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N. 121 - Gennaio 2018 (CLII)

la conversione dimenticata
gli ebrei di sannicandro - Parte i

di Stefano Coletta

 

Questa storia inizia con due messi notificatori del Tribunale Penale di Foggia che bussano, una mattina del febbraio 1936 (anno XIV dell’era fascista), alla porta di Donato Manduzio, un contadino, residente a Sannicandro Garganico, noto con il soprannome “Caccabra” faccia di merda), unica eredità paterna.

 

Ad aprire la moglie, Emanuela Vocino, che rassicurata che non sono agenti delle tasse, li invita a entrare, ma quale sconforto l’assale quando scopre che recano la notifica di una multa di £ 250 a carico del marito Donato Manduzio. La donna inizia a imprecare e a contestare «Ma come può essere che mio marito ha fatto qualcosa, se è paralitico e trascorre tutto il tempo a casa! Ma s’è ammattito quel cornuto del Giudice di Foggia!».

 

Inutile cercare di farla ragionare. Solo dopo molto tempo riescono a spiegare che la multa è frutto delle riunioni religiose che tiene il marito nella sua casa. «Cosa c’è di male!», risponde la donna. Il male sta nella decisione di Donato di autoproclamarsi ebreo e di aver fatto proseliti tra la popolazione del paese.

 

Donato Manunzio, classe 1885, nasce il 25 luglio a Sannicandro, un paese del sub appennino dauno, nella provincia di Foggia, da una famiglia di poveri contadini. Questo gli impedisce di frequentare la scuola, come la maggioranza dei paesani. Appena è in grado di tenere una zappa in mano viene avviato nei campi, allo scopo di aiutare la famiglia.

 

Nel 1910, all’età di venticinque anni, contrae matrimonio con Emanuela Vocino, figlia di contadini. Il matrimonio non è “benedetto” dall’arrivo di figli. Nel 1915, l’Italia lo “chiama a difendere i sacri confini della Patria”. Si ritrova a vestire i panni del soldato e il fregio del 94° Reggimento Fanteria. Durante la permanenza in prima linea, s’ammala, di una malattia non ben precisata, è ricoverato in ospedale, dove rimane molto tempo. Vien dimesso con un certificato d’invalidità permanente, che gli consente di percepire la pensione di guerra.

 

Durante il periodo di degenza apprende a leggere e a scrivere, in maniera elementare. Tornato a Sannicandro, si dedica alla lettura e in questo modo perviene alla lettura della Bibbia, in italiano, regalatagli, da un vicino di casa, pentacostale, forse con l’intento di convertirlo, come aveva fatto con altri abitanti. Manduzio s’appassiona nella lettura delle Sacre Scritture, rivela delle incongruenze, prima tra tutte il mancato rispetto del Sabato, per questo motivo, rifiuta la proposta di conversione dei Pentacostali e degli Evangelisti, presenti sul territorio, e decide che l’unica vera religione da seguire è l’Ebraismo.

 

Si autoproclama “Ebreo” e riesce a coinvolgere 80 abitanti del paese, la maggioranza sono donne, alcune coppie, e due invalidi. In breve tempo, la popolazione locale li appella i “Sabbatici”, perché non lavorano di sabato. A farli conoscere sono le liti familiari che nascono ogni sabato nelle famiglie “miste”, tra mariti che tornano dai campi e sperano di trovare da mangiare e le mogli che si astengono da qualunque attività.

 

Nella giornata di Sabato, la comunità si riunisce e “recita il Paternoster, detto in Italiano e a bassa voce da ognuno, cui segue una lettura ad alta voce fatta da uno dei presenti della Bibbia (Vecchio Testamento) o di uno dei discorsi del Pentateuco commentata elementarmente”. Seguono dei canti sia religiosi che politici (Inno di Mameli, Marcia Reale). Gli uomini durante la funzione stanno in ginocchio, le donne hanno il capo coperto.

