N. 20 - Agosto 2009
(LI)
lA CITTÀ DI MILANO
ALLA CORTE DI MADRID
LA MISSIONE DELL’ORATORE SCARAMUZZA VISCONTI
di Loris De Nardi
Questo
contribuito
prende
le
mosse
dal
carteggio
conservato
presso
l’archivio
storico
civico
di
Milano
di
Scaramuzza
Visconti,
oratore
alla
corte
di
Madrid
della
città
di
Milano
dal
luglio
1610
all’aprile
1613.
Attraverso
la
lettura
della
sua
corrispondenza
con
le
massime
autorità
cittadine,
si è
tentato
di
interpretare
la
missione
milanese
nel
contesto
della
storia
delle
relazioni
finanziarie
tra
la
dominante
lombarda
e il
centro
della
monarchia
spagnola,
soffermandoci
quindi
prevalentemente
sugli
affari
di
carattere
economico
e
finanziario.
Il
15
luglio
1610,
il
Vicario
di
Provvigione,
Giovanni
Battista
Porro,
e i
Conservatori
del
patrimonio
della
città
di
Milano,
deliberarono
l’invio
a
Madrid
di
un
oratore.
La
scelta
cadde
su
Scaramuzza
Visconti,
già
ambasciatore
della
città
in
corte
cattolica
tra
il
1603
e il
1607.
Più
volte
incaricato
dai
governatori
dello
Stato
di «
trattar
grandi
affari
co’
Serenissimi
di
Savoia
e di
Mantova,
co’
Grigioni
e
Svizzeri,
con
la
repubblica
di
Lucca
et
altre
occorrenze
particolari»,
Scaramuzza
Visconti
era
stato
anche
Giudice
delle
strade
nella
città
e
nel
Ducato
di
Milano
nel
1593,
Conservatore
del
patrimonio
dal
16
Luglio
1599
e
Decururione
dal
1603.
Il
motivo
principale
della
decisione
delle
autorità
cittadine
milanesi
fu
la
situazione
critica
dei
conti
della
Città
di
Milano,
così
descritta
nelle
Istruzioni:
Considerando
i
detti
Signori
le
necessità
et
miserie
di
questo
stato,
et
della
presente
Città
di
Milano
in
particolare,
cagionate
dalla
molteplicità
de
gli
alloggiamenti
di
eserciti
di
amasso,
di
mora,
di
transito
e di
leva
da
alcuni
anni
in
qua
seguiti,
et
dalle
molte
et
insopportabili
gravezze
introdotte,
non
meno
contra
ogni
antica
consuetudine
et
ragione
che
contra
gli
ordini
precisi
di
Sua
Maestà
Cattolica.
Et
vedendo
che
però
molte
et
gagliarde
istanze,
che
si
siano
continuamente
fatte,
così
presso
l’Eccellentissimo
Governatore
et
questi
Regii
Ministri
come
in
Corte
Cattolica
anco
per
via
de
Corrieri
espressi,
colà
più
d’una
volta
ispediti,
non
si è
potuto
giamai
ottenere
rimedio
o
provisione
alcuna,
a
tante
calamità
et
afflittioni;
al
colmo
delle
quali
hora
s’agiunge
l’amasso
della
soldatesca
alloggiata
e
pasciuta
a
spese
dello
Stato,
con
total
et
evidente
sua
rovina,
si
che
altro
rifugio
over
speranza
non
resta
più,
che’l
ricorso
a
Sua
Maestà
col
mezo
di
preciso
Oratore.
Il
compito
principale
dell’oratore
designato
consisteva
nel
vivamente
rappresentar
alla
Maestà
Sua
le
miserie
e
calamità
communi,
procedute
dall’esser
stati
questi
Vassalli
astretti
a
dare
i
soccorsi
a
tanti
Esserciti
ammassati
da
dodeci
anni
in
qua,
a
somministrar
di
più
le
paghe
intere
alla
gente
di
guerra
rollata
et a
sostener
finalmente
la
Cavallerizza
et
Infanteria
straordinaria
che
si
tiene
tuttavia
in
piede.
