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N. 109 - Gennaio 2017 (CXL)

la civiltà minoica

Storia e mito nell'isola di creta
di Serena Scicolone

 

Cos'è che rende affascinante una civiltà? Se tale domanda fosse posta a una gran massa di persone, le risposte più comuni sarebbero: "la potenza", "la grandezza", "la cultura", "l’arte", "la creatività", "l’originalità". Infine, probabilmente, non pochi risponderebbero: "il mistero". Quest’ultimo nasce dalla mancanza di dati certi e genera nell’uomo uno straordinario processo mentale che lo spinge a formulare svariate ipotesi: l’immaginazione. La civiltà minoica presenta tutti questi elementi e il mistero che la avvolge ha contribuito a mantenerne vivo l’interesse.

 

Misteriosa, infatti, rimane la causa della fine di una così straordinaria e potente civiltà e altrettanto misterioso resta il contenuto delle tavolette in Lineare A, scrittura sillabica cretese non ancora decifrata dagli studiosi. La stessa vita degli abitanti dell’isola di Creta rimane in parte avvolta da un alone di mistero, meravigliosamente sospesa tra mito e realtà. Esemplare appare d’altronde il nome stesso con cui conosciamo tali abitanti: Minoici, dal nome del mitico re di Creta Minosse la cui realtà storica è ben lontana dall’essere dimostrata.

 

Il nome di Minoici fu scelto dall’uomo che all’inizio del ’900 iniziò a scavare sul sito di Cnosso e riportò alla luce una civiltà fino ad allora completamente sconosciuta. Quell’uomo era l’inglese Arthur Evans, amante dei poemi omerici e ammiratore del tedesco Schliemann che aveva scoperto Troia, Micene e Tirinto.  L’idea che prima della civiltà micenea dovesse essere esistita un’altra grande civiltà con la quale i micenei furono in stretto contatto nacque in Evans dal ritrovamento di frammenti di vasi premicenei e soprattutto dall’analisi, tra i manufatti ritrovati a Micene, di un anello con l’incisione di un polpo, cosa alquanto particolare per una città dell’entroterra.

 

Scoprì così nei mercati greci altre pietre che presentavano delle lavorazioni simili a quella presente nell’anello e seppe che queste provenivano da Creta, non da Micene. Quando a Cnosso, città principale dell’isola di Creta, la civiltà riemersa da sottoterra apparve in tutto il suo splendore, Evans poté felicemente affermare «la cosa straordinaria è che non c’è niente di greco, niente di romano, questa civiltà risale a molto prima del periodo miceneo».

 

I primi insediamenti umani nell’isola di Creta risalgono al 7000 a.C. e si trattava verosimilmente di genti provenienti dall’Asia minore. In seguito ci furono probabilmente ulteriori immigrazioni ma la popolazione dell’isola rimase comunque di origine non greca. Con il termine minoici vengono solitamente denominati i cretesi dell’età del bronzo e, in particolare, i confini temporali della civiltà minoica sono il 3000 a.C. e il 1450/1400 a.C circa, quando la suddetta civiltà scomparve e i micenei divennero i dominatori dell’isola.

 

I primi grandi palazzi minoici sorsero intorno al 2000 a.C. a Cnosso, Festo e Mallia ma quello ritrovato a Cnosso da Evans risale a circa trecento anni dopo. I primi palazzi dell’isola, infatti, furono completamente distrutti nel 1700 a.C. e l’ipotesi più probabile riguardo la causa di tale avvenimento appare quella di un grande cataclisma naturale, un violento maremoto scatenato dall’eruzione vulcanica di Santorini.

 

L’apice della civiltà minoica fu tuttavia raggiunto proprio dopo tale data, quando cioè i cretesi ricostruirono nell’isola i palazzi e dominarono l’Egeo con la loro talassocrazia. I nuovi palazzi furono costruiti sulle fondazioni di quelli precedenti e mantennero le stesse funzioni. Architettonicamente seguivano un modello comune: nessuna simmetria e una corte centrale circondata da numerose stanze e intricati corridoi ravvisabili non a caso nella leggenda del labirinto del Minotauro. Il palazzo di Cnosso, infatti, era talmente grande che non risulta difficile credere che ci si potesse davvero perdere senza un profondo senso d’orientamento (o senza l’aiuto di un filo!).