 

Manduzio apprende dell’esistenza di comunità ebraiche sul territorio nazionale, da un venditore ambulante, che gli indica l’esistenza di sedi nelle città di Genova, Napoli e Torino. La notizia rallegra e rincuora il fondatore, che decide di scrivere per far conoscere la loro esistenza e chiedere notizie sulle pratiche ebraiche. Invia cartoline, recanti l’elenco dei nomi degli aderenti al gruppo e il proprio indirizzo, ma non esplicitando alcuna richiesta, alle varie sedi. Da Torino giunge l’invito a rivolgersi all’Ufficio Generale di Roma.

 

Manduzio non demorde, scrive a Roma all’“Eccell.mo Commentatore capo comunità Israelitica Roma”. La risposta si fa attendere. Manduzio, invece di abbandonare e arrendersi, continua a scrivere e a chiedere il riconoscimento della sua comunità di convertiti all’ebraismo, di materiale per apprendere i riti ebraici e i canti, oltre alla lingua.

 

Ma niente! Silenzio! Più la risposta si fa attendere e più sono le lettere che invia.

 

Il Rabbino Capo Angelo Sacerdoti, dapprima, pensa che si tratti di un mitomane, ma con l’aumentare delle lettere, invita l’amico e collega Alfonso Pacifici a valutare il caso. Questi vaglia, con molta attenzione, la corrispondenza, i toni usati, le richieste avanzate e giunge alla conclusione che potrebbe trattarsi di un caso “d’inconscio marranesimo” e che per “saggiare la serietà di questi tali” si deve inviare, una persona di fiducia, sul posto.

 

Il Rabbino Capo Sacerdoti, risponde, nel novembre 1933, mostrando interesse verso questi fedeli e annunciando l’arrivo di una persona di fiducia: Giorgio Sessini.

 

Manduzio interpreta la lettera, come un riconoscimento della comunità e non vede l’ora dell’arrivo del signor “Sirsillo”, che giunge nel gennaio 1934. Costui trascorre una giornata con il gruppo, assiste alle loro pratiche, ascolta le motivazioni della conversione di Manduzio, raccogliere le richieste e promette che farà pervenire del materiale, che possa consentire al gruppo di diventare veri Ebrei.

 

L’entusiasmo è alle stelle. Partito Sessini, inizia l’attesa spasmodica e stressante, che spinge, dopo alcune settimane, a tempestare il Rabbino Sacerdoti di lettere, per ricordare gli impegni presi da Sessini, soprattutto, in vista dell’avvicinarsi della festività di Pasqua, dal momento, che non hanno piena conoscenza dei riti da seguire in tale festa.

 

Sacerdoti temporeggia, alla fine, dopo un mese, risponde. Sacerdoti si dimostra, leggermente, irritato, spiega che non esiste materiale in lingua italiana, ma solo in ebraico. Propone che si rechino, in visita, nei Ghetti di Roma o Firenze, due o tre persone, allo scopo d’impratichirsi dei riti e degli usi ebraici e poi riportarli alla comunità. Proposta che cade nel vuoto, per l’impossibilità, da parte degli aderenti al gruppo, di permettersi una “vacanza studio”.

 

Fino ad aprile nessuna notizia, Manduzio ricontatta Sacerdoti perché un giovane s’è presentato dicendo che era inviato dalla Comunità di Roma. La risposta è immediata, la persona che s’è presentata, non è un ebreo, ma un “uscito di senno”, noto alla Comunità di Roma. Sacerdoti specifica che in caso di arrivo di persone della Comunità, sarà sua preoccupazione avvertire il gruppo per tempo.

 

Manduzio ritorna alla carica, scrive lettere con richieste e insiste sulla necessità di apprendere i riti della Pasqua, per poterla celebrare in maniera adeguata. Sacerdoti risponde, con tono severo, e domanda «come mai lei e i Suoi amici che non avevano mai avuto contatti con ebrei e pertanto ben poco dovessero comprendere e sapere cosa sia l’ebraismo era venuta questa convinzione. (…) è necessario una lunga preparazione e studio profondo». Aggiunge che non bisogna avere “una fretta ansiosa” e ricorda che l’ebraismo non cerca proseliti e accetta i convertiti solo «dopo che sia evidente la necessità di farlo: occorre soprattutto che gli aspiranti siano preparati, maturi ed edotti del credo ebraico», in ogni caso la decisione di ammetterli nella comunità spetta solo «al capo religioso, la cui decisione non può essere forzata».

