[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 208 / APRILE 2025 (CCXXXIX)


filosofia & religione

UNA Città sulla Collina
i fondamenti della religiosità A STELLE E STRISCE

di Francesco Biscardi


Circa quindici anni fa, un devoto cristiano evangelico di Orlando, in Florida, Mark Taylor, dichiarò che, dopo aver visto Donald Trump in uno spettacolo televisivo, avrebbe avuto la visione della sua futura ascesa alla Casa Bianca. Qualche anno dopo, nel 2016, in piena campagna elettorale, Mary Colbert, organizzatrice e networker, avvicinò il visionario ed improntò una sorta di Catena di Sant’Antonio telefonica per sostenere la sua profezia. L’iniziativa ottenne successo (circa 100.000 chiamate al giorno), tanto da far nascere un movimento che poi inneggiò alla vittoria di Trump come ad una dimostrazione del volere divino a favore del popolo americano (nel 2018 venne realizzata una trasposizione cinematografica di questa vicenda, intitolata The Trump Prophecy).

Questa storia può risultare assurda o bizzarra per alcuni, una mera coincidenza per altri e finanche un reale "segno di Dio" per altri ancora. Al di là di tutto questo, è interessante cogliere dall’accaduto uno spunto per riflettere su quanto negli Stati Uniti sia ancora vivo il sentimento religioso, nonostante i processi di laicizzazione e di progressivo allontanamento dalla sfera del sacro che hanno costellato gli ultimi secoli.

In Italia si ignora spesso questa realtà fortemente cementata nella società americana, e provocano così scandalo o ripugnanza i continui riferimenti a Dio e ai simboli religiosi che sovente fanno i politici d’oltreoceano (Trump e il suo vice, Vance, in particolare). Tuttavia tutto ciò, come si cercherà di dire, affonda le sue radici proprio negli albori della nazione, quando furono gettate sia le fondamenta costituzionali dei nascenti Stati Uniti, sia di quella che i sociologi chiamano “religione civile”, concetto designante, per sommi capi, la dimensione religiosa della politica statunitense. Si può così ripercorrere brevemente la genesi di questo sentimento attraverso l’analisi dei princìpi a cui erano ancorati i padri fondatori e dei simboli che furono scelti per designare i moderni States.

Ancora prima del Boston Tea Party del dicembre 1773, episodio con cui si fa generalmente iniziare la Rivoluzione americana, a dare vigore e sostegno agli abitanti delle tredici colonie vi era una tradizione teologica che risaliva ai Pilgrim Fathers, i “Padri pellegrini” puritani che nel XVII secolo si erano insediati nell’area atlantica del continente, in fuga dall’Inghilterra per motivi religiosi. A fondamento di questo sentimento c’era la fiducia che l’America potesse trasformarsi nella Terra Promessa biblica, destinata a dare concretezza a quella patria di tolleranza, libertà, eguaglianza e fratellanza che appariva come una chimera nella “vecchia” Europa di Antico Regime.

Più precisamente, nel 1630, uno di questi originari settlers, John Winthrop, avrebbe esplicitato ai suoi compagni di viaggio il loro destino di originare una “Città sulla Collina”, faro di luce e di speranza per tutti. Questo mito della City upon a Hill era un preciso riferimento a un verso del Vangelo di Matteo (5,14) in cui si riporta come Gesù avrebbe detto ai suoi seguaci “Voi siete la luce del mondo, una città che è posta su una collina non può essere nascosta”. Di qui l’idea di una nazione chiamata a guidare i popoli verso l’edificazione di un Eden terreno, utopia che ha accompagnato la storia degli States e che, in un certo senso, ha in seguito trovato un’evoluzione nella tanto sbandierata “missione” di esportare la democrazia nel mondo. Tale concezione si fuse con l’elaborazione teorica, in pieno Illuminismo, dei diritti naturali dei singoli cittadini, come ribadito nella Dichiarazione d’Indipendenza del 1776, dove vari sono i riferimenti al Creatore e al Supremo Giudice dell’Universo, e nella Costituzione del 1787.

Tralasciando le vicende politiche da cui nacquero gli Stati Uniti, è qui importante soffermarsi sui simboli che ne accompagnarono la genesi, frutto di una commistione di politica e religione, nonostante il principio, sancito costituzionalmente, della netta distinzione fra Stato e Chiesa (la religione doveva essere una materia attinente solo alla sfera della libera coscienza individuale). Un’ambiguità paragonabile al mantenimento della schiavitù o al fatto che per alcuni decenni il cattolicesimo venne considerato, dalla maggioranza protestante, una minaccia per la sopravvivenza della libertà americana, come provato dalla formazione di associazioni e movimenti avversi al Credo di Roma, di cui il più influente fu quello dei Know Nothing, che aveva il preciso obiettivo di escludere i cattolici dalle cariche politiche. Realtà confliggenti tipiche di una terra dalle forti contraddizioni qual è l’America.