Al
che
s’agiungono
le
contributioni
et
egualanze
di
molti
milioni
d’oro
et i
continui
et
inestimabili
danni
dell’attual
alloggiamento,
accompagnato
dalla
libertà
e
licenza
militare
che
di
gran
longa
rilevano
più
che
li
stipendij
istessi.
In
maniera
che
havendo
le
Città
e
Terre
vendute
e
consumate
tutte
le
entrate
e
sostanze
pubbliche
et
impegnato
non
sol
il
patrimonio
de
particolari
ma
anco
le
persone
proprie,
son
state
sforzate
caricarsi
da
se
stesse
di
taglie
e
gravezze
insopportabili
e
non
più
sentite
negli
andati
tempi
per
infelici
e
calamitosi
che
stati
siano.
Il
bilancio
della
metropoli
nel
1600
presentava
un
deficit
di
278.243
lire
che
nel
mese
di
agosto
del
1610
raggiunse
lire
475.584.
La
città
si
trovava
da
tanti
eccessivi
debiti
aggravata
per
non
puoter
annualmente
bilanciarsi
con
pagare
li
debiti
dell’anno
corrente,
come
sogliono
fare
l’altre
Città,
anzi
qualsivoglia
minima
Communità
et
Villa.
Ad
aggravare
la
situazione,
contribuì
l’aumento
delle
spese
militari.
Nel
primo
decennio
del
XVII
secolo
da
598.900
scudi
nel
1600
–
compresi
i
presidi
di
Nizza,
Villafranca
e
Monaco
e le
truppe
di
stanza
nel
Ducato
di
Savoia,
salirono
a
701.071
nel
1605,
escluse
le
guarnigioni
in
territorio
sabaudo.
Le
entrate
della
Camera
regia
per
il
mantenimento
degli
eserciti
erano
costituite
dal
mensuale,
cui
si
aggiungevano
ingenti
somme
provenienti
dal
resto
dell’Impero.
Dopo
la
bancarotta
del
1596
gli
aiuti
esterni
non
ebbero
più
la
regolarità
necessaria,
costringendo
il
Governatore
a
richiede
alle
città
e
contadi
contribuzioni
ulteriori
sempre
più
gravose
per
far
fronte
al
mantenimento
delle
truppe.
Il
conte
di
Fuentes
richiese
infatti,
sempre
più
frequentemente,
il
versamento
anticipato
del
mensuale,
prassi
che
si
consolidò
durante
gli
anni
’90
del
Cinquecento.
Alla
partenza
di
Scaramuzza
Visconti
il
mensuale
era
impegnato
fino
all’anno
1620.
Non
stupisce
che
tra
le
incombenze
dell’oratore
vi
fosse
l’ottenere
da
Sua
Maestà
il
divieto
di
tale
pratica:
sia
servita
Sua
Maestà
di
ordinare
e
provedere
che
nell’avvenire
resti
esso
Mensuale
libero
et
intero
all’effettivo
e
puntual
pagamento
della
militia
ordinaria,
si
come
fin
da
principio
fu
destinato
et
ultimamente
commandato
dalla
stessa
Maestà
Sua
l’anno
1605,
prohibendo
espressamente
che
per
qualsiasi
occorrenza
benchè
forzosa,
non
si
metta
mano
in
convertirlo
in
altro
bisogno
ne
consumarlo
innanzi
tempo
per
non
ricadere
in
quegli
inconvenienti
e
disordini
ne
quali
altre
volte
così
la
Camera
come
lo
Stato
per
si
fatta
cagione
son
caduti.
Inoltre
il
bilancio
era
ulteriormente
gravato
dai
«soccorsi»,
cioè
dalle
paghe
anticipate
dalla
città
alle
genti
d’armi
«straordinarie»
in
sostituzione
dalla
regia
Camera
regia.