 

 

Si trattava comunque non solo di residenze regali ma anche di centri polifunzionali destinati al controllo e alla gestione di aree più o meno ampie. I grandi palazzi costituivano dunque il centro politico, economico, religioso e amministrativo della società e contenevano al suo interno circa un centinaio di persone. Il potere dei re, però, si estendeva al di là dei confini architettonici del proprio palazzo, giungendo così a controllare l’intera metropoli costituita dai numerosi villaggi sorti attorno il grande complesso monumentale. Politicamente, dunque, le città di Creta erano probabilmente delle città-stato, ognuna con un proprio re, raggruppate in una confederazione nella quale il ruolo predominante spettava alla corte di Cnosso. Altrettanto probabile risulta pertanto che Minosse, più che il nome proprio di un sovrano, fosse una sorta di titolo con il quale venivano appellati tutti i re  cretesi.

 

La presenza, all’interno dell’ala occidentale di tutti i palazzi minoici, di grandi magazzini di merci ha inoltre indotto alcuni studiosi a ritenere che il sistema economico minoico si fondasse sulla tassazione e sulla redistribuzione delle merci. La popolazione, dunque, pagava un tributo in merci al proprio re e ne riceveva in cambio merci delle quali era sprovvista. Le merci immagazzinate e quelle prodotte all’interno dei laboratori industriali di palazzo, inoltre,  venivano in parte esportate nei mercati internazionali.

 

I principali prodotti esportati dall’isola di Creta erano vasi di terracotta o di pietra, vino, olio, cereali e miele. Tra le importazioni vi erano lo stagno (forse proveniente dall’Etruria) e il rame (da Cipro), materie prime indispensabili per la produzione della lega del bronzo. Non mancavano, però, anche oggetti di lusso provenienti in gran parte dall’Egitto come gemme intagliate con scarabei, ciondoli in avorio e perline.

 

La raffinatezza estetica dei cretesi è evidente negli affreschi che decoravano i palazzi. Pur tenendo conto del restauro non proprio rigoroso di Evans e della sua squadra e delle ardite ricostruzioni effettuate a partire da piccoli frammenti di affreschi, le figure destinate a ornare le pareti del palazzo di Cnosso ci rivelano ancora oggi, dopo millenni, l’eleganza dei minoici. 

 

 

Avevano un’altezza media di 1 metro e 65 centimetri ma apparivano straordinariamente snelli grazie alla loro mania di stringere il più possibile la vita tramite strette cinture. Gli abiti delle donne erano caratterizzati da una vivace policromia e apparivano particolarmente sensuali per la caratteristica di lasciare scoperto il seno, sostenuto da un elegante corpetto che spesso era abbinato a una lunga gonna con svariati e variopinti disegni. Una delle caratteristiche più usuali delle gonne minoiche erano i volanti cuciti sulla stoffa. Le braccia delle donne rimanevano scoperte ma, in caso di necessità, erano utilizzati dei lunghi mantelli di pelle. Questi ultimi potevano essere indossati anche dagli uomini i quali, generalmente, erano ben più scoperti delle donne. Un semplice perizoma a gonnella nascondeva le parti intime degli uomini, mentre il resto del corpo veniva mostrato senza alcuna forma di vergogna. Sia donne che uomini camminavano a piedi scalzi in casa, mentre in ambienti esterni indossavano generalmente dei sandali o degli stivaletti alti sino al polpaccio.

 

Entrambi i sessi adoravano ornarsi con gioielli: in molti affreschi si notano uomini e donne con più di un bracciale al polso e con preziose collane vanitosamente sfoggiate sul petto nudo. Moderna appare la consuetudine minoica di inserire tra le perle ciondoli rappresentanti animali (soprattutto tori, uccelli e api), figure umane e fiori. La moda minoica prediligeva capelli lunghi e ondulati sia per gli uomini che per le donne. Negli affreschi la pelle delle donne è bianca, mentre quella degli uomini è bruna e ciò è forse riconducibile non a una mera convenzione artistica quanto piuttosto al fatto che le donne avessero realmente una carnagione molto più chiara poiché trascorrevano maggior tempo in luoghi chiusi. D’altronde gli uomini cretesi dovettero apparire molto abbronzati agli occhi dei Greci se questi li definirono phoinikes, cioè pellirosse.

 

Complessa appare la ricostruzione della religione minoica. Evans, dal gran numero di statuette votive rappresentanti una donna con diversi attributi, dedusse che la divinità principale dovesse essere la Gran Madre, dea della fecondità e della prosperità, dea del cielo e della terra e perciò accompagnata spesso da colombe e da serpenti. Una delle statuette più note è proprio quella detta dea dei serpenti poiché la dea, in abiti tipicamente minoici, stringe nelle mani due rettili. 