Tornado alla questione dei simboli, due sono particolarmente interessanti: il Gran Sigillo e la bandiera. Il primo, commissionato già dal Congresso di Filadelfia che aveva redatto la Dichiarazione, presenta l’immagine, nella facciata anteriore, dell’aquila americana, simbolo di forza, che in un artiglio stringe tredici frecce (rappresentanti le colonie originarie), dall’altro un ramo di ulivo (rimando alla pace), mentre in becco tiene un cartiglio con la scritta E Pluribus Unum, “Da molti, uno”, chiaro riferimento al processo di unione; infine tredici stelle sovrastano il maestoso uccello. Nella facciata posteriore è invece ritratta una piramide tronca, divisa in tredici livelli con un occhio all’apice, emblema della provvidenza, con due citazioni latine: la prima, in alto, Annuit Coeptis, reca il messaggio che Dio favorisce le imprese della nazione, mentre la seconda, in basso, Novus Ordo Seclorum, può essere intesa come l’inizio di una nuova epoca nella storia umana.

È interessante far notare che il Gran Sigillo lo si può vedere nel retro della banconota da un dollaro insieme ad una frase, In God we Trust, “Noi crediamo in Dio”, posta al centro fra i due simboli. Apparentemente può sembrare una banalità, ma non lo è: una banconota è un oggetto di uso comune, “denaro” nel senso concreto del termine, quindi anche “profano”. Tale asserzione di fede la si trova anche in altri luoghi “laici”, centrali nel sistema politico americano, come, per esempio, nella sala del Congresso. Una professione di fede, dunque, che è anche principio d’identità nazionale e asserzione giuridica, un qualcosa di unico al mondo (nemmeno nella Città del Vaticano c’è un’assimilazione simile).

Ci si può domandare quale sia il “Dio” a cui si fa riferimento; ebbene la risposta è che non vi è alcun rimando esplicito: può essere quello cristiano, come anche l’ebraico Jahvè o l’islamico Allah. L’assunto basilare è che si abbia fede. Non a caso, ogni presidente, sin da George Washington (non dovrebbero esserci mai state eccezioni), chiudono i loro discorsi d’insediamento con la frase So help me God, “Dio sostienimi”, e giurano fedeltà alla nazione sulla Bibbia (attualmente si è soliti usare quella appartenuta ad Abraham Lincoln). Ciò riprova quanto sia sempre stata radicata questa religione civile nella storia degli Stati Uniti, al punto che oggi, secondo i sondaggi che puntualmente sono condotti in tempi di campagne elettorali, solo una scarsa fetta dell’elettorato sarebbe disposta ad accettare un ateo alla Casa Bianca.
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Tornando ai simboli, il secondo, come anticipato, è la bandiera, anch’essa presto rivestita di un’aureola di sacralità. Si stabilì il 14 giugno del 1777 che essa dovesse essere formata da “tredici strisce alternate rosse e bianche” in un campo blu, a rappresentare la nuova costellazione. Il suo “culto” ha come fondamento una poesia del 1814 di un avvocato, Francis Scott Key, The Star-Sprangled Banner, “La bandiera rispendente di stelle”. Alla lirica venne subito adattata una canzone popolare destinate a fondersi, nel 1831, nell’inno nazionale. Ad interessarci sono gli ultimi versi:


La bandiera a stelle e strisce sventoli in trionfo
sulla terra dei liberi e la patria dei coraggiosi.
[..] Possa la terra riscattata dalla Provvidenza
ringraziare la Potenza che ci ha fatto nazione e ci ha protetto
[...] e questo sia il nostro motto: “abbiamo fede in Dio”


A coronamento di questo processo di costruzione dell’identità statunitense come chiamata da Dio ad una missione civilizzatrice, seguì la coniazione, nel 1845, da parte del giornalista John O’Sullivan di un’espressione, manifest destiny, “destino manifesto”, per condensare l’idea secondo cui gli States erano provvidenzialmente destinati ad “espandersi nel continente”. Anche quest’idea derivava dalle Sacre Scritture ed aveva un forte connotato di matrice protestante, e ben si prestava a lasciare intendere come l’America fosse un “luogo sacro scelto dalla provvidenza per realizzare i disegni divini”.

Questo rapido excursus sulle radici storiche del sostrato religioso statunitense dovrebbe aiutare a comprendere come mai certi atteggiamenti, riferimenti e sentimenti riferiti al sacro siano parte integrante della cultura americana e di quella religione civile che li ha accompagnati nel corso della loro storia e, probabilmente, li accompagnerà ancora a lungo.


Riferimenti bibliografici:

Bonazzi T., La fata ignorante. Frammenti americani, Il Mulino, Bologna, 2025.
Borgognone G., Storia degli Stati Uniti. La democrazia americana dalla fondazione all’era globale, Feltrinelli, Bergamo, 2016.
Gentile E., La democrazia di Dio. La religione americana nell’era dell’impero e del terrore, Laterza, Roma-Bari, 2006.
Testi A., La formazione degli Stati Uniti, Il Mulino, Bologna, 2003.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]