Incaricato
dell’inviato
era
ottenere
il
risarcimento
dei
«soccorsi
et
paghe
a’
soldati
pagate
a
conto
di
Sua
Maestà»
per
«ristorare»
lo
Stato
dei
gravi
et
indicibili
danni
sodetti,
et
quando
ha
impossibile
la
sodisfazione
in
contanti
si
proponerano
alcuni
partiti
per
haver
sodisfazione,
che
di
comune
concordia
doverano
esser
stabiliti.
Infine,
per
evitare
«che
nell’avvenire
non
s’habbia
per
alcun
modo
d’aggravar
lo
Stato
a
dare
i
soccorsi
o le
paghe
alla
gente
di
guerra
né
meno
a
spesarla»,
l’oratore
doveva
operare
affinché
Filippo
III
ordinasse
la
riduzione
«al
solito
numero
[del]la
gente
di
guerra
che
di
presente
dimora
in
questo
Stato
mantenuta
a
spese
de
Vassalli»,
o
almeno,
quando
ciò
non
fosse
possibile
mantenerla
«a
spese
et
con
danari
di
Sua
Maestà».
Nello
specifico
Scaramuzza
Visconti
doveva
ottenere
la
cassazione
della
gente
«straordinaria».
Inoltre
doveva
operare
perchè
venissero
abolite
le
nuove
«gravezze»
imposte
dal
conte
di
Fuentes,
come
far
ridurre
al
livello
del
1560
le
compagnie
di
archibugieri
e
cavalleggeri
della
sua
«cavallerizza»
e
far
abolire
i 14
reali
di
paga
concessi
che
[già]
si
pagano
all’altra
Cavalleria
per
ingrassar
il
Capitano
d’esse.
Cosa
che
mai
s’è
servata
in
tutti
gli
altri
governi,
anzi
affatto
proibita,
poiché
le
dette
due
Guardie
[Cavalleggeri
e
Archibugieri]
hanno
il
vantaggio
di
duoi
scudi
al
mese.
Altro
incarico
affidato
al
Visconti
era
quello
di
perorare
per
la
riduzione
dei
privilegi
del
Governatore:
in
particolare
il
rifornimento
alimentare
della
sua
casa
della
sua
casa
senza
ricompensa
alcuna
per
i
contadini
e
rurali
chiamati
a
contribuirvi,
e
l’acquisto
del
fieno
per
la
sua
cavalleria
«a
vilissimo
prezzo,
cioè
a
soldi
33
il
fasso,
se
bene
il
prezzo
commune
e
corrente
è
per
ordinario
di
lire
3 et
4
tal’hora».
Altro
tema
affrontato
dalle
Istruzioni
dell’oratore
milanese
erano
i
magazzini
militari.
Misura
d’emergenza,
già
applicata
in
passato
dal
duca
di
Terranova
e
dal
connestabile
di
Castiglia,
garantivano
ai
soldati
l’acquisto
di
razioni
giornaliere
a un
prezzo
calmierato.
Reintrodotti
dal
conte
di
Fuentes,
i
magazzini
si
collocarono
in
una
strategia
di
più
ampio
respiro,
di
perequazione
e
maggior
giustizia
distributiva
tra
città
e
distretti
rurali.
La
spesa
infatti,
originariamente
ripartita
unicamente
tra
le
comunità
che
alloggiavano
i
soldati
di
guarnigione,
era
messa
a
carico
anche
delle
città,
contro
questo
attacco
ai
suoi
privilegi
Milano
capeggiò
la
protesta,
e
rifiutò
di
consegnare
i
libri
del
perticato,
che
denotavano
l’estimo
su
cui
riscuotere
la
somma
richiesta.
Il
risultato
fu
uno
scontro
diretto
con
il
Governatore.
Ormai
appartenente
alla
leyenda
negra
sulla
figura
del
conte
di
Fuentes,
la
vicenda
è
descritta
anche
nelle
Istruzioni
di
Scaramuzza
Visconti,
redatte
sette
anni
dopo:
fece
[il
governatore]
carcerare
ancora
nel
Castello
di
Milano
il
Vicario
et
Dodici
di
provvisione,
mentre
nel
suo
Tribunale
di
giustitia
si
trovavano
congregati
perché
non
consignavano
i
libri
del
perticato,
per
riscuotere
sopra
d’esso
il
restante
di
essa
contributione.
