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N. 5 - Maggio 2008 (XXXVI)

conte Ermanno Stradelli
Un visionario italiano in Amazzonia

di Alexandre Carlos Gugliotta

 

Nell’era del colonialismo le nazioni europee iniziarono una vera e propria gara per conquistare nuovi territori in Africa e in Asia. La maggior parte dei territori furono occupati da Inghilterra e Francia, mentre Germania e Italia arrivarono “in ritardo”.

 

L’Italia, alla fine del XIX secolo, vide la crescita di molte istituzioni dedite allo studio della geografia, della storia e dell’etnografia di quei popoli con cui si iniziava un nuovo rapporto. Dentro a questo scenario, la figura dei viaggiatori sorse con grande importanza. I resoconti di tanti viaggiatori pubblicati in forma di libri o articoli, prodotti con l’appoggio dei centri di ricerca, erano un materiale che diffondeva cultura e scienza. Le loro narrative favorivano l’immaginazione per l’esotico, il diverso, e creavano la curiosità verso quei popoli che ancora vivevano in forma primitiva. La maggior parte dei viaggiatori, nella fine dell’Ottocento, sceglieva le terre africane e asiatiche per vivere nuove esperienze e avventure, mentre in pochi si rivolgevano all’America.

 

Ermanno Stradelli fu un’eccezione. La sua scelta itineraria fu l’Amazzonia brasiliana, sfuggendo totalmente dalle rotte scelte normalmente dagli altri. Scelse di vivere in Brasile, prendendo anche la cittadinanza brasiliana. Fra i tanti luoghi scelti dai viaggiatori italiani della fine dell’ottocento, l’immensa foresta amazzonica scelta da Stradelli non era da meno in termini di esotismo, ricerca di nuove avventure e luogo per ricerche scientifiche, sia per la sua esuberante fauna e flora, sia per i tipi umani che lì vivevano.

 

Quando nel 1879, il giovani aristocratritico ventisettenne, nato a Borgotaro, decise di abbandonare i suoi studi in Giurisprudenza a Pisa per andare a conoscere l’immensa foresta equatoriale, il Brasile era ancora governato dal monarca Don Pedro II, della dinastia di Bragança, l’unica monarchia dell’America. L’Amazzonia era ancora una regione sconosciuta ed esotica per la maggior parte dei brasiliani di quell’epoca. Una terra “selvaggia” situata all’estremo nord, ossia molto lontana della capitale del Brasile di quel periodo: la città di Rio di Janeiro, dove la Corte di Pedro II governava centralizzando il potere, non lasciando che le diverse province dell’immenso Impero Brasiliano avessero libertà per auto-gestirsi.

 

Da quando diventò una colonia del Portogallo, la regione dell’Amazzonia è stata chiusa alle imprese straniere, ma era lentamente visitata dai missionari francescani, gesuiti e carmelite di diverse nazionalità europee, che fondarono missioni per catechizzare gli indios. Soltanto nel anno di 1867, il governo imperiale decise di aprire il grandioso fiume alle navi straniere. Nel secolo dell’egemonia borghese, era insostenibile per le nazioni industrializzate e per quelle che confinavano con il Brasile e anche per alcuni politici liberali brasiliani che questa regione del globo si mantenesse chiusa al commercio internazionale. Così, nella seconda metà del XIX secolo, l’Amazzonia subì un accelerato sviluppo con l’inserzione del capitale in questa regione, che si arrendeva alla logica del lucro.

 

C’era, in quella regione equatoriale, un albero che da molto tempo era conosciuto dagli indios: la “seringueira”, che forniva una specie di liquido bianco con il quale si poteva creare una gomma... la gomma estratta dalle seringueiras apriva l’Amazzonia al mondo. È all'interno di questo scenario che il conte italiano Ermanno Stradelli arrivò nell’Amazzonia.

 

Con l’aiuto della Società Geografica Italiana, il nobile avventuriero sbarcò nel Pará nell’1879. Portava nelle sue valigie diversi strumenti, come una macchina fotografica, carte geografiche e una piccola farmacia omeopatica – l’omeopatia era una delle grandi passioni di Stradelli. Attento ad avere un bollettino dettagliato su tutto ciò che vedeva, Stradelli non aveva dimenticato di descrivere ogni importanza geografica con cui si trovava davanti: cascate, estensione di fiumi, aspetti della flora e della fauna, confezionando un vero diario di viaggio. Ma oltre alla  geografia locale e le questioni dello sviluppo della gomma, logicamente, il principale compito svolto da Stradelli, riguardava agli indios. La maggior parte dei suoi bollettini spediti alla Societa Geografica Italiana parlavano di questo tema.

