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N. 148 - Aprile 2020 (CLXXIX)

Lo Stato delle Anime del 1706 di Colli a Volturno

Per una storia della demografia collese

di Alfredo Incollingo

 

Il primo Stato delle Anime di Colli a Volturno, in provincia di Isernia, venne stilato dall’arciprete don Pietro Cimorelli nel 1706. Fu poi inviato all’abate di Montecassino, sotto la cui giurisdizione rientravano anche le terre che un tempo appartennero all’abbazia di San Vincenzo a Volturno.

 

Dal 1699 fino al XX secolo, infatti, il cenobio fu una pertinenza del monastero cassinate e ciò potrebbe spiegare per quale motivo, a Colli, si iniziarono a scrivere gli Stati delle Anime dai primi anni del Settecento. Sono fonti archivistiche indispensabili per studiare la demografia collese di quel secolo, sebbene presentino alcune problematicità, legate alla scarsità di informazioni trascritte dagli arcipreti.

 

Il censimento del 1706 rispetta in parte le norme redazionali del Rituale Romanum (1614) di papa Paolo V (1550-1621), con cui si istituì lo Status Animorum per integrare i registri parrocchiali, prescritti ai sacerdoti durante il Concilio di Trento (1547-1563). Questi documenti erano fondamentali per appurare se i fedeli avessero ottemperato al sacramento eucaristico prima della Pasqua e per il calcolo delle decime da destinare alle chiese locali. Erano stilati a cadenza regolare e a Colli, in particolare, furono redatti ogni cinque anni circa.

 

Durante il giro per la benedizione delle case nel periodo pasquale, i sacerdoti erano tenuti a censire le famiglie dei parrocchiani. Si registravano i nomi e i cognomi, l’età, le professioni (dei capifamiglia) e i luoghi di residenza, specificando le eventuali località d’origine. I bambini erano trascritti in ordine decrescente, in base agli anni e al sesso. Solitamente, infatti, si censivano prima i maschi e poi le femmine.

 

Per cause ignote, lo Stato delle Anime del 1706 fu compilato dopo la Pasqua (4 aprile), a partire dal primo maggio. Furono censiti 766 abitanti (398 donne e 367 uomini), compresi gli otto sacerdoti dell’arcipretura, ventotto vedove e dieci vedovi.

 

Si riscontrano nel testo molte indicazioni toponomastiche che ci consentono di conoscere i luoghi d’origine di alcune famiglie. I «de Leva» (o Leva, nella forma attuale del cognome), per esempio, provengono da Napoli e discendono da «Andrea de Leva napolitano».

 

In generale, la maggior parte degli appellativi familiari forestieri sono di donne che, per ragioni matrimoniali, si trasferirono a Colli dal vicino circondario di Isernia (Di Tore, Pallante…) o, addirittura, dall’odierna provincia di Caserta. In quest’ultimo caso, tuttavia, non abbiamo menzione del cognome, ma solo del nome e del luogo di provenienza («Imperia da Vairano»). Questi indizi testimoniano una discreta apertura sociale del paese legata ai rapporti commerciali e/o artigianali con i territori limitrofi.

 

È possibile individuare nel censimento alcune espressioni particolari («Domenica moglie di casa Raniero», «Maria moglie di casa Siravo» e «Cecilia moglie di casa Di Lisi»), che sottolineano la provenienza familiare di alcune donne, marcandone il prestigio sociale.

 

Non si specificano i mestieri dei capifamiglia né dove abitassero. Le case sono numerate in ordine crescente e con numeri romani, ad accezione delle prime dieci abitazioni: le cifre, infatti, sono state scritte a lettere. L’unico riferimento toponomastico legato al paese riguarda la famiglia del defunto «Antonio di Marco», la prima a essere censita: viveva in «Contrada della Piazza». Inoltre, una delle case visitate da don Pietro Cimorelli, di proprietà della cappella di San Leonardo, era stata data in affitto a «Bernardino di Lisi».

 

In generale, i collesi erano divisi tra chi abitava nel borgo fortificato (110 famiglie) e chi, invece, all’esterno (31 famiglie), nel rione di Porta San Giovanni.

 

Mediamente, ogni fuoco era composto da sei o sette componenti e comprendeva il capofamiglia, la moglie e i figli. Erano presenti molte famiglie allargate a Colli a Volturno – un fenomeno tipico delle culture mediterranee – che riunivano più nuclei familiari per ragioni prettamente economiche. Era una convivenza giustificata anche dai rapporti di parentela. Nella maggior parte dei casi, infatti, insieme ai genitori anziani, abitavano i figli con le rispettive famiglie. Si avevano così maggiori possibilità di sopravvivenza.

 

Per quanto riguarda l’onomastica collese, infine, i cognomi più diffusi agli inizi del Settecento erano «de Sandro» (21 famiglie), «Campellone» (11 famiglie) e «Lombardo» (10 famiglie).

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

R. Bizzocchi, I cognomi degli Italiani. Una storia lunga 1000 anni, Laterza, Bari 2018.



 

 

 

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