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N. 96 - Dicembre 2015 (CXXVII)

UNA TERRA AMBITA E CONTESA

GRECI E CARTAGINESI ALLA CONQUISTA DELLA SICILIA - PARTE II

di Paola Scollo

 

L’arrivo dei Greci compromise l’equilibrio raggiunto tra Fenici e popolazioni locali. Lo scontro si rese inevitabile nel momento in cui gli interessi delle due potenze furono ravvicinati e incompatibili. I Greci temevano infatti di perdere il dominio commerciale sulle rotte di metalli della Spagna, mentre i Cartaginesi non intendevano rinunciare all’egemonia sul Mediterraneo occidentale e sulla Sicilia. Ne derivò una serie di conflitti - le cosiddette guerre greco-puniche - che tra il 600 e il 265 a.C. videro di fatto contrapposte la città di Cartagine, simbolo della cultura fenicio-punica in Occidente, e quella di Siracusa.

 

Le guerre greco-puniche si svolsero prevalentemente nei pressi del Golfo del Leone, nel mar Tirreno, in Sicilia e in Africa settentrionale, con un andamento alterno e incerto per entrambi gli schieramenti. La prima battaglia navale, che ebbe luogo nel contesto della fondazione di Massalia (l’odierna Marsiglia), si concluse con la vittoria dei Greci. Con i trattati di pace del 576 a.C. vennero restituiti ai legittimi proprietari i territori occupati dai Selinuntini. Tra il 560 e il 550 a.C. il generale cartaginese Malco riportò significativi successi sui Greci lungo la costa occidentale dell’isola. In seguito a questa spedizione tutte le città elime e fenicie divennero protettorati punici. E proprio a partire da questo momento ebbe inizio la dominazione cartaginese sull’isola, erede di quella fenicia.

 

Nel 483 a.C. Terillo, tiranno di Imera, cacciato da Terone di Agrigento, invocò l’aiuto di Cartagine, offrendo quali ostaggi ad Amilcare i figli del genero Anassilao. In tre anni i Cartaginesi riuscirono a organizzare un esercito, guidato da Amilcare Magone, superiore per quantità alle truppe siracusane di Gelone di Siracusa e di Terone di Agrigento. Tuttavia, durante il viaggio verso la Sicilia la flotta di Amilcare Magone subì la perdita della cavalleria a causa delle avverse condizioni meteorologiche. Giunti a Palermo, nel 480 a.C. i Cartaginesi si arrestarono nei pressi di Imera. Qui l’esercito venne duramente sconfitto in una battaglia nel corso della quale lo stesso Amilcare trovò la morte. Soltanto la punta estrema d’occidente rimase sotto il controllo cartaginese. Ai vinti furono imposte dure condizioni di resa, tra cui il versamento di un’indennità di 2.000 talenti e l’obbligo di abbandonare la tradizione punica di sacrificare bambini agli dèi. Piegato dalla disfatta, il governo cartaginese venne sostituito da un’élite aristocratica destinata a reggere le sorti della città fino alla sua caduta nel 146 a.C. Per circa settant’anni i Cartaginesi non ingaggiarono spedizioni militari contro la Sicilia.

 

In seguito alla sconfitta di Atene a Siracusa nel 413 a.C. al termine della guerra del Peloponneso, Segesta andò alla ricerca di alleati per difendersi dalle ingerenze di Selinunte, alleata di Siracusa. Al fine di tutelare i propri interessi nella zona occidentale dell’isola, Cartagine offrì aiuto agli Elimi, disposti a divenirne membri dipendenti. Di fronte all’intransigenza di Selinunte, i Cartaginesi abbandonarono ogni via diplomatica. Organizzarono un esercito composto da 5.000 Libi e 800 mercenari Campani guidati da Annibale Magone, figlio di Amilcare, e nel 410 a.C. respinsero i Selinuntini entro il loro territorio. Nel 409 a.C. Annibale sbarcò con il suo esercito nei pressi del promontorio di Lilibeo, riuscendo a espugnare la città di Selinunte dopo nove giorni di assedio. In seguito venne riunito un esercito di circa 40.000 uomini contro Imera. Dopo un successo iniziale, gli Imeresi furono messi in fuga con ingenti perdite umane. Diocle li esortò pertanto ad abbandonare la città. Il giorno successivo i Cartaginesi rasero al suolo la città e fecero strage della popolazione. Amilcare poté ritornare in patria con un ingente bottino, pienamente soddisfatto per la conquista delle città di Selinunte, Imera, Agrigento, Gela e Camarina. Dopo la seconda spedizione militare il dominio cartaginese sull’isola divenne una sorta di epicrazia, ossia un controllo di natura militare e commerciale.

 

Nel 406 a.C. seguì un ulteriore tentativo da parte dei Cartaginesi di conquistare la Sicilia. L’iniziativa fu portata a compimento da Annibale Magone, alla guida di un esercito di Libi, Maurusi, Iberi, Fenici, Campani e Numidi. Dopo la vittoria sui Cartaginesi nei pressi di Erice, i Siracusani chiesero aiuti alle città greche d’Italia e a Sparta. Annibale scelse di assediare Akragas, ma fallì nel suo tentativo. Anzi, perse la vita a causa di un’epidemia di peste dilagata nell’accampamento cartaginese. La guida dell’esercito fu quindi assunta dal vice di Annibale, Imilcone, che non fu in grado di opporre resistenza all’esercito siracusano giunto a difesa di Akragas. Successivamente una flotta di Imilcone ottenne una notevole vittoria contro uno schieramento di navi siracusane. I mercenari campani e gli alleati greci si dettero alla fuga e Akragas capitolò dopo un assedio di sette mesi nel dicembre dello stesso anno.

 

Dopo la conquista di Akragas, Imilcone cinse d’assedio la città di Gela. Gli abitanti resistettero fino all’arrivo del tiranno di Siracusa Dionisio I, alla guida di un esercito di circa 30.000 fanti e di una flotta di 50 navi. Dinanzi alle mura di Gela Dionisio tentò un assalto, ma fu respinto. Fece perciò evacuare la popolazione di Gela e di Camarina, mentre Imilcone riuscì prontamente a occupare le due città. Nel 404 a.C. furono avviate trattative di pace in base alle quali i Cartaginesi avrebbero mantenuto il dominio sui territori dei Sicani e degli Elimi, mentre le città conquistate, una volta ripopolate, avrebbero dovuto versare un regolare tributo a Cartagine. Imilcone preparò un ingresso trionfale in Africa.



 

 

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