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N. 124 - Aprile 2018 (CLV)

L’immigrazione e l’Europa
Come si è arrivati a una politica comune di immigrazione

di Riccardo Filippo Mancini

 

Da molti anni ormai, le prime notizie che riempiono le pagine dei giornali e i servizi dei telegiornali sono quelle riguardanti il flusso migratorio e la risposta europea a questa crisi umanitaria.

 

Si parla spesso di rivedere e modificare il Trattato di Dublino e la politica dell’Unione Europea in materia di immigrazione, ma di cosa parliamo esattamente? Quando e per quale motivo l’Europa ha cominciato a parlare di una politica di immigrazione e asilo comune? E quali traguardi sono stati raggiunti?

 

Tutto è cominciato con l’atto di nascita della Comunità Economica Europea (CEE), il Trattato di Roma del 1957, dove però gli unici riferimenti a cittadini di paesi terzi erano quelli ai familiari extra-comunitari di un cittadino comunitario, che lavoravano all’interno della nascente Comunità. Questo primo Trattato non considerava nemmeno il diritto d’asilo, che rimaneva di competenza nazionale, secondo la Convenzione di Ginevra del 1951.

 

È a partire dagli anni Settanta che l’Europa divenne un polo attrattivo per i cittadini di paesi terzi e, conseguentemente, la Commissione europea promosse le prime importanti iniziative. Nonostante questa spinta della Commissione, le prime forme di cooperazione tra gli Stati membri in materia di immigrazione e asilo si svilupparono al di fuori della cornice comunitaria. L’iniziativa più importante, infatti, venne realizzata da un gruppo ristretto di Stati (Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Olanda) con i famosi Accordi di Schengen del 1985, applicati con la convenzione del 1990.

 

Questo accordo, a cui hanno poi aderito tutti i paesi UE tranne Regno Unito e Irlanda, prevedeva l’abolizione graduale delle frontiere interne e la costruzione di un’unica frontiera esterna. Gli accordi di Schengen costituiscono il primo laboratorio giuridico per la definizione di strumenti e modalità di controllo dei flussi migratori provenienti da Stati terzi.

 

Gli accordi interessano anche il diritto di asilo, su cui gli Stati discussero anche al Consiglio di Londra del 1986, riguardo “la lotta contro l’abuso dell’istituto del diritto d’asilo”, che divenne prioritaria rispetto all’armonizzazione comunitaria. I paesi europei, invece di puntare alla realizzazione di una politica europea fondata sulla creazione di un regime comune d’asilo, preferirono una politica comune del “non ingresso”, quale reazione rispetto al crescente fenomeno migratorio.

 

Gli Accordi di Schengen del 1990 prevedevano, infatti, che per ciascuna domanda d’asilo presentata nel territorio di Schengen vi fosse un solo Stato competente per l’esame: se la decisione fosse stata positiva, il rifugiato poteva circolare in tutta l’area comunitaria; se negativa veniva impedita la presentazione della domanda in un altro Stato.

 

Nel 1990 si tenne un’altra Convenzione molto importante riguardo il diritto d’asilo in Europa, ovvero la nota Convenzione di Dublino. Tra gli obiettivi della Convenzione vi era quello di ridurre i fenomeni noti come asylum shopping e “rifugiati in orbita”. Il primo riguardava la presentazione della domanda di asilo in più Stati simultaneamente da parte di uno stesso individuo, mentre il secondo concerneva gli individui rinviati da Stato a Stato a causa di ripetute declinazioni di responsabilità da parte dei governi.

 

L’obiettivo della Convenzione di Dublino era quello di identificare sempre uno stato responsabile a esaminare la domanda di asilo, motivo per cui vennero poste una serie di condizioni gerarchiche, tra cui la più nota era l’obbligo di richiedere l’asilo nello stato in cui si arrivava.

 

Un’altra tappa fondamentale della politica migratoria europea è il Trattato di Maastricht, entrato in vigore nel 1993 e suddiviso in tre pilastri. Proprio nel terzo pilastro, dedicato alle questioni di “Giustizia e Affari Interni”, vengono attribuite all’Unione competenze in materia di immigrazione e asilo, sempre caratterizzate dal metodo intergovernativo. Il Trattato si configura come una soluzione di compromesso tra le posizioni di chi si opponeva all’attribuzione di competenze all’Unione in materia di immigrazione e chi riteneva necessario rafforzare il ruolo delle istituzioni comunitarie, abbandonando l’approccio intergovernativo.

 

Gli Stati membri, dunque, concordarono sulla necessità di introdurre strumenti comunitari, poiché consapevoli delle sempre maggiori dimensioni del fenomeno migratorio nello scenario post-guerra fredda. Il Trattato, però, non prevede un coordinamento con gli accordi di Schengen. L’obiettivo perseguito a Maastricht è quello di un’Unione fondata sulla libertà e i diritti degli individui, intesi non come soggetti economicamente rilevanti, ma come individui in quanto tali.

