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attualità


N. 139 - Luglio 2019 (CLXX)

un viaggio in futuro disToPico

i muse a roma

di Riccardo Filippo Mancini

 

L’ultimo album del celebre trio di Teignmouth (nel Devon), datato novembre 2018, ha portato la band inglese aesplorare nuove sonorità, segnando un cambio di passo netto rispetto al rock più duro del precedente lavoro, Drones, uscito nel 2014. Un lavoro con tanti elementi di musica elettronica, più soft, con elementi pop ispirati chiaramente agli anni ’80. Simulation Theory è un’altra tappa dell’evoluzione musicale del gruppo britannico, capace di crescere, sperimentare, mutare, mantenendo però sempre degli elementi di riconoscibilità: un sound che in qualche modo si riesce a identificare negli anni. L’album segue un filone tematico preciso: realtà virtuale, realtà simulata (che è sempre più presente nella nostra quotidianità), un mondo pieno di tecnologia che alla fine prende il controllo.


A livello musicale gli anni ’80 vengono fuori in modo prepotente: sintetizzatori, drum machine, uniti alla vena più rock della band, per un risultato finale sicuramente originale e canzoni molto godibili. Anche se non è mancata qualche critica: passare dalle atmosfere cupe di Drones a un disco comunque più “leggero” e assolutamente più pop non ha trovato il gradimento di tutti.

C'era in ogni caso grande attesa tra i fan (e non solo) per il tour di Matthew Bellamy e soci. Qualche anticipazione era arrivata anche nei mesi precedenti, con qualche teaser che faceva presagire, ancora una volta, uno spettacolo di alto livello. Dopo le due date di Milano il 12 e 13 luglio, i Muse sono sbarcati all’Olimpico di Roma (teatro di un clamoroso concerto nel 2013 divenuto poi un dvd) il 20 luglio.


Lo show è ambientato in un futuro distopico dominato dalle macchine (tantissimi i riferimenti fonte di ispirazione dello spettacolo, da 1984 di Orwell fino a Blade Runner e Ritorno al futuro, ma anche la serie tv Black Mirror, per ammissione della stessa band), che hanno preso il sopravvento sull’uomo e lo controllano, gli danno la caccia. Il palco – enorme - sembra quasi un’astronave piena di luci (e ci sarà tempo anche per un piccolo omaggio ai 50 anni dall’allunaggio), con un megaschermo in alta definizione alle spalle del trio che la fa da padrone assoluto.  C’è da sottolineare che per la prima volta i Muse hanno deciso di inserire dei dancers sul palco ad accompagnare la loro esibizione: un elemento di grande novità, con tante coreografie piene di luci e macchine del fumo che a tratti hanno fatto pensare ad un musical.

Intorno alle 21.30 finalmente si parte con Algorithm (prima traccia di Simulation Theory) e con i ballerini che fin da subito occupano la scena in un tripudio di costumi fluorescenti, seguita subito da Pressure, sicuramente il singolo di maggior successo estratto dall’album. Ventata di rock più duro con Psycho, poi ancora Break It to Me, UprisingPropaganda e un classicissimo (ma assolutamente sempre verde) come Plug In Baby. L’Olimpico risponde presente alle sollecitazioni, il volume del pubblico presente allo Stadio a tratti quasi copre la voce di Bellamy, che dal canto suo invita i fan a cantare con lui, in particolare a intonare il ritornello della canzone, chiusa come sempre dalle distorsioni della sua chitarra. Il pubblico è in tripudio.

Partenza velocissima, primo piccolo momento soft con Pray (high valyrian), canzone che Matthew Bellamy ha composto da solista, uscita in occasione di una raccolta di brani ispirati alla celebre saga di Game of Thrones. Ma si ricomincia subito forte: The Dark Side, Supermassive Black Hole, Thought Contagion, il ritmo vertiginoso di Hysteria con Chris Wolstenholme che si prende la scena col suo riff di basso, Bliss (sempre meravigliosa dal vivo, gli anni non la scalfiscono) e The 2nd Law: Unsustainable.

Il trio si sposta poi nella lunghissima pedana centrale per una bella versione di Dig Down, che segna un altro momento soft.  Appena il tempo di prendere fiato e si odono riconoscibilissime le prime note di Madness, pezzo che all’uscita che non trovò accoglienza favorevole da parte della critica, ma che ha trovato un posto nel cuore dei fan.


È poi il turno di Mercy, durante la quale Bellamy trova anche il modo per scendere a cercare un contatto più ravvicinato coi fan, e risale sul palco con una bandiera italiana che poggia sulla cassa della batteria suonata come sempre alla grande da Dominic Howard. Poi in rapida sequenza arrivano Time Is Running Out e un quasi oramai classico momento strumentale (Houston Jam) a introdurre Take a Bow (wow) e la bellissima Starlight cantata a squarciagola da ogni singolo spettatore presente, come una sola voce.

 

Momento di stop (brevissimo) con una nuova esecuzione di Algorithm poi luci spente e si parte con il gran finale: un gigantesco mostro simil-Alien appare alle spalle del trio, lasciando a bocca aperta lo stadio.
Medley potentissimo composto da 5 pezzi tra i più rock della band: Stockholm syndrome / Assassin / Reapers / The handler / New born. Una botta di musica pazzesca.

La chiusura del concerto non poteva che essere affidata alla oramai iconica Knights of Cydonia, introdotta come sempre dalle note di “Man with a Harmonica” di Ennio Morricone.  Sipario, boati, tripudio totale. Due ore di musica volate letteralmente via, un grande concerto, con i Muse che vanno a prendersi gli applausi e il calore di un pubblico, quello italiano, che ha sempre dimostrato vero amore per la band. E loro fanno altrettanto, sfilando con il tricolore in mano: ma quando c’è il prossimo tour?



 

 

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