d’Assisi il quale, giunto in Egitto presso al-Kamil, gli aveva posto alcuni quesiti d’argomento religioso, fino a proporgli di convertirsi al cristianesimo. Pur non essendo riuscito nell’ultimo intento, l’esito pacifico dell’incontro era un chiaro segnale del carattere molto più pragmatico del sovrano ayyubide e della sua apertura verso i suoi secolari avversari religiosi.

 

Anche Federico, cresciuto a stretto contatto con la cultura islamica, mostrava un notevole grado di apertura verso quel mondo: egli si vestiva e si comportava come un saraceno nell’accampamento, bevendo in più occasioni con i vari ambasciatori e dignitari che il sultano gli mandava, suscitando la riprovazione e lo sconcerto del patriarca di Gerusalemme.

 

Questa distensione dei rapporti portò a un epilogo straordinario della vicenda; per la prima volta da più di un secolo, una spedizione crociata si risolse attraverso un trattato, senza che fosse versato del sangue: il 18 febbraio 1229 si stabilì che le città di Gerusalemme, Betlemme, Nazareth (e altre località palestinesi) passassero sotto il controllo cristiano, in modo da permettere il pellegrinaggio dei fedeli, oltre che una pace decennale tra le due parti.

 

Tuttavia tale evento suscitò reazioni avverse sia tra i cristiani che tra i musulmani. Cronisti e uomini di fede criticarono aspramente l’accordo, chi sostenendo che si fosse concesso troppo, chi invece che lo Svevo non avesse riconsegnato tutti i luoghi santi e avesse stretto un patto scellerato con gli infedeli…

 

Lo stesso pontefice Gregorio IX, che tanto aveva insistito che l’Hohestaufen partisse per Gerusalemme, era furibondo; egli non solo non ritirò la scomunica, ma complottava per organizzare un’invasione del regno di Sicilia mentre Federico era ancora assente.

 

Ma lo Svevo riuscì a tornare in Italia prima che tale piano avesse atto e, pur tentando di riappacificarsi con il papa, i rapporti continuarono a essere altalenanti; negli anni seguenti infatti l’imperatore dovette combattere contro i Comuni riuniti nella seconda Lega Lombarda, fatto che lo allontanò ulteriormente dalle grazie della Chiesa. Egli visse gli ultimi anni della sua vita scomunicato e ritenuto dal papa e dagli ecclesiastici a lui fedeli (tra cui Salimbene de Adam) il nuovo Anticristo; una volta morto, tale odio si rivolse verso i suoi discendenti, che furono combattuti con lo stesso fervore religioso della crociata.

 

Nel frattempo, nei possedimenti dell’Outremer, la risoluzione pacifica attuata da Federico ebbe una durata effimera: alla morte di al-Kamil nel 1238, le ostilità tra cristiani e musulmani si riaccesero subito, vanificando qualsiasi futuro tentativo di riconciliazione tra le due fedi. Il 23 agosto 1244 Gerusalemme fu nuovamente teatro di una carneficina di cristiani da parte di truppe corasme, agli ordini di al- Salih Ayyub, figlio del precedente sultano.

 

A nulla valsero le ultime tre spedizioni crociate, risoltesi tutte in maniera fallimentare; nel corso dei decenni i territori degli Stati d’Oltremare si restrinsero sempre di più, fino a quando nel 1291 cadde anche Acri, l’ultima enclave cristiana rimasta.

 

Questo odio nei confronti di Federico aveva in realtà radici profonde. Non derivava soltanto dal suo rapporto insolito con gli ambienti e la cultura islamica, ma anche dal suo atteggiamento nei confronti del papa, ritenuto sprezzante e prevaricatore. Così come suo nonno Federico Barbarossa, egli in quanto imperatore tentò di far valere la propria sovranità sui Comuni italiani, in particolare quelli del Nord. Ma a sua volta anche la Chiesa, a partire da Innocenzo III (che era stato tutore del giovane Svevo), voleva esercitare quel potere temporale sui domini e le città della Penisola, che un tempo erano de facto governate dal titolare del Sacro Romano Impero; questo braccio di ferro tra Chiesa e Impero si inasprì sempre di più, dal momento che sia Federico II che i papi che si succedettero non avevano intenzione di cedere terreno in alcun modo, inalberandosi sulle proprie posizioni.

 

Sicuramente la figura di Federico II è assai complessa, difficile da descrivere in maniera univoca. Nel corso del tempo numerosi studiosi hanno provato a porre l’attenzione su un determinato aspetto di questo sovrano, una volta autoritario, una volta amante delle scienze naturali e dell’esoterismo, una volta laico e, in un certo senso, più “moderno” rispetto ai suoi contemporanei.

 

I suoi rapporti ambivalenti con il mondo islamico, nonché il suo desiderio di comunicare con i suoi filosofi e studiosi, ci mostra un sovrano medievale molto aperto e tollerante nei confronti delle altre culture. È anche vero che lo stesso Federico, pochi anni prima, aveva sedato nel sangue una serie di rivolte di ribelli islamici in Sicilia, deportando i sopravvissuti in altre aree del regno in modo che non potessero nuocere.

 

Si potrebbe dire che l’Hohenstaufen ebbe un atteggiamento molto pragmatico nei confronti della religione musulmana, ereditato sicuramente dal passato normanno della Sicilia: molti suoi contemporanei criticarono aspramente questa tolleranza nei confronti di un nemico secolare, la cui lotta aveva spesso raggiunto toni escatologici ed episodi di una violenza indicibile.

 

Il merito di Federico II, insieme a Francesco d’Assisi, è stato quello di dimostrare che c’era sempre un’alternativa alla guerra, che si poteva trovare il dialogo tra due mondi apparentemente inconciliabili.

Questa lezione dovrebbe essere valida anche adesso, a distanza di secoli.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

David Abulafia, Federico II. Un imperatore medievale, Einaudi, Torino 2015.

Caffaro, La presa di Gerusalemme, Euromeeting Italiana, Milano-Roma 2005.

Dan Jones, Crociate. L’epica storia delle guerre per la Terra Santa, Hoepli, Milano 2022.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]