Cosa
senza
essempio
in
un
Tribunale,
et
che
haverrebbe
per
certo
commossa
tutta
questa
Metropoli,
se
non
fosse
stata
trattenuta
dalla
sua
devotione
verso
la
Corona
di
Spagna.
Et
se
bene
ravedutosi
il
Signor
Governatore,
muto
proprio,
senza
alcuna
istanza
della
Città
li
fece
rilasciare
indi
a
tre
giorni,
tuttavia
non
restò
ne
resta
per
questo
provisto
a si
grave
ingiuria
et
offesa
fatta
a
simile
Tribunale,
il
quale
fu
sempre
et
dalli
grandi
Duchi,
et
da
tutti
gli
Governanti,
anzi
dalle
Maestà
di
Carlo
Quinto
et
dal
Re
Filippo
di
gloriosa
memoria
molto
stimato
et
honorato,
per
rappresentare
la
città
tutta
L’episodio,
che
a
prima
vista
potrebbe
sembrare
una
semplice
questione
interna
alla
società
milanese,
in
realtà
si
collocava
nei
contrasti
di
natura
fiscale
tra
Milano
e le
altre
Comunità.
I
magazzini
erano
considerati
dalla
città
dominante
dello
Stato
l’ennesimo
tentativo
di
lesione
dei
suoi
legittimi
privilegi.
L’oratore
doveva
ottenere
la
cessazione
immediata
di
tale
prassi
contrarissima
a
tutte
le
leggi
divine
et
umane,
all’antica
osservanza
et
alle
precise
decisioni
della
gloriosa
memoria
del
Re
suo
padre,
massime
a
quella
dell’anno
1573
et a
tutti
gl’ordini
delli
Governatori
d’esso
stato,
cominciando
dal
Duca
di
Sessa
sin’all’Eccellentissimo
Signor
Contestabile
Strettamente
collegata
ai
magazzini
e
agli
alloggiamenti
era
la
capitolazione
del
1605
con
la
quale
stabilendo
et
segnalando
gl’allogiamenti
de
soldati
a
piedi
si
ordinarj,
come
straordinarj
[…]
al
numero
di
cinque
mila
effettivi,
si
sarebbe
provisto
a
tante
miserie,
et
danni
dello
Stato,
levati
gli
soccorsi
et
magazenj.
Sottoscritto
tra
l’impresario
Carlo
Perone
e lo
Stato
di
Milano,
il
contratto(detto
capitolazione)
mirava
a
razionalizzare
il
sistema
degli
alloggiamenti,
impedendo
la
conversione
del
mensuale
ad
altri
usi.
L’impresario
doveva
sostituirsi
allo
Stato
nell’assicurare
alloggiamento
delle
truppe.
Era
di
sua
competenza
assicurare
tutte
le
forniture
necessarie
ai
soldati
alloggiati,
«compresa
qualsivoglia
pretensione
di
altre
rationi
per
Ufficiali,
donne
e
ragazzi».
L’impresario
riceveva
dallo
Stato
una
quota
fissa
per
3200
razioni
sicure
all’anno.
Se
il
numero
effettivo
dei
soldati
«fin’al
compimento
delle
Rationi
5000»
non
era
presente
sul
territorio
dello
Stato
nulla
era
dovuto
all’impresario,
eccetto
una
somma
convenuta
«per
gli
utensilij
otiosi,
e
per
alcune
spese
straordinarie».
Invece,
se
venivano
raggiunti
i
5000
soldati,
lo
Stato
avrebbe
pagato
6
denari
e 8
soldi
per
ciascun
soldato
sopra
la
quota
base
di
3200.
L’interpretazione
della
capitolazione
portò
a
una
disputa
tra
le
parti,
che
ebbe
esito
sfavorevole
per
lo
stato.
