[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 214 / OTTOBRE 2025 (CCXLV)


ambiente

CLIMA E umANITà
STORIA DI UN RAPPORTO MILLENARIO
di Titti Brunori Zezza

 

Oggi siamo più che mai consapevoli che la natura plasma attivamente la vita sulla Terra, ma anche che tanto l’umanità quanto il clima hanno avuto un ruolo determinante nello sviluppo delle civiltà. Le variazioni climatiche hanno esercitato un’influenza diretta e indiretta su di esse, attirando l’attenzione dell’uomo sin dai tempi più remoti, soprattutto quando esse condizionavano o mettevano in crisi il suo modo di vivere.

 

Una ricerca pubblicata nel 2023 sulla rivista Le Scienze ha evidenziato, basandosi su riscontri genetici, che i nostri antenati rischiarono l’estinzione già 900.000 anni fa, a causa di condizioni climatiche improvvisamente avverse. Si trattò di una delle prime glaciazioni che segnarono il passato del nostro pianeta. Più recentemente Vincenzo Levizzani, in Storia del mondo in 10 tempeste (Il Saggiatore), ha ipotizzato che il clima abbia contribuito anche alla caduta dell’Impero romano. Tra il 150 e il 450 d.C., infatti, in Europa si verificò un progressivo abbassamento della temperatura – fino a circa -4,5 °C – che compromise la produzione agricola e favorì le migrazioni dei cosiddetti “popoli barbari” dal Nord verso regioni più temperate.

 

Quando il genere Homo comparve in Africa, tra 2 e 2,5 milioni di anni fa, era – secondo gli antropologi – un’umanità promettente ma vulnerabile, costretta ad affrontare ripetutamente l’alternanza di cicli glaciali e interglaciali. Questi ultimi, succedutisi fino a circa 10.000 anni fa, plasmarono l’evoluzione della specie, selezionando individui sempre più adatti alla sopravvivenza.

 

Con la fine dell’ultima glaciazione (la würmiana), avvenuta intorno a 10.000 anni fa, e il progressivo ritiro dei ghiacciai, il clima divenne più mite e favorevole. Nella fascia subequatoriale si svilupparono ambienti caratterizzati da abbondanti precipitazioni e condizioni ideali per la vita umana: è il periodo definito “optimum climatico postglaciale”, con due fasi culminanti intorno al 6000 e al 3000 a.C. Allora, dove oggi si estendono i deserti del Sahara, del Negev, dell’Arabia e della Persia, scorrevano fiumi e abbondavano pascoli e fauna selvatica: un vero paradiso per l’uomo.

 

Col tempo, però, le precipitazioni diminuirono e la siccità condusse alla progressiva desertificazione. L’uomo, privato di un ambiente generoso, fu costretto a ideare nuove strategie di sopravvivenza. Quando la raccolta di frutti spontanei e la caccia non bastarono più, nacquero l’agricoltura e l’allevamento. Fu una trasformazione epocale: da un’economia spontanea ed estensiva si passò a una organizzata e intensiva. In corrispondenza dei grandi fiumi – Tigri, Eufrate, Nilo, Giordano e Indo – sorsero così le prime civiltà della storia.

 

Le testimonianze scritte più antiche, risalenti alla fine del secondo millennio a.C., raccontano di fenomeni meteorologici osservati e descritti con attenzione. Le calamità naturali erano allora considerate punizioni divine, alle quali l’uomo poteva reagire solo con sacrifici e riti propiziatori. Tale mentalità è comune agli antichi popoli orientali – Sumeri, Ittiti, Assiro-Babilonesi – e anche agli Ebrei, per i quali gli eventi naturali erano manifestazioni della volontà di un Dio trascendente, come emerge chiaramente dalle pagine della Bibbia.

 

Solo molti secoli più tardi si arrivò a una spiegazione razionale dei fenomeni meteorologici. Nel mondo greco-romano la scienza cominciò a interpretare tali eventi come effetti di processi naturali, indipendenti dalla volontà divina: una prima grande vittoria della ragione sull’ignoranza e la superstizione.

 

Le tavolette cuneiformi sumeriche, risalenti alla fine del secondo millennio a.C., riportano osservazioni climatiche e lamentazioni per la siccità crescente, le tempeste di sabbia e la scarsità di acqua nel Tigri e nell’Eufrate. I Sumeri, pur avendo realizzato una vasta rete di canali irrigui, dovettero perfezionarla per sopravvivere alle condizioni sempre più aride. Scavarono nuovi canali e introdussero chiuse innovative, riuscendo a convogliare l’acqua anche da zone più profonde e a distribuirla grazie al vento, in assenza di pendenza naturale. Ma la siccità persistente e le “tempeste amare”, insieme alle invasioni dei Babilonesi, segnarono la fine di quella civiltà.

