[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

181 / GENNAIO 2023 (CCXII)


contemporanea

SULLA GUERRA DI COREA

DALLA DIVISIONE IN DUE DEL PAESE AL CONFLITTO

di Lorenzo Bruni

 

La separazione della penisola coreana in due entità distinte è da far risalire al termine della seconda guerra mondiale: in una conferenza tenuta al Cairo il 22 novembre 1943 venne stabilito che, a tempo debito, l’allora possedimento giapponese della Corea sarebbe dovuto diventare uno Stato libero e indipendente con capacità di autogovernarsi; nell’incontro tenutosi invece a Jalta nel febbraio 1945, si convenne che la decisione più conveniente, per il momento, sarebbe stata quella non di concedere immediatamente l’indipendenza alla penisola, ma di provvedere a una divisione politica del territorio seguendo il 38° parallelo, con una parte settentrionale sotto il controllo sovietico e una meridionale sotto quello occidentale.

 

La volontà era quella di non creare conflitti politici in una fase cruciale della guerra, né di consentire ad alcuna potenza di ottenere un decisivo ascendente su una zona di notevole importanza. In ogni caso, l’idea di partenza era che tale suddivisione avrebbe dovuto durare soltanto cinque anni, cioè fino al momento in cui si riteneva che la nuova Repubblica Popolare di Corea avrebbe potuto contare su un’organizzazione propria abbastanza stabile da riuscire a controllare il proprio territorio senza l’aiuto straniero.

 

In realtà, i contrasti tra le potenze vincitrici iniziarono ben presto ad allontanare una soluzione comune: sebbene nel dicembre 1945, in una conferenza tenuta a Mosca, tutte le parti in causa si fossero trovate d’accordo sulla decisione di stabilire un protettorato comune e fosse stata creata una commissione congiunta sovietico-statunitense per supervisionare l’evoluzione della situazione coreana, negli anni seguenti quest’organo speciale si riunì in modo discontinuo e inefficace a Seul, senza riuscire a trovare un accordo sull’istituzione di un governo di unità nazionale.

 

Infastiditi da tale impasse, e sempre più catapultati in quel clima di feroce competizione che avrebbe caratterizzato la Guerra Fredda, gli Stati Uniti posero la questione all’attenzione dellONU, che, nell’agosto 1948, stabilì la creazione di una nuova Repubblica di Corea, con capitale a Seul e sotto la presidenza di Syngman Rhee. Nel settembre successivo, a Nord venne istituita la Repubblica Democratica di Corea, il cui controllo venne affidato a Kim Il-Sung, che stabilì la capitale a Pyongyang.

 

Nonostante il conseguente ritiro di truppe statunitensi dal sud e di quelle sovietiche dal nord, il desiderio principale di entrambi i nuovi Stati era quello di diventare promotori di una nuova organizzazione unitaria della penisola. Il governo di Pyongyang così iniziò a preparare accuratamente l’inizio del conflitto: la Repubblica Democratica Popolare di Corea (RDPC) non soltanto risultava essere meglio armata e più sviluppata dal punto di vista industriale ed economico rispetto ai territori del Sud, ma disponeva anche di un esercito più temprato e di un abile comandante, lo stesso Kim Il-Sung, che si era impegnato in prima persona nell’organizzare e combattere la guerriglia coreana contro il Giappone, il quale ordinò che per tutto il 1949 i propri soldati venissero duramente addestrati in Manciuria.

 

In un primo momento il dittatore nordcoreano si fece promotore di attività di semplice partigianato comunista, finanziato da Unione Sovietica e Cina, nei territori del Sud; quando divenne palese però che esso non avrebbe dato alcun esito positivo nella Repubblica di Corea, soprattutto a causa della dura soppressione di qualsiasi gruppo comunista voluta da Rhee, Kim Il-Sung comprese che era arrivato il momento di passare all’azione pratica.

 

Prima accusò, probabilmente a ragione, il governo di Seul di avere effettuato 2.617 incursioni armate nei territori del Nord, allo scopo di minare l’ordine sociale, compiendo razzie, omicidi mirati, saccheggi, rapimenti e incendi dolosi; dopodiché, forte del supporto materiale di Stalin e, soprattutto, di Mao, il 25 giugno 1950, ordinò l’invasione del territorio a Sud del 38° parallelo.

 

L’esercito del Nord poteva contare su un effettivo di circa 350.000 uomini, i quali disponevano inoltre di circa cinquecento carri armati, duemila pezzi d’artiglieria e un numero non meglio precisato di aerei da combattimento; la controparte sudcoreana invece non poteva vantare una simile organizzazione: l’esercito di Rhee non arrivava a contare neppure 100.000 uomini, con poco addestramento ed esperienza alle spalle e con uno scarso supporto tecnologico.

 

L’avanzata dell’esercito del Nord fu fulminea e inarrestabile: a nulla valsero le richieste delle Nazioni Unite per un cessate il fuoco e un ritorno allo status quo, né le sanzioni economiche e commerciali che vennero decretate. Il 27 giugno, quando la quasi totalità della penisola, eccetto la zona attorno al porto di Pusan, era nelle mani della RDPC, il presidente statunitense Truman ottenne dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il permesso di intervenire militarmente nel conflitto: il giorno successivo assegnò al generale Douglas MacArthur il comando del Far East Command e inviò truppe americane nella zona di guerra.

