UNA
Città sulla Collina
i fondamenti della religiosità A
STELLE E STRISCE
di Francesco
Biscardi
Circa
quindici anni fa, un devoto
cristiano evangelico di Orlando, in
Florida, Mark Taylor, dichiarò che,
dopo aver visto Donald Trump in uno
spettacolo televisivo, avrebbe avuto
la visione della sua futura ascesa
alla Casa Bianca. Qualche anno dopo,
nel 2016, in piena campagna
elettorale, Mary Colbert,
organizzatrice e networker, avvicinò
il visionario ed improntò una sorta
di Catena di Sant’Antonio telefonica
per sostenere la sua profezia.
L’iniziativa ottenne successo (circa
100.000 chiamate al giorno), tanto
da far nascere un movimento che poi
inneggiò alla vittoria di Trump come
ad una dimostrazione del volere
divino a favore del popolo americano
(nel 2018 venne realizzata una
trasposizione cinematografica di
questa vicenda, intitolata The Trump
Prophecy).
Questa storia può risultare assurda
o bizzarra per alcuni, una mera
coincidenza per altri e finanche un
reale "segno di Dio" per altri
ancora. Al di là di tutto questo, è
interessante cogliere dall’accaduto
uno spunto per riflettere su quanto
negli Stati Uniti sia ancora vivo il
sentimento religioso, nonostante i
processi di laicizzazione e di
progressivo allontanamento dalla
sfera del sacro che hanno costellato
gli ultimi secoli.
In Italia si ignora spesso questa
realtà fortemente cementata nella
società americana, e provocano così
scandalo o ripugnanza i continui
riferimenti a Dio e ai simboli
religiosi che sovente fanno i
politici d’oltreoceano (Trump e il
suo vice, Vance, in particolare).
Tuttavia tutto ciò, come si cercherà
di dire, affonda le sue radici
proprio negli albori della nazione,
quando furono gettate sia le
fondamenta costituzionali dei
nascenti Stati Uniti, sia di quella
che i sociologi chiamano “religione
civile”, concetto designante, per
sommi capi, la dimensione religiosa
della politica statunitense. Si può
così ripercorrere brevemente la
genesi di questo sentimento
attraverso l’analisi dei princìpi a
cui erano ancorati i padri fondatori
e dei simboli che furono scelti per
designare i moderni States.
Ancora prima del Boston Tea Party
del dicembre 1773, episodio con cui
si fa generalmente iniziare la
Rivoluzione americana, a dare vigore
e sostegno agli abitanti delle
tredici colonie vi era una
tradizione teologica che risaliva ai
Pilgrim Fathers, i “Padri
pellegrini” puritani che nel XVII
secolo si erano insediati nell’area
atlantica del continente, in fuga
dall’Inghilterra per motivi
religiosi. A fondamento di questo
sentimento c’era la fiducia che
l’America potesse trasformarsi nella
Terra Promessa biblica, destinata a
dare concretezza a quella patria di
tolleranza, libertà, eguaglianza e
fratellanza che appariva come una
chimera nella “vecchia” Europa di
Antico Regime.
Più precisamente, nel 1630, uno di
questi originari settlers,
John Winthrop, avrebbe esplicitato
ai suoi compagni di viaggio il loro
destino di originare una “Città
sulla Collina”, faro di luce e di
speranza per tutti. Questo mito
della City upon a Hill era un
preciso riferimento a un verso del
Vangelo di Matteo (5,14) in cui si
riporta come Gesù avrebbe detto ai
suoi seguaci “Voi siete la luce del
mondo, una città che è posta su una
collina non può essere nascosta”. Di
qui l’idea di una nazione chiamata a
guidare i popoli verso
l’edificazione di un Eden terreno,
utopia che ha accompagnato la storia
degli States e che, in un certo
senso, ha in seguito trovato
un’evoluzione nella tanto
sbandierata “missione” di esportare
la democrazia nel mondo. Tale
concezione si fuse con
l’elaborazione teorica, in pieno
Illuminismo, dei diritti naturali
dei singoli cittadini, come ribadito
nella Dichiarazione d’Indipendenza
del 1776, dove vari sono i
riferimenti al Creatore e al Supremo
Giudice dell’Universo, e nella
Costituzione del 1787.
Tralasciando le vicende politiche da
cui nacquero gli Stati Uniti, è qui
importante soffermarsi sui simboli
che ne accompagnarono la genesi,
frutto di una commistione di
politica e religione, nonostante il
principio, sancito
costituzionalmente, della netta
distinzione fra Stato e Chiesa (la
religione doveva essere una materia
attinente solo alla sfera della
libera coscienza individuale).
Un’ambiguità paragonabile al
mantenimento della schiavitù o al
fatto che per alcuni decenni il
cattolicesimo venne considerato,
dalla maggioranza protestante, una
minaccia per la sopravvivenza della
libertà americana, come provato
dalla formazione di associazioni e
movimenti avversi al Credo di Roma,
di cui il più influente fu quello
dei Know Nothing, che aveva il
preciso obiettivo di escludere i
cattolici dalle cariche politiche.
Realtà confliggenti tipiche di una
terra dalle forti contraddizioni
qual è l’America.