 

Il trattato di Maastricht rappresenta dunque una tappa molo importante, perché, pur rimanendo nel contesto intergovernativo, riconduce la materia dell’immigrazione e dell’asilo nel quadro comunitario. La “comunitarizzazione” della materia, invece, avverrà successivamente con il Trattato di Amsterdam firmato nel 1997 ed entrato in vigore nel 1999.

 

Il Trattato di Amsterdam si configura a detta di molti come una vera “rivoluzione copernicana” in materia di immigrazione e asilo, portando alla comunitarizzazione della disciplina. L’innovazione di questo Trattato è stata la ristrutturazione del terzo pilastro dell’Unione, di cui le materie di visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse alla libera circolazione sono state ricondotte al primo pilastro.

 

Con la “comunitarizzazione” gli Stati membri hanno quindi deciso di ampliare le competenze dell’Unione in maniera progressiva, con un tempo transitorio di cinque anni dall’entrata in vigore del Trattato. La seconda importante innovazione del Trattato di Amsterdam è stata l’incorporazione dell’acquis di Schengen nel titolo IV. Gli Accordi di Schengen, che prima poggiavano le loro basi giuridiche sul diritto internazionale, vengono ora ricondotti nel quadro dell’UE, costituendo lo standard minimo per lo “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”.

 

L’Unione diventa così competente in materia di rilascio di visti, controllo delle frontiere, circolazione di cittadini di paesi terzi nello spazio comunitario, misure in materia di asilo (competenza a esaminare le domande, norme minime di accoglienza, sull’attribuzione della qualifica di rifugiato, sulla concessione o revoca dello status di rifugiato), misure in materia di immigrazione (condizioni di ingresso e soggiorno, rilascio di visti di lungo termine e permessi di soggiorno, compreso quello per il ricongiungimento familiare), rimpatrio degli irregolari.

 

Il Trattato di Amsterdam sottolinea l’importanza di azioni congiunte in ambito di immigrazione e asilo, che vadano al di là delle consultazioni previste dal Trattato di Maastricht, avviando la pratica di armonizzazione tra le legislazioni nazionali su queste materie. C’è da sottolineare come però tali disposizioni rimarranno (e rimangono) spesso lettera morta, andandosi a scontrare con le resistenze degli Stati membri su una materia così sensibile e complessa.

 

A completare il processo di comunitarizzazione è la Conferenza di Tampere, nell’ottobre 1999, che pose le fondamenta per la costruzione dell’azione europea in campo di immigrazione e asilo, tracciando scadenze e priorità per la piena realizzazione del precedente Trattato di Amsterdam. Venne adottato un piano d’azione per gli anni 1999-2003, che partiva dalla volontà di elaborare una “politica europea in materia di immigrazione e asilo”.

 

Il Consiglio europeo decise di muoversi su quattro indirizzi, noti come i “capisaldi di Tampere”: il partenariato con i paesi d’origine; il regime europeo comune in materia di asilo; l’equo trattamento dei cittadini di paesi terzi; la gestione dei flussi migratori.

 

A seguito della Conferenza di Tampere, la Commissione ha presentato varie proposte per la realizzazione dei capisaldi del programma, molte delle quali sono diventate atti normativi.

 

In questa prima fase di costruzione di un regime comune europeo in materia d’asilo, gli Stati membri si concentrarono su due diversi aspetti: in primis il riconoscimento dello Stato membro che ha la responsabilità di esaminare la domanda di asilo e in seconda battuta l’elaborazione di procedure e garanzie comuni.

 

Nel febbraio 2003, i paesi membri approvarono un nuovo regolamento, il 343/2003, per individuare lo Stato responsabile a esaminare la domanda d’asilo, noto come Regolamento di Dublino II. Quest’ultimo prevedeva una distinzione nella procedura tra “taking charge” e “taking back”, dove la prima indica di farsi carico delle richieste d’asilo che non siano state presentate in altri Stati, mentre la seconda si riferisce al rifiuto delle richieste già sotto esame o già rifiutate da gli altri membri.

 

All’interno del quadro per un regime comune di asilo rientra anche la Direttiva 2003/09, o Direttiva Accoglienza, sugli standard di accoglienza dei rifugiati; la Direttiva 2004/83, o Direttiva Qualifiche, la quale ebbe il pregio di stabilire una definizione condivisa di rifugiato prima di allora mancante; le procedure comuni in materia di asilo vennero invece stabilite dalla Direttiva 2005/85, o Direttiva Procedure.

 

Questo è lo scheletro legislativo e giuridico che muove l’Unione in materia di immigrazione e asilo e che è poi stato rivisto negli ultimi anni, diventando uno dei principali poli di dibattitto del nostro paese.



 

 

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