 

Durante il periodo assiro-babilonese la siccità continuò, ma la società più evoluta mise a punto sistemi irrigui ancora più sofisticati. Le loro osservazioni meteorologiche, registrate con regolarità, si avvicinano molto alla nostra mentalità scientifica. In alcune tavolette si menziona persino una “banderuola del vento” – chiamata “uccello del vento” – per determinarne la direzione, un’invenzione sorprendente, anteriore a quelle conosciute in Cina e in Grecia.

 

Analoghi problemi di siccità afflissero anche l’antico Egitto. Gli Egizi reagirono potenziando il sistema di irrigazione artificiale del Nilo e sviluppando un calendario solare di 365 giorni, come riportato da Erodoto, molto più regolare di quello lunare allora usato dai Greci. Nel frattempo, in Anatolia, gli Ittiti – popolo tecnologicamente avanzato e abile nella lavorazione del ferro – vivevano sotto condizioni climatiche simili. Il loro dio più importante era quello della Tempesta, a cui attribuivano le piene e i disastri naturali, segno di una religiosità ancora profondamente legata ai fenomeni atmosferici.

 

Anche nella regione del Mediterraneo orientale, dove vivevano gli Ebrei, il clima fu spesso teatro di sconvolgimenti. La Bibbia, considerata fino a Galileo una “summa” del sapere antico, conserva memoria simbolica di questi eventi: la cacciata dall’Eden può essere letta come la fine dell’età dell’abbondanza e l’inizio della necessità del lavoro agricolo, mentre il racconto del diluvio universale potrebbe derivare da un’antica inondazione del Tigri o dell’Eufrate, forse causata dal ritiro dei ghiacciai würmiani e dallo scioglimento delle nevi.

 

Sedimenti di fango e detriti rinvenuti nella regione sembrano confermarlo. I Sumeri furono i primi a tramandare un racconto di diluvio – con l’eroe Zisudra, analogo al Noè biblico – seguito da versioni babilonesi e assire, come il poema di Gilgamesh.

 

Nell’antichità furono dunque variazioni climatiche significative a indurre l’uomo a cambiare radicalmente il proprio stile di vita, senza che egli ne fosse responsabile. Oggi, invece, le attività umane – in particolare quelle industriali – incidono pesantemente sul clima, generando il cosiddetto “effetto serra”. L’accumulo di gas come anidride carbonica, biossido di azoto e metano, di origine naturale e antropica, ha provocato il riscaldamento globale. A ciò si aggiungono i clorofluorocarburi (CFC), esclusivamente di origine umana.

 

La concentrazione crescente di CO₂, attestata dalle analisi delle bolle d’aria intrappolate nei ghiacci polari e dagli anelli degli alberi, mostra un aumento netto dall’inizio dell’era industriale. L’Unione Europea ha avviato il Green Deal, un piano di misure e investimenti per ridurre le emissioni di gas serra e favorire la “transizione ecologica”, con l’obiettivo di abbattere del 90% le emissioni entro il 2040 e raggiungere la neutralità climatica nel 2050. Tuttavia, il piano è oggi oggetto di critiche, poiché sembra penalizzare alcuni settori economici.

 

Guardando al futuro, secondo il fisico Antonino Zichichi la causa più rilevante delle modificazioni climatiche non sarà da attribuire all’uomo, ma alle particolari condizioni della Terra stessa. Gli studiosi confermano che il clima, pur sempre più compreso, resta un sistema complesso e imprevedibile. Le cause primarie dei suoi mutamenti – di natura astronomica, astrofisica o geofisica – sono difficili da valutare e sfuggono a previsioni certe.

 

Attraverso la fisica quantistica sappiamo che il mondo è intimamente connesso e che i processi naturali si influenzano a vicenda. Le condizioni astronomiche, gli influssi solari, il riscaldamento degli oceani e dei continenti hanno determinato le grandi variazioni climatiche del passato e determineranno quelle future.

 

Fu, per esempio, il ritorno verso latitudini più settentrionali della Corrente del Golfo a segnare la fine dell’ultima era glaciale e la nascita delle prime civiltà fluviali. Per questo, oggi più che mai, è nostro dovere evitare che all’inevitabilità di certi sconvolgimenti naturali si aggiungano i danni prodotti dall’insipienza umana.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]