 

Il conte italiano narrava le scene osservate e vissute da lui mentre viveva in mezzo agli indios e faceva il paragone tra i popoli civili e i popoli rimasti nella barbarie. Il soggiorno di Stradelli in Brasile fu lungo: ritornò in Italia solo altre due volte.

La prima nell’anno 1884, per finire il suo corso di Diritto a Pisa. Per ritornare in Brasile ancora una volta, chiese l’aiuto alla Società Geografica Italiana perché aveva un progetto in mente: scoprire la sorgente  del fiume Orenoco. Sbarcò in Venezuela nel mese di marzo del 1887 e riuscì a ottenere il permesso ufficiale per sviluppare la nuova avventura. Malgrado lo avessero informato che un altro esploratore, il francese Chaffanjon, già aveva scoperto la sorgente nel dicembre del 1886, Stradelli e insistette che Chaffanjon non era di fatto arrivato alla sorgente in questione.

 

La seconda volta che tornò in Italia fu nel 1897, quando ebbe un incontro con l’imprenditore Giovanni Battista Pirelli per proporre la creazione di una associazione italo-brasiliana per l’ estrazione della gomma. Di ritorno al Brasile, dopo il congedo familiare e il rifiuto di Pirelli, Stradelli non ha mai più rivisto la sua patria. Ma già al ritorno del primo viaggio in Italia, il rapporto di Stradelli con i popoli della foresta  era diventato  più forte. Nel 1889 scriveva ai suoi lettori in Italia sulla necessità di lasciare che i popoli indigeni vivessero in pace nella foresta.

 

Volere imporre attraverso la forza un’altra cultura agli índios e volere sottomettere il loro modo di vita, significava la degradazione di questi popoli. Certamente, lui credeva ancora, seguendo la logica dell’iluminismo, che tutti gli uomini erano condannati alla civilizzazione. Però, la questione che sorgeva allora era quella di pensare sulla migliore maniera per arrivare a questo livello di progresso e civiltà. Per Stradelli, questo si poteva raggiungere in modo pacifico, senza imposizioni per gli índios. Un esercizio di riflessione per pensare la civiltà dentro un contesto che lui sapeva essere egemonico.

 

Il cammino di incontro tra questi due mondi doveva essere lento, e toccava ai civili avere una maggiore comprensione, rispettando la cultura dei popoli della foresta, comprendo meglio le loro. Davanti a queste riflessioni, Stradelli avrebbe offerto un cammino sicuro a tutti quelli che condividevano le sue idee. Il punto di partenza era la lingua: conoscere la lingua di quei popoli era già un grande passo per far sì che l’incontro di questi due mondi avvenisse in maniera armonica.

 

Un nuovo progetto cominciò ad essere sviluppato da Stradelli, riuscito intanto ad avere la cittadinanza brasiliana: l’elaborazione di un dizionario portoghese-nheêngatú e nheêngatú-portoghese. Il nheêngatú, o la “língua geral”, era un dialetto della lingua che i portoghesi incontrarono in Brasile all’epoca dello scoperta, parlata dall’Amazonas al Prata dalla maggioranza delle tribu della costa. Conoscere il nheêngatú, nella visione di Stradelli, significava avere rispetto per quei popoli e piano piano conquistare la loro fiducia.

 

I commercianti e tutti quelli che avevano bisogno di un rapporto più stretto con gli indios, dovevano conoscere il nheêngatú, facendo sì che le relazioni si sviluppassero in maniera più armoniosa. Stradelli era convinto che ognuno che parlasse la lingua dell’altro fosse, lì nell’ “Amazonas” o in qualsiasi parte del mondo, permetteva che il processo di civilizzazione accadesse in maniera naturale. Arrivare in una tribù ed esprimersi in portoghese, diceva Stradelli, significava creare un ambiente di paura per alcuni índios, che erano abituati a sentire la lingua del conquistatore, la lingua dello straniero, la lingua del nemico. Le storie passate da generazione a generazione sulla ferocia dei bianchi avevano lasciato segni che si manifestavano nella diffidenza da parte dei nativi della foresta.

 

Lo scritto di Stradelli era solido e diretto: questi sembrava non avere la minima preoccupazione di dare piacere ai suoi lettori. Non era nella sua natura, ben diverso dai tanti viaggiatori di questo periodo, condire la sua narrativa, usare un tono avventuriero, portare i suoi lettori verso un cammino di fantasia. Ma, come abbiamo visto, lo Stradelli era comunque un uomo di estrema sensibilità, avendo avuto la capacità di capire i grandi problemi sociali che subivano gli abitanti dell’Amazzonia.

 

Come uomo del suo tempo, non negava l’avvanzamento del progresso e degli ideali della civiltà, peró dimostrò ai suoi lettori che un´altra via per conquistare questo livello di progresso era possibile.

Il Conte Ermanno Stradelli morì nel 1926, vittima della lebbra.

 

 

 

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