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N. 16 - Settembre 2006

LA CONFERENZA DI VIENNA E IL FUTURO DEL KOSOVO

La Serbia risponderà con le armi alla possibile indipendenza?

di Leila Tavi

 

A Vienna, nel palazzo Auersperg, si sono incontrate dal 24 al 26 luglio le delegazioni di Belgrado e di Priština per discutere dell’indipendenza del Kosovo dallo Stato serbo.

 

La delegazione serba era composta dal Presidente della Repubblica Boris Tadić, dal premier Vojislav Kustunica e dal Ministro degli esteri Vuk Drašković.

 

I Kosovari sono stati rappresentati invece dal Presidente Fatmir Sejdiu e dal primo Ministro  Agim Ceku; come voce dell’opposizione hanno partecipato Hasim Thaci e Veton Surroi.

 

A mediare le trattative per l’ONU è stato nominato l’ex presidente finlandese Martti Athisaari, insieme al diplomatico austriaco Albert Rohan.

 

Nonostante le aspettative degli addetti ai lavori degli organismi internazionali, di poter trovare un accordo in vista dell’ormai avviato e irreversibile processo di indipendenza del Kosovo, le posizioni radicali di entrambe le parti rispetto alla questione hanno reso i negoziati difficili.

 

Muhamet Hamiti, il portavoce di Sejdiu, ha dichiarato che la delegazione si è recata a Vienna solo per la causa dell’indipendenza, non certo per negoziarla.

I Kosovari di etnia albanese si aspettano che già alla fine dell’anno sarà possibile ottenere una forma di indipendenza, anche se sui generis, ma con la piena sovranità.

 

I Serbi, dopo la recente scissione del Montenegro, vedono la questione kosovara come l’ultimo appiglio per una dimostrazione di potenza nei Balcani.

 

“La Serbia non può accettare la creazione di uno stato separato sul 15% del suo territorio” ha dichiarato Kostunica.

 

La reazione dell’ultranazionalista del SRS, Tomislav Nikolić, è stata ancora più incisiva: ha dichiarato che i serbi sono pronti a imbracciare le armi e a lottare per il Kosovo anche contro la comunità internazionale e le Nazioni Unite.

 

A detta della delegazione serba Athisaari non sarebbe un buon mediatore perché parteggia apertamente per i Kosovari albanesi.

 

Con una popolazione formata dal 90% da cittadini di etnia albanese e con un passato di torture, persecuzioni, stupri e tentativo di genocidio da parte dei Serbi nei confronti dei Kosovari sarebbe difficile da parte delle Nazioni Unite propendere per la soluzione dell’autonomia offerta dai Serbi.

 

Lo stesso Kostunica ha ammesso nell’ottobre 2000 la colpa collettiva del genocidio.

 

A Vienna però l’Elefantenrunde, il primo incontro del meeting, si è aperto e concluso senza strette di mano tra la delegazione serba e quella kosovara: Kustunica non ha confermato la sua partecipazione se non all’ultimo momento; la presenza di Ceku e Thaci tra i delegati kosovari ha inasprito ancora di più l’animo dei serbi, già infastiditi dal netto e visibile consenso da parte dei mediatori per le posizioni della delegazione kosovara.

 

Ceku, ha prestato servizio nell’esercito croato durante la guerra del 1992 e ha organizzato il primo gruppo di resistenza durante la rivolta del Kosovo, mentre Thaci è il leader dell’UCK, (Ustria Clirmintarie e Kosoves– Fronte di liberazione); entrambi sono stati condannati in contumacia dalla giustizia serba per crimini di guerra.

 

Sejdiu  ha dichiarato:” L’indipendenza è l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine della nostra posizione”.

 

Il nuovo status del Kosovo non potrà, con queste premesse, essere il risultato di una trattativa tra le due parti ma, piuttosto, sarà compito del Consiglio di sicurezza dell’ONU assumersi la responsabilità di optare per una delle due soluzioni proposte dalle due delegazioni o una possibile variante all’interno di questi due modelli: un’autonomia sostanziale, appoggiata dai serbi e una totale indipendenza richiesta con forza dai kosovari.

 

Le possibili soluzioni che saranno discusse in seno al Consiglio di sicurezza delle NU sono:

 

Indipendenza “condizionata” o “sorvegliata”: con una road map da seguire e sotto la diretta sorveglianza dei soldati UN e NATO e che prevede la tolleranza e l’accettazione delle minoranze all’interno del territorio del nuovo stato. Caldeggiata dai mediatori.

 

Autonomia all’interno della Serbia: è il cavallo di battaglia della Serbia e molto probabilmente, se presentato, otterrebbe l’appoggio della Cina e della Russia all’interno del Consiglio di Sicurezza.

 

Indipendenza: “l’unica soluzione” possibile per i Kosovari, ma che potrebbe destabilizzare i Balcani ancora una volta, soprattutto se pensiamo alla Macedonia e alla Bosnia-Erzegovina.