 

Un modo molto educato e semplice per dire, a Manduzio e al gruppo, di non ostinarsi nel tempestarlo di richieste e, soprattutto, di non insistere nell’idea di proclamarsi ebrei. Sacerdoti conclude dicendo che avrebbe inviato qualcuno a spiegare i riti della Pesach e il vero significato di tale festività per gli Ebrei.

 

Manduzio, non riesce a capacitarsi di quanto afferma il Capo Rabbino, dal momento che li vuole consapevoli della cultura ebraica, ma non gli fornisce strumenti, proclama interesse, ma non vuole che si dicano interessati. Nel frattempo, giunge, in visita, il Conte Federico Luzzatto (1900-1960) studioso delle origini di varie comunità ebraiche e membro dell’Organizzazione delle Associazioni Culturali Ebraiche in Italia.

 

La comunità è in festa, per la seconda volta, crede e si convince che è un ulteriore segno di riconoscimento da parte della Comunità Centrale di Roma. Invece, è solo un modo per indagare e comprendere cosa sta succedendo in quello sperduto paese. Sacerdoti è preoccupato che il caso Sannicandro coinvolga e travolga l’intera comunità ebraica a livello nazionale.

 

Luzzatto riporta, al Rabbino Capo, che i «neo-convertiti rispettano il Sabato, non mangiano carne di maiale e anguilla, anche se comprano la carne dal macellaio del paese» (avrebbero dovuto acquistarla da un shochet che uccida l’animale con rispetto e compassione). A pasqua avevano mangiato le Azzime inviate da Sacerdoti, aggiunge che «essi vogliono una maggiore istruzione nella fede ebraica e hanno espresso il desiderio di circoncidersi».

 

Prima della partenza chiedono che Luzzatto faccia pervenire il seguente materiale: un lunario ebraico, un sillabario ebraico-italiano per l’apprendimento della lingua, alcuni brevi testi religiosi pratici, come quelli in uso nelle scuole elementari, articoli della legge riguardanti il matrimonio e l’esenzione dei bambini dalla dottrina cattolica a scuola, musiche sacre e copie della Rassegna Mensile d’Israel.

 

Un mese dopo Sacerdoti inviò una lampada per il Sabato e un calendario ebraico, cosa che animò di gioia la comunità. Erano stati riconosciuti. Finalmente!! Erano ebrei! Quindi il silenzio.

 

La situazione irritò Manduzio, che non riusciva a comprendere il comportamento del Capo Rabbino. Per questo motivo, ritorna a tempestarlo di lettere. Sacerdoti risponde solo a novembre, annuncia che sta partendo per Gerusalemme e rinvia ogni decisione al suo ritorno. Nel frattempo consiglia che la comunità legga e apprenda i testi della Genesi, dell’Esodo e del Levitico, Libro dei Numeri, Deutoronomio e Dieci Comandamenti, basilari per comprendere lo spirito e il pensiero ebraico. Sacerdoti non intraprende mai il viaggio, perché muore subito dopo. Manduzio, in attesa del ritorno di Sacerdoti, tempesta di lettere Pacifici, che cerca di eludere le richieste, con varie scuse, poiché l’ultima parola spetta al Rabbino Capo.

 

Nel 1934 comunica a Manduzio che si sta trasferendo a Gerusalemme e che il rabbino Sacerdoti è morto. Manduzio augura ogni bene all’amico per la sua nuova vita “lontano dall’impuro”, mentre mostra indignazione perché nessuna comunità sorella ha ritenuto opportuno comunicare la dipartita del Rabbino Capo.

 

A risollevare gli animi e la visita, annunciata da Pacifici, da Gerusalemme, di Jacques Faitlovich (Łódź, 1881- 1955), famoso per la sua opera a favore dei Falashà etiopi (anche detti Beta Israel). La sua visita venne interpretata dalla comunità come un riconoscimento internazionale, mentre per lo studioso polacco il caso di Sannicandro rientrava nella sua convinzione di dover promuovere e incoraggiare il proselitismo della religione ebraica.

