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N. 22 - Marzo 2007

Crisi in Kosovo

Lo scetticismo della Russia pesa sui negoziati di Vienna

di Leila Tavi

 

Dal 20 febbraio al 10 marzo Vienna ospita l’ultima trattativa tra Serbi e Kosovari per stabilire il futuro status del Kosovo.

 

Il mediatore dell’ONU Martti Ahtisaari, ex presidente finlandese, ha presentato un piano che sarà discusso dalle due parti riunite nell’ultima giornata di trattative, il 10 marzo.

 

Esperti e opinionisti prevedono che alla provincia serba del Kosovo sarà riconosciuta una forma di “indipendenza controllata” all’interno del territorio serbo.

 

Una formula di compromesso che vorrebbe poter mettere d’accordo le parti e agenti esterni, quali la Russia, contraria a qualsiasi menomazione dello Stato serbo, e gli Stati uniti insieme all’Unione europea, favorevoli invece a un’indipendenza senza più vincoli territoriali.

 

L’ultimo progetto presentato da Ahtisaari contiene delle sostanziali modifiche e una maggiore attenzione alle esigenze delle altre minoranze diverse da quella serba.

 

Il documento è stato reso pubblico il 2 febbraio scorso con il titolo “Proposta di accordo per lo status del Kosovo”.

 

Nel documento non è mai menzionata la parola “indipendenza”, scomparsa dal progetto di Ahtisaari dopo la reazione negativa da parte del Cremino.

 

Secondo lo storico Dusan Batovic il documento redatto dall’inviato speciale dell’ONU è “deludente”, perché ricalca un concetto di sovranità nazionale obsoleto, tipico del 19. secolo, e non tiene conto delle possibilità di integrazione offerte oggi alle entità regionali nella moderna Europa.

 

La conduzione delle trattative da parte di Ahtisaari è stata soprannominata la “diplomazia del pendolo” per i continui cambiamenti di direzione nell’orientamento dell’ONU sulla questione dovuti al tentativo di bilanciamento del mediatore tra le richieste delle due parti

 

La proposta è il risultato di dodici mesi di trattative e di negoziazioni intensive dell’ UNOSEK (United Nations Office of the Special Envoy of the Secretary-General for the Future Status Process for Kosovo) e ben quindici incontri diretti tra le due parti e ventisei missioni ONU a Belgrado e Pristina.

 

Le trattative sono rimaste per un lungo periodo a un punto morto e molto probabilmente non giungeranno a un definitivo accordo neanche in occasione dell’incontro del 10 marzo, perché la proposta del gruppo di contatto sul Kosovo, formato da Francia, Italia, Germania, Russia e Stati uniti, d’ “une indépendence partielle et surveillée ne satifasfait pleinement personne”. (Pierre Hassner ; 2007).

 

Sulle trattative pesa lo scetticismo della Russia, che auspica un prolungamento a lungo termine del processo di negoziazione diplomatica che, secondo Hassner, potrebbe essere il deludente bilancio dell’incontro di Vienna.

 

Le posizioni della Russia sono in parte motivate dal timore che l’indipendenza del Kosovo potrebbe scatenare una reazione a catena e incoraggiare le mire separatistiche di alcune regioni della ex Unione sovietica, non soltanto la Cecenia, ma l’Abkhasia, l’Alto Karabach e l’Ossezia del sud.

 

L’ipotesi ottimista di una mediazione europea, in grado di ammorbidire le posizioni serbe, non è realizzabile alle condizioni attuali, soprattutto se si considera anche l’importanza della regione per l’identità nazionale serba.

 

Prevedibile è, invece, che le trattative si protrarranno a lungo e sarà mantenuto lo status di protettorato internazionale dallo statuto indefinito; ciò potrebbe pericolosamente portare a un acuirsi delle tensioni tra i due gruppi etnici.

 

Il contingente della KFOR, la Kosovo Force, è malvisto dalla popolazione locale, che aveva sperato in una ripresa economica con la fine delle ostilità e il periodo di protettorato, mentre il tasso di disoccupazione attuale è di più del 50%, lo stipendio medio mensile è in continuo calo e i due terzi della popolazione vivono ai limiti della povertà.

 

I movimenti separatisti in Kosovo considerano i soldati della missione UN come un’ “autorità coloniale”, responsabile del degrado economico e sociale in cui la regione versa.

 

Secondo i fautori dell’indipendenza troppo poco è stato fatto dagli “amministratori stranieri” durante questi otto anni di protettorato internazionale.

 

Pochi giorni prima della ripresa dei negoziati di Vienna, un attentato a distrutto a Pristina tre veicoli della MINUK, la missione delle Nazioni Unite in Kosovo.

 

L’attentato è stata rivendicato da un gruppo di separatisti come reazione alla morte dei due manifestanti uccisi da poliziotti del corpo internazionale durante una protesta di piazza di un movimento albanese favorevole a l’indipendenza immediata.

 

Il progetto di accordo definitivo sarà presentato al Consiglio di sicurezza dell’ONU alla fine di marzo.

 

Nel testo è introdotto per la prima volta dall’inizio delle trattative il concetto di multietnicità, fondamentale per una società come quella kosovara, dove sono presenti non solo Albanesi e Serbi, ma Ashkali, Egiziani, Bosniacchi, Croati, Gorani e Turchi, nonché Rom.

 

Tali comunità tutte dovranno essere garantite e avere il diritto di mantenere la propria identità religiosa. A tal scopo dovrà essere costituita una nuovo e professionale corpo di guardia a carattere multietnico, il KSF con compiti speciali di sicurezza.

 

Nell’ipotesi della realizzazione di un’indipendenza in Kosovo l’impatto regionale potrebbe estendere gli effetti anche Bosnia Erzegovina con conseguenze imprevedibili.

 

La comunità serba di Bosnia potrebbe rivendicare a sua volta l’indipendenza; senza considerare il pericolo che potrebbe rappresentare in Macedonia, formata da una maggioranza slava e una minoranza albanese.

 

L’indipendenza del Kosovo non dovrebbe essere realizzata solo in un’ottica regionale balcanica, ma inserita in un contesto di integrazione europea, come previsto nel progetto di Giuliano Amato: sì all’indipendenza immediata, ma solo attraverso una garanzia dell’Unione europa.

 

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