Visconti
fu
incaricato
di
sottoporre
la
questione
al
sovrano
e
ottenere
che
fosse
rimessa
al
Senato.
I
compiti
di
Scaramuzza
non
finivano
qui.
Tra
le
sue
altre
incombenze
vi
era
l’opposizione
ad
una
recente
«Giunta
dei
cinque
delegati»:
eretta
nell’ambito
della
Congregazione
dello
stato
per
dirimere
le
controversie
tra
città
e
contadi,
era
ritenuta
tanto
dannosa
allo
Stato,
et
massima
a
quella
di
Milano,
che
nulla
più,
poiché
dipendendo
questo
Tribunale
da
Sindaci,
come
a
loro
istanza
eretto,
non
lasciano
d’introdurre
nanti
essi
qualsivoglia
loro
pretentione,
ottenendo
quanto
vogliono,
et
alle
volte
ancora
più
di
quello
domandato.
La
Giunta
aveva
emesso
sentenze,
che
benchè
contestate
dalle
città,
erano
state
comunicate
direttamente
al
Governatore
ed
eseguite.
L’oratore
doveva
ottenere
che
le
sentenze
venissero
sospese
e
rimesse
ad
altro
tribunale.
In
particolare,
nelle
Istruzioni
si
menzionava
l’estensione
alle
obbligazioni
civili
dell’obbligo
ad
alloggiare
le
truppe:
vedendo,
che
le
case
da
nobile
in
villa,
per
anticha
consuetudine
erano
presentate
essenti
dall’attuale
alloggiamento,
sostendendo
la
Città
altri
carichi,
tanto
ha
fatto
[il
governatore]
che
dalli
Cinque
Delegati
è
stato
dichiarato
che
siano
tenute
all’affettuale
alloggiamento.
Si
contestava
anche
una
sentenza
sulla
riparazione
(acconciatura)
delle
strade:
con
la
quale
hanno
alterato
una
consuetudine
d’anni
quattrocento,
indistintamente
servata
senza
alcuna
interruzione
d’acconciarsi
le
strade
delle
Communità
conforme
alli
suoi
termini,
che
si
chiamano
fatte
con
poca
o
niuna
spesa
delle
Communità,
mandando
esse
huomini,
carri
et
bovi
ad
acconciarle,
qual’consuetudine
è
stata
ancora
dalli
Sindaci
abbraciata
et
dal
Senato
più
d’una
volta
confermata.
Et
essi
Cinque
Giudici
hanno
dichiarato
che
le
spese
della
detta
acconciatura
si
facci
dalli
possessori
di
beni
civili
et
rurali.
Sentenza
altrettanto
ingiusta
quanto
impratticabile.
Ancora,
si
faceva
opposizione
alla
sentenza
che
imponeva
alle
città
di
contribuire
al
«terzo
del
tasso»,
che
fino
a
quel
momento
gravava
unicamente
sui
contadi
«per
ordine
del
Senato».
Infine,
l’oratore
doveva
ottenere
lettere
reali
per
sancire
la
precedenza
del
Vicario
di
provvigione
sui
Fiscali:
Procurerà
ancora
che
atteso
l’affronto
fatto
al
Vicario,
et
Tribunale
di
Provisione
per
esser
senza
causa
posti
prigioni,
non
debba
esser
lecito
al
Governatore
inconsulto
Rege
farlo;
Anzi
stando
che
di
già
li
fiscali
sedono
et
in
Senato
et
in
Consiglio,
et
coprono
acciò
egli
non
sia
di
peggior
conditione
di
loro;
che
parimente
egli
habbi
a
sedere,
et
coprir
all’istesso
modo
he
fanno
i
Fiscali
di
veste
longa.
Scaramuzza
Visconti
giunse
a
Madrid
il 2
Settembre
1610.
La
mattina
seguente
incontrò
Gerolamo
Caimi,
reggente
«naturale»
di
Milano
in
Consiglio
d’Italia,
suo
referente
principale
in
corte
cattolica.