 

Il visitatore promise testi e suggerì di mandare uno dei ragazzi della famiglia Cerrone a studiare presso un collegio ebraico, per apprendere la lingua e la cultura. Con la conseguenza che il direttore Ascher dell’Istituto di Bex les Bains, vicino Losanna, si ritrova sommerso di lettere del padre del ragazzo, riguardo alla sua ammissione e partenza per la Svizzera.

 

Il direttore risponde confermando la disponibilità ad accogliere un bambino di 11-12 anni, “in seguito anche due”, ma evidenzia la difficoltà delle leggi sull’immigrazione, che non facilitano l’ingresso di stranieri.

 

Trascorrono due anni, durante i quali Ascher, ribadisce la volontà di accogliere il piccolo Cerrone, ma di fatto la cosa non si concretizza. Nel febbraio 1936, cambia tono, evidenzia le restrizioni delle leggi e conclude che «è inutile vivere di false speranze. Il nostro paese (la Svizzera) proibisce l’immigrazione di forestieri che cercano lavoro, perché molte persone della svizzera non possono trovare lavoro e la crisi regna ovunque», per questo invita Cerrone a chiedere a Faitlovich di muoversi per farli emigrare a Eretz Israel (“la Terra d’Israele”).

 

Cerrone e la comunità si sentono traditi, abbandonati. Manduzio, in qualità di capo del gruppo, espone il malessere a Pacifici, costui risponde che hanno dimostrato una profonda “sincerità e del desiderio di conversione” e pertanto possono considerarsi “figli di Noè”, ma non “figli d’Israele”, dal momento che il cammino, per potersi fregiare, di questo titolo è lungo e arduo.

 

Li rassicura che «vi manderemo maestri e libri perché impariate quali sono i doveri del figlio d’Israele, e se poi perdurereste nel vostro proposito dopo lo studio prolungato, vi accoglieremmo con gioia nel patto d’Israele segnato con il sangue della circoncisione. Ma se invece voi riflettere che tutto ciò è troppo grave, noi vi diciamo “State tranquilli”, anche come Benè Noach, fedeli al patto di Noach, voi potrete portare benedizione al mondo e fare molto bene a Israele vostro fratello. A voi fratelli la scelta, sulla quale ci farete avere una risposta dopo averla ben ponderata».

 

Manduzio ricevuta la lettera, si precipita a rispondere, non pondera e non riflette, è certo della sua decisione e di quella dei suoi compagni. «Ringraziamo dei buoni consigli – aggiunge – ma siamo stupiti nel sentire che non siamo Figli d’Israele (…) Sappiamo per Rivelazione Divina che siamo più che Israeliti, discendiamo dal terzo ramo di Giacobbe e direttamente da Levi. Ci troviamo fuori da Israele solo per i peccati a causa dei quali siamo stati scacciati e perseguitati dai nemici di Dio».

 

Insiste sulla necessità di apprendere le pratiche ebraiche, che non conoscono, non certo per colpa loro, ma perché nessuno ha studiato presso un Collegio Rabbinico e quello che conoscono «c’è stato insegnato dall’Unico Dio che è il solo Maestro e Pastore». Conclude con la seguente annotazione, degna di un capo e di un maestro di dottrina, «se dite che siamo fuori d’Israele, allora questo è un segno che voi non riconoscete la Rivelazione Divina, della quale siamo stati i soli destinatari prediletti», adesso alla sua comunità necessita la conoscenza del Talmud e l’apprendimento dell’ebraico per poter “emigrare in Eretz Israel”.

 

Pacifici non risponde più a nessuna lettera, le comunicazioni s’interrompono, con disappunto e sconcerto di Manduzio e della comunità.

 

A creare ulteriore malessere è l’arrivo dei messi e dell’ammenda, frutto della Circolare del 18 novembre 1935, recante la firma del Ministro degli Interni Guido Buffarini Guidi, che prevede “tolleranza zero” nei confronti dei “pentacostali, o pentecostieri o neumatici o tremolanti come sono diversamente conosciuti” perché si dedicano “a pratiche religiose contrarie all’ordine sociale e nocive dell’integrità fisica e psichica della razza”.

