IL COCOMERO e la sua simbologia
USI, Credenze E tradizioni
di Giulia
Cesarini Argiroffo
Il cocomero è una pianta erbacea
delle Cucurbitacee (Citrullus
vulgaris o Cucumis
citrullus), con fusto
strisciantee foglie pelose lobate.
Si coltiva in diverse varietà per il
frutto a peponide, globoso, a scorza
liscia
verde scuro, uniforme o
marmorizzato. Attualmente esistono
molte specie di cocomero con le loro
differenze specifiche.
In generale questa pianta si coltiva
principalmente per il suo frutto,
che è commestibile. La polpa è
dolce, croccante e sugosa,
solitamente di colore rosso ma,
anche se più rare,esistono tipologie
con la polpa di colore giallo,
arancio o bianco, a seconda delle
varietà.
Il frutto del cocomero è ricco di
semi che possono essere neri,
bianchi o gialli che di solito si
scartano ma che possiedono comunque
proprietà benefiche. In alcuni Paesi
infatti i semi si mangiano e fanno
parte addirittura di alcuni piatti
tradizionali. Dal cocomero è
possibile anche ricavare del succo
di frutta, dell’olio e della farina
in uso in ambito culinario in certe
nazioni. Inoltregrazie ai suoi
effetti rinfrescanti si sta
affermando anche l’uso di questo
frutto in cosmesi.
Recentemente sono stati prodotti
anche cocomeri dalla forma cubica o
piramidale ma tale forma è
innaturale,infatti è creata
dall’Uomo. Ciò è possibile perché si
fa crescere il frutto all’interno di
recipienti di vetro allo scopo di
fare loro acquisire questo
particolare aspetto. Inoltre sono in
aumento le produzioni di mini
angurie che sono più facili da
trasportare, meno ingombranti e di
conseguenza più facili da mantenere
e consumare.
Come notava Cattabiani,
nell’Antichità il cocomero
Citrullus vulgaris dalla polpa
rossa giunse nel bacino Mediterraneo
dall’Asia tropicale, da ciò deriva
il nome greco Indiké,
l’Indiana.
Come facevano presente i ricercatori
Akusu e Kiin-Kabari, il Citrullus
vulgaris è l’antenato biologico del
cocomero Citrullus lanatus,
proveniente invece dall’Africa
tropicale.
Riguardo a quest’ultimo,anche se non
si conosce la datazione precisa in
cui giunse nell’area mediterranea,
si sa che le sue coltivazioni
esistevano già nell’Antico Egitto e
i suoi frutti si consumavano. Per
quanto riguarda l’arrivo di questa
pianta in Europa si ritiene che
furono gli Arabi a introdurla dopo
il XII secolo. In seguito le sue
colture si diffusero in tutto il
mondo.
In particolare, come notavano
Revelli Sorini e Cutini, gli Antichi
Egizi credevano che il cocomero
nascesse dal seme del dio Seth,
divinità malvagia, il dio rosso del
deserto. Inoltre i due studiosi
affermano che il frutto veniva
spesso deposto nelle tombe dei
Faraoni in maniera che fungesse loro
da sostentamento nell’Aldilà.
Iscrizioni in geroglifici di
cinquemila anni fa indicano il
cocomero, a testimonianza della sua
esistenza già all’epoca. Inoltre
nell’Antico Egitto era d’uso tra i
nobili offrire tale frutto agli
ospiti in visita come forma di
ristoro dalle fatiche e dalla sete.
Revelli Sorini e Cutini affermano
che nella Bibbia, nell’Antico
Testamento,gli Ebrei nel deserto del
Sinai rimpiangevano i cocomeri
mangiati in Egitto.
Il cocomero è un frutto dissetante.
In Italia, a livello regionale,
prende altri nomi come ad esempio,
“anguria”, “melone d’acqua” o “pasteca”.
È peculiare che in Calabria, in
dialetto,si chiami “zi’ parrucu”
ovvero ‘zio parroco’, ciò forse
deriva dal fatto che la sua polpa
rossa ricorda il volto rubizzo di un
prete.
In generale, nel linguaggio
popolare, il frutto del cocomero
simboleggia la pancia gonfia, ma
anche una mente grossolana o un
balordo a causa forse delle sue
dimensioni e delle scarse proprietà
nutritive.
