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N. 10 - Marzo 2006

CRISTINA DALLO SGUARDO IMMENSO

Vita della principessa di Belgiojoso, magnifica e pallida eroina del Risorgimento

di Alessia Ghisi Migliari

 

C’è un ritratto del celebre Hayez che non molti conoscono.

Non sono i suoi epici baci, né volti noti ai più.

E’ una donna, quella che ci spia dalla tela; ha occhi scuri e profondi, il viso di tre quarti a scrutarci maliziosa, ma anche diffidente. Una mano inanellata si appoggia pigra sul petto, le spalle tornite si fanno luminose su di uno sfondo altrimenti buio.

 

Il Risorgimento non è stato solo uomo.

 

Cristina Trivulzio di Belgiojoso visse più esistenze condensate in una, e quando posò per il quadro del famoso artista era nel pieno della sua stagione prode e caparbia – nata di nobili natali, cresciuta nobile soprattutto dentro.

 

Cristina venne alla luce a Milano nel 1808, accompagnata da dodici nomi propri, un unico cognome ma blasonato, e apparentemente con la dote di un futuro non particolarmente diverso da quello che attendeva altre fanciulle di alto lignaggio.

 

Ma siamo in un’epoca illuminata e vibrante di ideali e idee; quando da bimba rimane orfana di padre, sarà il liberale marchese Visconti d’Aragona, secondo marito della madre, a plasmare la mente sveglia e curiosa della piccola.

E’ una donna intellettuale, Cristina; è cerebrale, critica, ironica, troppo colta magari, ma indubbiamente affascinante.

E, appena adolescente, si innamora del bel principe di Belgiojoso, uomo dedito allo sperpero e alle avventure galanti, che però nutre lo stesso animo da patriota della moglie.

E’ un matrimonio che non resiste, ma i due restano in ogni caso animati dalla medesima fede politica.

 

Appena ventenne, la nostra anticonformista inizia il suo girovagare inquieto ma fecondo, che la porterà in scenari assai diversi, a contatto con la propria natura intraprendente e con gente che farà la Storia.

La sua salute è inferma – lo sarà fino alla sua morte – ma ciò non le impedisce di passare dalla Svizzera alla Francia, dove ripara quando lo stesso Metternich  si mette sulle sue tracce, bandendola come ‘fuggitiva’, l’ennesima cospiratrice che va in giro a sostenere e finanziare pericolosi piani di democrazia contro il governo asburgico.

Per evitare di perdere il suo patrimonio, che le verrebbe confiscato, la ragazza lo dona alla consorte e alle sorelle, e si reca a Marsiglia, ormai impegnata a finanziare il piano di insurrezione di Ciro Menotti (vendendo i suoi preziosi).

 

Fallito il piano, si ritrova esule a Parigi, ormai bollata per aver compiuto un atto di “lesa maestà” contro l’Austria.

E’ senza soldi, e cerca di ottenere aiuto per i esuli francesi dal marchese Lafayette, che le starà accanto in momenti difficili, e che in questa occasione diverrà mediatore con l’Austria proprio per salvare i coraggiosi amici della Belgioioso.

Ma nella capitale parigina si deve dare da fare: scrive e dipinge per raccogliere fondi per la ‘causa’, viene presentata a corte, dove entra nell’alta società, e riesce, tempo dopo, ad aprire un proprio salotto nel palazzo del duca de Plaisance. Non è l’usuale ritrovo di amanti della cultura e delle arti, ma un ulteriore modo di gestire incontri e conoscenze che possano servire a finanziare ed aiutare i ‘ribelli’ liberati.

 

Non è una mente che si ferma, quella di Cristina. Nel 1838 diventa madre di Maria, che riesce a far riconoscere al marito, anche se non ne è il  padre.

 

Torna nel milanese, non amata dall’aristocrazia lombarda, pervasa da diffidenza nei confronti del Risorgimento; si adopera col solito impegno, ed apre orfanotrofi e scuole per i figli dei contadini, si occupa di dare alle madri principi sulla puericultura e l’igiene, facendo sbottare il cattolicissimo Manzoni, che, infastidito da tanta presunzione femminile, esclama pragmatico e ansioso di non perdere vecchi privilegi : “Quando saranno tutti dotti a chi toccherà coltivare le terre?”.