 

Separazione: la parte nord rimarrebbe alla Serbia, il resto all’etnia albanese, forse l’unica soluzione che potrebbe trovare d’accordo le due parti se, dopo mesi di trattative, non si arriverà altra soluzione.

 

Costituzione di due entità: si tratta della proposta di Tadić del novembre 2005, la sovranità resterebbe comunque alla Serbia.

 

Dovrebbe prevalere tra gli addetti ai lavori la teoria dell’indipendenza condizionata, basata soprattutto sui tre punti del Gruppo di contatto, che hanno richiamato l’attenzione delle due delegazioni, soprattutto quella serba, in primis sul fattore demografico: il Kosovo è composto per il 90% da Kosovari di etnia albanese e solo per il 10% dall’etnia serba e poi sul fatto che non sarà possibile ripristinare la situazione precedente al marzo 1999, quando iniziò e che per la salvaguardia della stabilità nella regione balcanica non sarà possibile annettere il Kosovo ad altre regioni limitrofe.

 

Il coordinatore speciale per il patto di stabilità nei Balcani, Erhard Busek, si è pronunciato a favore dell’indipendenza, così come Jessen–Petersen, rappresentante speciale del Segretario generale delle NU e, fino a giugno scorso, capo dell’UNMIK, la missione di pace delle NU in Kosovo; perfino il primo ministro britannico Tony Blair ha espresso pubblicamente il desiderio di vedere un Kosovo indipendente.

 

I Serbi, a fronte delle recenti espressioni di intolleranza in Kosovo nei confronti dei cittadini di etnia serba e confessione cristiana ortodossa, hanno richiesto 40 aree di protezione, pattugliate dai Caschi blu, intorno ai centri dove si trovano monumenti e monasteri; i mediatori hanno previsto invece solo 12 di questi centri.

Ancora vivono in Kosovo circa 100.000 cittadini di etnia serba.

 

In un’intervista rilasciata da Drašković al settimanale tedesco “Der Spiegel” il ministro degli esteri serbo ha messo in guardia la comunità internazionale nei confronti di un Kosovo indipendente.

 

Drašković ha parlato di farsa riguardo alla questione della multietnicità in Kosovo, riferendosi all’esodo forzato di 220.000 Serbi e di altre etnie diverse da quella albanese; alle 40.000 case serbe distrutte e ai 1.000 civili serbi uccisi.

 

A giugno Kostunica ha visitato il Kosovo in occasione della commemorazione della battaglia di Kosovo Polje (in serbo Косовски бој o Бој на Косову), dal nome della piana a nord di Priština, combattuta dal Knez (principe e condottiero) Lazar Hrebljenović contro il sultano Murad I il 23 giugno del 1389.

 

In quell’occasione l’esercito dell’impero serbo fu trucidato dagli ottomani; la battaglia è ricordata in Serbia perciò come il martirio dei Serbi per difendere i cristiani dall’avanzata dei musulmani.

 

Le giustificazioni della delegazione serba a un rifiuto dell’indipendenza al Kosovo si basano poi su un, a nostro avviso infondato, timore di aumento della criminalità organizzata nei Balcani a seguito dell’indipendenza.

 

Ma il peso della colpa collettiva sui Serbi ha conseguenze all’interno dei confini nazionali e a livello internazionale.

 

L’implicito baratto sottoposto dalle Nazioni unite e dall’UE alla Serbia di scambiare l’accettazione della candidatura all’EU in cambio del riconoscimento del futuro stato del Kosovo ha contribuito a rendere la trattativa ancora più difficile.

 

Drašković si ritiene convinto del fatto che se il Kosovo otterrà l’indipendenza anche l’entusiastico europeismo della gente serba, che per il 89% si dichiara a favore dell’entrata nell’UE e per il 60% per il partenariato per la pace, si spegnerà.

 

L’appuntamento di Vienna è giunto dopo sei mesi di colloqui e trattative svolti sempre sotto il controllo e attraverso la mediazione delle NU.

 

Il Kosovo è sotto il protettorato delle NU dal bombardamento NATO del 1999 e sorvegliata da circa 17.000 uomini della stessa NATO (operazione KFOR), che non abbandonerebbero il territorio neanche dopo l’indipendenza per garantire che non si verificheranno scontri etnici.

 

Qualche giorno fa nel Café “Dolce vita”di Mitrovica, la città divisa che si trova nella parte settentrionale del Kosovo, è scoppiata una bomba.

 

L’ordigno è stato lanciato verso il caffè dal vicino ponte sul fiume Ibar ad opera di un 16 d’etnia albanese. Ci sono stati solo feriti; si suppone che l’attentato fosse diretto a Oliver Ivanovic, capo della lista per il Kosovo e la Metohija.

 

Dopo l’esplosione 300 serbi hanno dimostrato per protesta sopra al ponte; l’adolescente autore dell’attentato è stato arrestato poco dopo.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

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