 

Un culto molto antico presente a Creta fu inoltre quello del toro. Corna di consacrazione e affreschi raffiguranti tori e taurocatapsie (spettacoli rituali in cui atleti maschili e femminili volteggiavano e saltavano al di sopra di un toro) non sono affatto rare nei palazzi cretesi. Risulta probabile, dunque, che nacque proprio dalla venerazione minoica del toro la leggenda greca del Minotauro, figlio di Pasifae (moglie di Minosse) e dello splendido toro che Poseidone aveva fatto emergere dalle acque. Nel mito, però, il Minotauro, mezzo uomo e mezzo animale, esigeva, per placare la sua fame, un sacrificio di giovani ateniesi.

 

 

 

Dunque, secondo il mito, il Minotauro sbranava giovani corpi umani all’interno del labirinto costruito da Dedalo. Per quanto riguarda il reale rito, il ritrovamento di ossa umane all’interno dei palazzi non permette di escludere del tutto la possibilità che i cretesi sacrificassero al dio-Toro vite umane, risultano tuttavia più probabili sacrifici di tori tramite i quali il dio avrebbe così rinvigorito le proprie forze. I sacrifici venivano compiuti nel palazzo utilizzando la doppia ascia, in greco labrys da cui deriva il termine labirinto che letteralmente ha dunque il significato di «luogo della doppia ascia», ovvero il palazzo stesso.

 

Non esistevano templi dedicati alle divinità: i riti si svolgevano in apposite sale del palazzo o in santuari naturali quali grotte e cime delle montagne. I minoici credevano che le caverne fossero abitate dagli spiriti e che le loro stalagmiti fossero pilastri sacri. Una grotta era dunque considerata il luogo più adatto per poter accedere al mondo sotterraneo.

 

Tra il 1450 e il 1400 a.C. tutti i grandi palazzi cretesi furono distrutti e, insieme a essi, scomparve la straordinaria civiltà minoica. Tante sono le ipotesi formulate al riguardo ma nessuna risposta certa consente di chiudere definitivamente tale questione.

 

Nel 1926 Evans, mentre si trovava a Creta, sentì «sordi muggiti provenire dalle viscere della terra», provò cioè sulla sua pelle l’esperienza del terremoto e si convinse che un evento del genere fosse stato la causa della scomparsa dei minoici. Abbiamo già visto come i primi palazzi fossero stati distrutti da un terremoto causato, forse, dall’eruzione vulcanica di Santorini, isoletta a nord di Creta. Eppure in seguito a tale catastrofe i palazzi erano stati ricostruiti e la civiltà era risorta più forte di prima. Perché stavolta ciò non fu possibile?

 

Ulteriori studi hanno inoltre dimostrato che un  maremoto causato dall’eruzione di Santorini debba datarsi intorno al 1600 a.C. e dunque tale disastro non avrebbe nulla a che fare con la distruzione dei nuovi palazzi. Si tenga conto, per di più, che i palazzi non furono distrutti tutti contemporaneamente: quello di Festo, ad esempio, bruciò intorno al 1450 a.C. mentre quello di Cnosso nel 1400 circa. Se la causa della loro distruzione fu di carattere naturale è dunque più lecito pensare a una serie di eventi sismici che indebolirono ripetutamente questi grandi complessi architettonici sino alla loro distruzione.

 

Raramente è possibile spiegare solo con eventi naturali la scomparsa di un’intera civiltà. Un’altra ipotesi valida è dunque quella di un’invasione dell’isola da parte dei Micenei, ormai stanchi della talassocrazia cretese, ma altrettanto valida appare l’ipotesi di contrasti interni che logorarono la compattezza del potere minoico.

 

Tenendo dunque conto di tutto ciò, è probabile furono una serie di concause a determinare la fine della civiltà: i Micenei si approfittarono della debolezza dei Minoici, conseguenza sia degli eventi sismici sia dei contrasti interni. Il tempo affievolì il ricordo di questa straordinaria civiltà fino a quando qualcuno la riportò finalmente alla luce lasciandosi ispirare dai versi di Omero: «Bella e feconda, sovra il negro mare, giace una terra che s’appella Creta, dalle salse onde d’ogni parte attinta».

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Gustave Glotz, La civiltà egea, trad. it. di Domenico Fajella, Einaudi, Torino, 1975.



 

 

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