Fonda la rivista politica “Ausonio”, la cui sede verrà poi spostata a Napoli ; qui verrà a sapere dei moti milanese che saranno poi conosciuti come le ‘Cinque giornate di Milano’, e subito si affretta sulla strada verso casa per portare il suo aiuto. Nell’aprile del 1848 si affaccerà al balcone di Palazzo Marino con la coccarda tricolore – fa parte anche lei, quel giorno, della Storia.

 

Dà vita ad un altro giornale, “Il crociato”, e una volta che gli austriaci si riprendono il milanese, lei si unisce a Mazzini, dirigendosi a Roma, da dove pensa si possa iniziare a costruire lo Stato italiano.

Ha la direzione delle ambulanze, organizza dodici ospedali militari, avvia un corpo di infermiere volontarie.

Ma anche qui i tempi non consentono una buona riuscita; i francesi arrivano, distruggendo gli ospedali, e dando il via a nuove peregrinazioni della principessa inarrestabile.

 

Delusa e amareggiata si trasferisce in Asia Minore con la figlia, e lì costruisce una fattoria, in cui vivrà in relativa calma finchè uno squilibrato, accoltellandola, le provoca un’infermità che – se non gravissima – la segna cronicamente e la spinge a tornare in Europa.
Diviene una fervente sostenitrice di Cavour, ma inizia a trascorrere le sue stagioni più ritirata, pur continuando a studiare e scrivere.

Si spegne nel 1871, lasciando alle sue spalle decenni complicati e densi di eventi.

 

La sua tomba in marmo bianco nel cimitero di Locate sarà trovata vuota mezzo secolo dopo.

Cristina giaceva poco più in là, in un pezzo di terra anonimo.

 

Non si può raccontare l’epopea della Belgiojoso in un paio di pagine.

Fu donna criticata per l’ ‘amoralità’ dei suoi costumi, la sua indefessa libertà di pensiero, ed il suo impegno verso orizzonti che sembravano poco adatti ad una principessa.

Abile di penna e di parola, ardente e con un’onestà mentale non comune, attraversò l’Ottocento facendosi detestare ed ammirare in eguale misura, proseguendo a testa alta nella sua bellezza diafana e altera.

La sua personalità non poteva passare inosservata, e la sua notevole intelligenza lasciarono un segno nella memoria dei suoi contemporanei.

 

Amò l’Italia e la sua Unità sopra ogni cosa, ma ebbe comunque moltissimi interessi, e lasciò pagine colme dei suoi pensieri, occupandosi anche della condizione femminile.

In un saggio da lei composto negli ultimi anni scrisse:
”La condizione delle donne non è tollerabile se non nella gioventù. Gli uomini che decidono della di lei sorte, non mirano che alla donna giovane […]. Che le donne felici e stimate del futuro rivolgano i pensieri al dolore e all’umiliazione di quelle che le hanno precedute nella vita e ricordino con un po’ di gratitudine i nomi di quante hanno aperto e preparato la strada alla loro mai gustata prima e forse sognata felicità”.

 

Non è un discorso che vuole essere femminista, ma solo le parole di un’anziana signora che ha mostrato col suo esempio la forza insita nelle grandi anime.

Che talvolta vengono dimenticate; alla fiera Trivulzio non è stato tributato il riconoscimento del suo essere stata un’eroina, nata di nobili natali e cresciuta nobile soprattutto dentro.

 

In fondo, ha chiesto solo un po’ di gratitudine.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Carrano P., “Le scandalose”, Rizzoli, Milano 2004

Gattey C.N., “Cristina di Belgiojoso”, Vallecchi, Firenze 1974

Incisa L., “Cristina di Belgioioso”, Rusconi, Milano 1980

Petacco A., “La principessa del nord: la misteriosa vita della dama del Risorgimento: Cristina di Belgioioso”, Mondadori, Milano 1995

www.cronologia.it/storia/biografie/belgioio.htm

www.url.it/donnestoria/testi/trame/belgioiosob.htm

 



 

 

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