 

Era il manifesto per “nazionalizzare la religione cattolica” e il primo passo, come afferma Giorgio Rochat, per l’emanazione delle leggi razziali del settembre 1938.

 

Manduzio decide di nominare un suo rappresentante, affinché si rechi presso le autorità di polizia per chiedere informazioni riguardo alla multa. Nel frattempo, scrive ai fratelli delle varie comunità ebraiche. Risponde la Comunità di Firenze, nel 1937, a opera di Raffaele Cantoni, che s’interessa al loro caso e decide di recarsi a Sannicandro.

 

Manduzio, si dimostra scettico, troppe delusioni ha dovuto sopportare la sua comunità, troppe promesse sono state fatte e non mantenute. Ma deve ricredersi, Cantoni reca i candelabri, i “tallet” per ogni componente della comunità, affitta, a sue spese, un luogo di culto più grande e consono. Quando apprende che il proprietario s’oppone alla possibilità che il locale sia adibito a luogo di culto, si reca dal Podestà, dichiarando che la multa è illegittima, dal momento che si tratta di un gruppo di “ebrei” e la legge parla di “protestanti”.

 

Il podestà tranquillizza Cantoni e afferma che ha chiesto la revoca della multa e ha richiesto il permesso per esercitare il culto nella casa in affitto. La Comunità si ricrede, finalmente, non solo promesse, ma fatti concreti.

 

Quello che Manduzio e i suoi seguaci non sanno è che Cantoni è nel mirino dell’Ovra, perché secondo “notizie fiduciarie Cantoni stava viaggiando per tutta Italia, con lo scopo di svolgere subdola opera di diffamazione e disfattismo contro il Regime”. Di conseguenza la sua visita a Sannicandro, accende i riflettori sulla Comunità, che da questo momento non viene persa di vista dall’Ovra.

 

Cantoni, sembra non preoccuparsi del pericolo che lo persegue. Insiste nel voler aiutare il gruppo di Sannicandro e interessa l’amico Enrico Emilio Franco, docente di urologia a Bari, a cui racconta la storia del gruppo di Sannicandro e chiede di seguire il gruppo nel percorso di avvicinamento alla religione ebraica.

 

Il docente è stupito, poiché, nonostante, sia rimasto per cinque anni a Bari, non ha sentito mai parlare di questo gruppo e si rammarica di non potersi recare personalmente, causa il suo trasferimento presso l’ateneo di Pisa, ma suggerisce il nome di altro correligionario e medico Tullio Zappler.

 

Cantoni gli scrive. Gli espone l’esistenza della Comunità, che da anni, «vuole, regolarmente, divenire ebrei, e da molto tempo che studiano ed intendono avere la circoncisione come primo e inconfondibile segno della nuova fede. Ella ha già capito dove io voglio arrivare. Ella dovrebbe presentarsi a compiere la grande Mizwah (…) sono esseri che aspettano da noi la luce della verità e della libertà dello Spirito».

 

Mentre la comunità di Sannicandro sembra aver trovato un varco per progredire nella religione ebraica; nubi funeste si stagliano, anche in Italia, contro i figli delle dodici tribù. Infatti, nel luglio del 1938, viene pubblicato il Manifesto degli scienziati razzisti, a cui fanno seguito, tra il settembre e il novembre, dello stesso anno, una serie di leggi e decreti, comunemente, indicati con il nome di leggi razziali.

 

Tale situazione accentua il controllo della polizia sul piccolo gruppo. Il Podestà, nonché capo della Polizia, convoca Francesco Cerrone, poiché lo ritiene capo del gruppo, costui nega quest’affermazione e nega, altresì, che si siano convertiti dietro cessione di denaro e aggiunge che il gruppo non può ricevere denaro fino al riconoscimento, che doveva avvenire, solo, con la circoncisione. Il Podestà conclude il suo rapporto «il movimento di Sannicandro è d’importanza assai limitata».

 

Nonostante tutto, il Governo decide di aprire un’indagine formale sul caso di Sannicandro e, attraverso l’ambasciata italiana presso la Santa Sede, inoltra un memorandum “riservato” al Cardinale Eugenio Pacelli, Segretario di Stato del Papa e futuro Papa Pio XII.