Ottenuta
una
nuova
licenza
il 4
settembre
dal
connestabile
di
Castiglia,
presidente
del
Consiglio
d’Italia,
essendo
la
precedente
revocata
«dal
già
Signor
Conte
di
Fontes
[sic]
con
sue
lettere»,
iniziò
ad
operare
a
pieno
titolo
quale
oratore
della
città
di
Milano.
Il
primo
compito
dell’inviato
milanese
fu
di
ottenere
il
licenziamento
delle
truppe
straordinarie
presenti
nello
Stato,
per
poi
avviare
il
«negozio»
più
importante:
il
rimborso
dei
«soccorsi».
Parallelamente
a
questa,
che
può
considerarsi
la
parte
fondamentale
dell’ambasceria,
l’oratore
procedette
al
disbrigo
degli
affari
secondari.
In
questa
decisione
operativa
fu
rilevante
il
ruolo
giocato
da
Gerolamo
Caimi,
reggente
della
città
di
Milano,
come
lo
stesso
Scaramuzza
Visconti
scrive
nella
sua
prima
missiva:
Il
memoriale
fu
da
me
fatto
alla
presenza
et
approvato
dal
Signor
Regente
Caimo
[sic]
il
quale
stimò,
com’anche
parve
a
me,
che
non
si
dovesse
ristringere
ad
altro,
per
addesso,
se
non
al
rimedio
di
questa
soldatesca,
esponendo
il
ma
termine
al
quale
ha
condotto
il
Stato
di
Milano.
Lo
studio
del
disbrigo
di
questa
incombenza
può
essere
esemplificativo
del
modello
del
«ben
negotiare»
adottato
dall’oratore
in
corte
cattolica.
Il
primo
passo
fu
farsi
ammettere
alla
presenza
del
duca
di
Lerma.
Traguardo
difficoltoso,
da
coltivarsi
con
pazienza.
Partito
al
quale
erano
costretti
tutti
gli
«Ambasciatori
dei
Principi
d’Italia
et
anco
quello
dell’Arciduca
Leopoldo».
Per
riuscirci
l’oratore
milanese
chiese
una
serie
d’udienze
ai
personaggi
più
in
vista
della
corte.
Il
10
settembre
consegnò
la
lettera
di
credenziali
a
don
Rodrigo
Calderon.
Seguirono
il
16
dello
stesso
mese
il
duca
di
Uceda,
il
marchese
di
Velada,
don
Juan
Idiaquez
e il
confessore
di
Filippo
III.
Il
28
settembre
si
tenne
una
seduta
del
Consiglio
di
stato
«sopra
le
cose
d’italia
particolarmente».
Grazie
all’intercessione
del
connestabile
di
Castiglia,
Visconti
Scaramuzza
riuscì
finalmente
a
farsi
ammettere
alla
presenza
del
duca
di
Lerma.
Il
quale
lo
ascoltò
«con
molta
cortesia»
e
fece
rimettere
in
Consiglio
di
stato
il
memoriale.
Seguirono
le
udienze
dell’arcivescovo
di
Toledo,
dal
duca
dell’Infantado
e
dal
duca
di
Albuquerque.
Il
memoriale
fu
trattato
il 9
Ottobre.
La
consulta
fu
positiva,
proponendo
che
«Sua
Maestà
facesse
ogni
sforzo
perché,
con
effetti,
quanto
prima
si
provedesse
a sì
gravi
bisogni,
tenendo
seco
quel
conto
che
ricerca
la
divotione
e
meriti
di
quei
vassalli».
L’ordine
reale
di
«cassare»
tutte
le
genti
straordinarie
presenti
nello
Stato
di
Milano,
complici
le
trattative
diplomatiche
con
Savoia,
fu
spedito
solo
il
20
novembre
al
governatore:
Doppo
di
haver
hieri
sera
mandato
le
lettere
alla
posta,
quasta
mattina
l’Ambasciatore
dell’Imperatore
ha
mandato
a
farmi
sapere
come
Sua
Maestà
ha
dato
ordine
che
si
licentii
la
soldatesca
del
Stato
di
Milano;
et a
rallegrarsene
meco.