Un simbolismo analogo lo possiede
anche il cetriolo (Cucumis
sativus), molto acquoso e
originario dell’Asia. Infatti una
persona sciocca, goffa, melensa si
dice “cetriolo” oppure “citrullo”.
Questa loro somiglianza simbolica si
riflette anche nel nome, infatti a
titolo esemplificativo nell’Italia
settentrionale il cetriolo è anche
chiamato “cocomero”.
Per quanto riguarda la simbologia di
questo frutto, ad esempio, in India
la grande fecondità di questa pianta
dal fusto ramoso prostrato, con
grandi cirri semplici, foglie a
contorno cuoriforme e fiori monoici
a corona gialla ha evocato l’omonimo
principe leggendario Iksh-vâku,
dalla numerosa discendenza.
Secondo un’altra leggenda indiana la
moglie di Sagara, personaggio
celebre, alla quale erano stati
promessi sessantamila bambini
partorì inizialmente un cocomero.
Una novella toscana narra una storia
similare a una che si trova nel
famoso Mille e Una Notte indiano,
tranne che per il particolare del
cocomero e racconta quanto segue.
C’erano una volta tre povere sorelle
che tessevano tutto il giorno per
guadagnarsi da vivere. Un giorno il
sovrano, che passava nelle
vicinanze, sentì una delle sorelle
dire che se avesse potuto sposare il
cuoco del re, avrebbe finalmente
mangiato bene.
Poi ascoltò un’altra delle tre
controbattere che si sarebbe
accontentata del fornaio del sovrano
per mangiare del pane bianco. Infine
la minore delle sorelle aggiunse che
se avesse sposato il figlio del re
avrebbe generato tre bambini con
capelli d’oro e denti d’argento.
Udendo tutto ciò il re ne fu colpito
e decise di esaudire i tre desideri.
Le due sorelle, però, invidiosissime
della minore che sposò ilsovrano
(succeduto al trono del padre)
cominciarono a tramare contro di lei
per farla cadere in disgrazia.
L’occasione buona si verificò quando
il re partì in guerra. Così, mentre
il marito combatteva, la giovane
regina partorì un bambino con i
capelli d’oro e i denti d’argento ma
le due sorelle glielo sottrassero.
Poi scrissero al sovrano che la
moglie aveva partorito un gatto
morto. La stessa storia si ripeté
con il secondo figlio, che
sostituirono con un ramo d’albero e
infine con una graziosa bimba, che
sostituirono con un serpente.
A quel punto il re, furibondo, fece
chiudere la regina in una prigione
angusta come una tomba ordinando di
darle da bere soltanto acqua sporca.
Questo mentre le due sorelle
rinchiusero di nascosto i tre veri
bambini in una scatola che
affidarono al mare. A un certo
punto, però, un giardiniere trovò la
scatola con le tre creature e decise
di allevarle. Così i bambini
crebbero sereni all’interno del
giardino dove lavorava colui che si
prendeva cura di loro e diventando a
loro volta giardinieri.
Un giorno passò un’anziana bonaria
donnache lodò il giardino ma rilevò
che all’interno di esso mancavano
tre elementi fondamentali. Nello
specifico, l’acqua che danzava,
l’albero che giocava e l’uccellino
parlante. Allora i tre ragazzi
decisero di mettersi in cammino per
cercare queste tre cose
meravigliose. Così, cammin facendo,
incontrarono il re che tristemente
andava a caccia per distrarsi.
Si parlarono amabilmente, lo
invitarono a visitare il loro
giardino e poi ripresero il cammino.
Fu allora che riapparve di nuovo la
buona vecchietta che indicò loro il
luogo dove si trovava l’acqua che
danzava, avvertendoli però di non
voltarsi indietro dopo averla
attinta altrimenti si sarebbero
trasformati in statue di sale. I
ragazzi ubbidirono. Poi dopo un po’
andarono a cogliere una foglia
dall’albero che giocava la quale, se
fatta cadere nel loro giardino, in
una sola notte sarebbe diventata una
pianta.
Nel frattempo incontrarono
nuovamente il re e l’amabile anziana
con cui chiacchierarono. In seguito,
ripresa la ricerca dell’uccellino
parlante, ritrovarono l’anziana che
insegnò loro a catturare il magico
volatile che parlava. Incontrarono
poi di nuovo il re con il quale
presero appuntamento per rivedersi
il giorno dopo.