 

Il rapporto è costruito ad arte, infatti, ignora i rapporti di polizia e del Podestà. Riferisce che i componenti del gruppo hanno condanne penali e uno di loro, tal Vincenzo Di Salvia, è stato condannato a ventidue anni di prigione per diserzione. Alla religione ebraica erano stati “attratti dalla mira di qualche lucro”. I motivi di queste accuse infamanti e false, potrebbero essere nella volontà di screditare e diffamare gli Ebrei, opera attuata sin dall’antichità, e giustificare, in parte le leggi razziali.

 

L’ufficio della Santa Sede inoltra il memorandum al Vescovo di Lucera, Monsignor Giuseppe Di Girolamo, che chiede, immediate, notizie al parroco di Sannicandro, che conferma che, da diversi anni, ci sono «dei fanatici delinquenti i quali si camuffano nel nome di Sabbatini e che si dicono seguaci della religione israelitica», il capo è Cerrone, uomo di “basso conio, zoppo, delinquente”.

 

Conclude rassicurando il vescovo che il gruppo «è molto ristretto ed esplica nessuna attività salvo qualche rara riunione in qualche casa privata». Il parroco lamenta che nonostante le segnalazioni reiterate ai carabinieri, questi non hanno ravvisato alcun reato, per questo s’era rivolto alla polizia che aveva concluso essere “quattro cenciosi miserabili e irresponsabili” per cui non v’era niente di pericoloso.

Il Vescovo ricevuta la nota del parroco, invia una relazione al Segretario di Stato ed esprime la speranza che l’attenzione prestata dal Governo a questo gruppo di persone possa sortire buoni effetti, per estirpare la mala pianta delle sette.

 

La Segreteria di Stato ritrasmette la relazione al Governo Fascista, ma modera i toni, in questo modo i delinquenti iniziali diventano “certe persone che seguono un culto non cattolico”. Il ministero degli Interni, in base alla circolare emanata il 22 agosto 1939, riguardante i pericoli delle sette, decide di chiedere ulteriori informazioni al Prefetto di Foggia. Questi riprende gli incartamenti di polizia, senza chiedere ulteriori indagini, relaziona, al suo caro amico Bocchini, capo della polizia, sulla comunità.

 

Indica come capo Cerrone, “convertitosi con la speranza di poter trarne una qualche utilità economica”. Ironia della sorte, Cerrone, in quel periodo, è in conflitto con Manduzio e vuole uscire dal gruppo, quindi si ritrova “cornuto e mazziato”, ma questo il Prefetto non lo sa, e anche se lo sa, ha poca importanza.

 

In aggiunta, il Prefetto, fedele alle direttive di sua “Eccellenza il Duce”, decide di chiedere al Podestà di estendere le leggi razziali, anche alla comunità di Sannicandro, con la conseguenza che Cerrone viene sfrattato di casa, perché, in quanto ebreo, non può abitare in un quartiere ariano e «anche alle scuole – ricorda Elezier Tritto – i fascisti ci davano fastidio. Maestri e Direttori erano fascisti, a tutti i ragazzi Ebrei li mandavano via dalla scuola, prendevano scusa che no ci facevamo il segno della Croce nel Tempio della Pregheira, io per esempio ho fatto solamento la terza elementare, come anche tutti gli altri ragazzi della Comunità».

 

Inoltre, indossano la stella, che per gli appartenenti al gruppo diviene un segno di orgoglio e di prestigio. Fortunatamente, la notizia della presenza di ebrei a Sannicandro non giunge alle SS, altrimenti la storia avrebbe preso il treno per i campi di sterminio.

 

Manduzio, non comprende cosa sta accadendo, per questo tempesta le varie comunità ebraiche alla ricerca di una risposta. Finalmente, giunge la notizia delle persecuzioni e delle deportazioni, della condanna al confino, alle isole Tremiti del filantropo Cantoni. Queste notizie lasciano interdetti i membri del gruppo, che non comprendono quali siano le ragioni di tanto odio e di tanto accanimento nei confronti degli Ebrei.



 

 

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