 

Nonostante un approccio estremamente complesso, l’avanzata dei nordcoreani venne rallentata dal massiccio impiego dell’aereonautica americana, dando il tempo alle Nazioni Unite di formare un’ulteriore forza internazionale, organizzata dagli Stati Uniti, ma comprendente soldati provenienti da altri diciotto Paesi.

 

Tra il settembre e l’ottobre successivo, l’esercito dell’ONU riuscì ad arrestare completamente l’avanzata nemica e a organizzare un contrattacco: il 15 settembre, al termine di un massiccio bombardamento al napalm, venne condotto un attacco anfibio circa 200 km a Nord di Pusan, in prossimità del porto di Incheon, che aveva come scopo quello di chiudere l’esercito nordcoreano tra due fuochi, impedire loro l’arrivo di rifornimenti e precludere un’eventuale ritirata verso Pyongyang. Questo, colto alla sprovvista, interruppe ogni piano di conquista e ripiegò alla disperata verso la propria terra d’origine.

 

Il 17 settembre 1950, le truppe guidate dal generale MacArthur ripresero il controllo della capitale Seul e dopo altri nove giorni raggiunsero il vecchio confine al 38° parallelo, sbaragliando ogni resistenza grazie all’inarrestabile avanzata dei propri mezzi corazzati. Il 29 settembre il presidente Truman, vedendo davanti a sé la ghiotta opportunità di debellare un regime comunista, diede l’autorizzazione a oltrepassare il confine per liquidare il governo di Kim Il-Sung: i bombardamenti aerei si fecero più massicci e distrussero città, linee di rifornimento, ferrovie e porti, mietendo numerose vittime tra i civili.

 

Mentre il 19 ottobre le truppe statunitensi e sudcoreane conquistavano Pyongyang, Kim Il-Sung fuggiva a Pechino, implorando Mao Tse-tung, al quale aveva fornito un aiuto fondamentale durante la guerra civile cinese, di combattere in suo soccorso. Il regime cinese, che probabilmente aveva contribuito attivamente sin dagli inizi della guerra coreana, intimò agli Stati Uniti di cessare la conquista della RDPC e di ristabilire lo status quo precedente. Ignorando tale monito, MacArthur continuò ad avanzare, giungendo fino alle rive del fiume Yalu, cioè al confine con la Cina.

 

Il 27 ottobre, l’esercito cinese guadò il fiume, abbattendosi su quello statunitense: si calcola che un numero compreso tra i 180.000 e il 260.000 uomini travolse le forze nemiche, costringendole a una precipitosa ritirata; già il 3 novembre, abbandonando dietro di sé la maggior parte delle attrezzature militari e salvando i feriti solo grazie al pronto intervento dell’aereonautica, le truppe dell’ONU ripiegavano oltre il fiume Ch’ŏngch’ŏn, abbandonando il territorio nordcoreano.

 

I due mesi successivi videro un’alternarsi di piccole vittorie prima da una parte e poi dall’altra, finché il 5 dicembre l’esercito cinese non riuscì a recuperare Pyongyang, spingendosi, il 4 gennaio 1951, a superare il 38° parallelo e a occupare Seul. Questo momento rappresenta però l’ultimo successo cinese in Corea del Sud: sfiancati dalla lunga marcia e dilaniati dal continuo bombardamento statunitense, iniziarono a subire la nuova controffensiva americana, perdendo definitivamente il controllo della capitale della Repubblica di Corea il 14 marzo.

 

Tra la fine del mese e inizio aprile, quando le truppe dell’ONU superarono nuovamente il 38° parallelo, accadde un fatto che ebbe grosse ripercussioni sul susseguirsi degli eventi: preoccupato, o innervosito, dai numerosi tentativi del generale MacArthur di convincerlo a sganciare la bomba atomica su Pechino, il presidente Truman lo sollevò dall’incarico, sostituendolo con il generale Ridgway e iniziando, su suggerimento di Stalin, a intavolare trattative di pace a Kaesŏng. Intanto la guerra, che aveva visto una nuova controffensiva cinese concludersi con un nulla di fatto, si era trasformata in un’estenuante guerra di posizione, composta da attacchi e contrattacchi incessanti e a ritmo frenetico, ai quali doveva aggiungersi il terribile incubo dei bombardamenti aerei.

 

Stremati dall’enorme peso economico del conflitto e dalla grande quantità di vite umane cadute, dal giugno 1951 le due parti iniziarono a negoziare ufficialmente la fine dei combattimenti. Nei due anni successivi, le trattative di pace, rese insicure e difficoltose dall’improvvisa ripresa delle ostilità di entrambi gli schieramenti, portarono il 27 luglio 1953 alla firma dell’armistizio di Panmunjeom. In base a tale accordo, la penisola di Corea veniva divisa definitivamente in due Stati autonomi e indipendenti, la Corea del Nord e la Corea del Sud, mentre si stabiliva che nel cuore del territorio, in prossimità del 38° parallelo, venisse creata una zona neutrale, la Zona Demilitarizzata Coreana, occupata militarmente dagli Stati Uniti e dalle Nazioni Unite, che fungesse da “cuscinetto” contro ogni eventuale ripresa delle ostilità.

 

Tutt’oggi, l’armistizio di Panmunjeom non è da considerarsi un trattato di pace, bensì un concordato di cessate il fuoco che interrompesse il conflitto in attesa di giungere a un accordo migliore. La tregua del 1953 è da considerarsi la più duratura della storia e ha gettato le basi per la condizione attuale che tutt’oggi si mantiene tra i due Paesi.  

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]