A questo punto trovarono l’uccellino
magico che stava appollaiato su un
albero e gli gettarono un laccio per
catturarlo. La bestiolina si lasciò
prendere facilmente e volò sulla
spalla del fratello più giovane. Poi
sussurrò loro di cogliere nel
giardino un cocomero e di portarlo
al re per tagliarlo.
Così accadde; ma invece di semi il
sovrano trovò delle pietre preziose
e domandò loro ad alta voce come
fosse possibile tale avvenimento. A
quel punto l’uccellino parlante
rispose facendo presente come fosse
possibile che una donna partorisse
un gatto, un pezzo di legno e un
serpente. Poi aggiunse che quei tre
ragazzi erano i suoi figli, che
l’invidia delle due sorelle di sua
moglie era la causa di ogni male e
dunque di andare subito a liberare
la regina che era innocente. Così il
re, commosso, corse dalla sua
consorte e ordinò di festeggiare
solennemente l’avvenimento. Nel
contempo condannò al rogo le
malvagie sorelle.
Attualmente in generale il cocomero
è simbolo del matrimonio e della
fecondità e inoltre rappresenta,
metaforicamente, una delle immagini
che elenca le preoccupazioni per i
bambini.
Non va confuso con i cocomeri
sopracitati il cosiddetto “cocomero
asinino” (Ecballium elaterium)
ch’è una pianta erbacea delle
Cucurbitace e il cui frutto non è
commestibile. Essa presenta foglie
palminervie dall’odore fetido, fiori
piccoli gialli, frutto a peponide
che a maturità schizza il succo
interno frammisto ai semi che hanno
azione irritante soprattutto per gli
occhi di chi ne viene a contatto.
Questo avviene perché il frutto del
cocomero asinino, che è simile a una
grossa ghianda pelosa, per una
pressione interna di gas si stacca
bruscamente dal peduncolo e disperde
con fragore una sostanza
mucillaginosa che contiene i semi,
mentre la capsula vuota viene
scagliata per reazione nella
direzione opposta.
Nell’Antichità il frutto del
cocomero asinino losi usava come
purgante, seppure contenga un succo
amaro e irritante. Ci sono
testimonianze del suo uso anche in
epoche successive.
Ad esempio si narra che nel 1888 un
certo dottor Dickson, per
rinfrescarsi durante una giornata
particolarmente afosa, si mise sul
capo e sotto il cappello un
frammento di cocomero asinino che
gli causò una forte emicrania e una
colica per un’intera giornata. Per
questo attualmentesi raccomanda di
non toccare con le mani questa
pianticella dal fusto prostrato e
dalle foglie triangolari.
Tuttavia in Gran Bretagna si prepara
tuttora una pozione, dal nome
“elaterio”, che si ottiene con i
frutti del cocomero asinino non
maturi ed essiccati perché possiede
un’azione purgativa e favorente
l’eliminazione dell’acqua
dall’organismo.
Secondo Sermonti l’espulsione dei
semi da parte di questa pianta si
rispecchia,metaforicamente, nelle
fiabe che narrano di bambini che i
genitori cattivi o poveri mandano
via, lontano da loro e addirittura
in giro per il mondo.
Riferimenti bibliografici:
Akusu, Monday O., Kiin-Kabari, David
B., Comparative Studies on the
Physicochemical and Sensory
Properties of Watermelon (Citrulluslanatus)
and Melon (Citrullus vulgaris) Seed
Flours Used in “EGUSI” Soup
Preparation,Journal of Food
Research,Canadian Center of Science
and Education Publisher, Toronto
2015.
Cattabiani, Alfredo, Florario,
Mondadori Editore, Milano 2016.
Coupal, Marie, I simboli dei
sogni. Analisi psicologica,
psicoanalitica, esoterica e
mitologica, Il Punto d’Incontro
Editore, Vicenza 2000.
Revelli Sorini, Alex, Cutini,
Susanna, Taccuini Gastrosofisici.
Enciclopedia digitale di Culture e
Politiche Alimentari, 2017.
Revelli Sorini, Alex, Cutini,
Susanna, Dizionario Gastrosofico
di culture e politiche alimentari,
Ali&No Editrice, Perugia 2022.
Russo Pavan, Ada, Iniziazione ai
Culti Egizi. Divinità, simboli,
rituali, magia, amuleti, invocazioni,
Edizioni Mediterranee, Roma 2005.
Went, Fritzs W. e dai redattori di
LIFE, Le Piante, Mondadori
editore, Milano 1965.