Tornado alla questione dei simboli,
due sono particolarmente
interessanti: il Gran Sigillo e la
bandiera. Il primo, commissionato
già dal Congresso di Filadelfia che
aveva redatto la Dichiarazione,
presenta l’immagine, nella facciata
anteriore, dell’aquila americana,
simbolo di forza, che in un artiglio
stringe tredici frecce
(rappresentanti le colonie
originarie), dall’altro un ramo di
ulivo (rimando alla pace), mentre in
becco tiene un cartiglio con la
scritta E Pluribus Unum, “Da
molti, uno”, chiaro riferimento al
processo di unione; infine tredici
stelle sovrastano il maestoso
uccello. Nella facciata posteriore è
invece ritratta una piramide tronca,
divisa in tredici livelli con un
occhio all’apice, emblema della
provvidenza, con due citazioni
latine: la prima, in alto, Annuit
Coeptis, reca il messaggio che Dio
favorisce le imprese della nazione,
mentre la seconda, in basso, Novus
Ordo Seclorum, può essere intesa
come l’inizio di una nuova epoca
nella storia umana.
È interessante far notare che il
Gran Sigillo lo si può vedere nel
retro della banconota da un dollaro
insieme ad una frase, In God we
Trust, “Noi crediamo in Dio”,
posta al centro fra i due simboli.
Apparentemente può sembrare una
banalità, ma non lo è: una banconota
è un oggetto di uso comune, “denaro”
nel senso concreto del termine,
quindi anche “profano”. Tale
asserzione di fede la si trova anche
in altri luoghi “laici”, centrali
nel sistema politico americano,
come, per esempio, nella sala del
Congresso. Una professione di fede,
dunque, che è anche principio
d’identità nazionale e asserzione
giuridica, un qualcosa di unico al
mondo (nemmeno nella Città del
Vaticano c’è un’assimilazione
simile).
Ci si può domandare quale sia il
“Dio” a cui si fa riferimento;
ebbene la risposta è che non vi è
alcun rimando esplicito: può essere
quello cristiano, come anche
l’ebraico Jahvè o l’islamico Allah.
L’assunto basilare è che si abbia
fede. Non a caso, ogni presidente,
sin da George Washington (non
dovrebbero esserci mai state
eccezioni), chiudono i loro discorsi
d’insediamento con la frase So help
me God, “Dio sostienimi”, e giurano
fedeltà alla nazione sulla Bibbia
(attualmente si è soliti usare
quella appartenuta ad Abraham
Lincoln). Ciò riprova quanto sia
sempre stata radicata questa
religione civile nella storia degli
Stati Uniti, al punto che oggi,
secondo i sondaggi che puntualmente
sono condotti in tempi di campagne
elettorali, solo una scarsa fetta
dell’elettorato sarebbe disposta ad
accettare un ateo alla Casa Bianca.
.
Tornando ai simboli, il secondo,
come anticipato, è la bandiera,
anch’essa presto rivestita di
un’aureola di sacralità. Si stabilì
il 14 giugno del 1777 che essa
dovesse essere formata da “tredici
strisce alternate rosse e bianche”
in un campo blu, a rappresentare la
nuova costellazione. Il suo “culto”
ha come fondamento una poesia del
1814 di un avvocato, Francis Scott
Key, The Star-Sprangled Banner,
“La bandiera rispendente di stelle”.
Alla lirica venne subito adattata
una canzone popolare destinate a
fondersi, nel 1831, nell’inno
nazionale. Ad interessarci sono gli
ultimi versi:
La bandiera a stelle e strisce
sventoli in trionfo
sulla terra dei liberi e la patria
dei coraggiosi.
[..] Possa la terra riscattata dalla
Provvidenza
ringraziare la Potenza che ci ha
fatto nazione e ci ha protetto
[...] e questo sia il nostro motto:
“abbiamo fede in Dio”
A coronamento di questo processo di
costruzione dell’identità
statunitense come chiamata da Dio ad
una missione civilizzatrice, seguì
la coniazione, nel 1845, da parte
del giornalista John O’Sullivan di
un’espressione, manifest destiny,
“destino manifesto”, per condensare
l’idea secondo cui gli States erano
provvidenzialmente destinati ad
“espandersi nel continente”. Anche
quest’idea derivava dalle Sacre
Scritture ed aveva un forte
connotato di matrice protestante, e
ben si prestava a lasciare intendere
come l’America fosse un “luogo sacro
scelto dalla provvidenza per
realizzare i disegni divini”.
Questo rapido excursus sulle radici
storiche del sostrato religioso
statunitense dovrebbe aiutare a
comprendere come mai certi
atteggiamenti, riferimenti e
sentimenti riferiti al sacro siano
parte integrante della cultura
americana e di quella religione
civile che li ha accompagnati nel
corso della loro storia e,
probabilmente, li accompagnerà
ancora a lungo.
Riferimenti bibliografici:
Bonazzi T., La fata ignorante.
Frammenti americani, Il Mulino,
Bologna, 2025.
Borgognone G., Storia degli Stati
Uniti. La democrazia americana dalla
fondazione all’era globale,
Feltrinelli, Bergamo, 2016.
Gentile E., La democrazia di Dio. La
religione americana nell’era
dell’impero e del terrore, Laterza,
Roma-Bari, 2006.
Testi A., La formazione degli Stati
Uniti, Il Mulino, Bologna, 2003.