Scaramuzza
Visconti
ricevette
la
conferma
da
Milano
dell’effettiva
cassazione
delle
truppe,
dal
vicario
di
provisione,
il
28
gennaio
1611.
Il
successo
dell’oratore
è da
ricondurre
a
diversi
fattori.
Fondamentale
fu
l’appoggio
del
Presidente
del
Consiglio
d’Italia,
Juan-Fernandez
de
Velasco.
Il
connestabile
di
Castiglia,
già
governatore
dello
stato
di
Milano
dal
1583
al
1592
e
dal
1695
al
1600
fu
nominato
per
la
terza
volta
a
tale
incarico
il
26
Settembre
1610,
proprio
a
seguito
della
venuta
e
delle
denunce
dell’oratore
milanese:
la
venuta
di
Sua
Eccellenza
a
cotesto
governo
fu
puramente
promossa
e
rissoluta
dall’arrivo
mio
qui:
perché
arrivand’io
trovai
ch’era
fatto
l’dispacchio
per
il
Signor
Don
Pietro
di
Leyva,
il
quale
stava
aspettandolo
in
Barcellona
per
venirsene.
Onde
subito
fu
rivocato
l’ordine
e
commandato
da
Sua
Maestà
al
Signor
Contestabile
che
se
ne
venisse
con
ogni
celerità,
concedendole
tutte
le
gracie
ch’egli
pretese
incontinente:
e fu
tanta
la
fretta
che
le
diede
che
io
parlai
a
Sua
Maestà
il
16
di
Settembre
et
il
Signor
Contestabile
parti
di
qui
per
l’Italia
l’11
di
Ottobre;
cosa
che
fu
molto
straordinaria
data
la
qualità
di
Sua
Eccellenza
et
il
Stato
suo.
Insieme
all’affezione
per
i
sudditi
lombardi,
nell’azione
dell’alto
dignitario
madrileno,
un
ruolo
determinante
fu
giocato
dall’antipatia
e
rivalità
personale
nei
confronti
del
Fuentes,
dimostrata
più
volte
durante
gli
scontri
tra
Milano
e il
conte
sopra
ricordati.
L’appoggio
del
Velasco
a
Scaramuzza
Visconti
continuò
anche
dopo
la
sua
partenza
per
Milano
e fu
di
grande
aiuto
all’oratore
per
ottenere
consulte
favorevoli
in
Consiglio
di
stato.
Non
secondario
il
ruolo
giocato
dal
confessore
di
Filippo
III,
che
apprese
benissimo
la
causa
nostra
[della
città
di
Milano]
e ne
resto
assai
minutamente
informato
con
molto
suo
e
mio
gusto;
e mi
disse
ch’io
fossi
da
lui
in
tutte
l’occorrenze,
ch’havrebbe
sempre
fatti
tutti
gli
uffici
necessari
et
opportuni
con
Sua
Maestà
per
aggiustarci
in
cosa
tanto
giusta.
Anche
se
l’azione
del
religioso
si
riferì
per
lo
più
al
rimborso
dei
«soccorsi»,
nulla
toglie
al
fatto
che
avere
l’appoggio
di
una
persona
così
vicina
al
sovrano
era
fondamentale
per
il
buon
esito
delle
pratiche.
Significativo
è il
rammarico
di
Scaramuzza
Visconti
alla
notizia
di
una
sua
malattia:
Habbiam
havuto
a
perder
il
Reverendissimo
Confessore
del
Re
Nostro
Signore
d’accidente
apopletico
con
travaglio
grande
di
tutta
questa
Corte;
e
mio
molto
particolare.
Hora
sta
meglio
e
s’ha
già
per
sicuro
Dio
lo
guardi
perchè
le
buone
conditioni
sue
lo
meritano;
et
io
l’ho
per
l’Angelo
mio
Custode
in
molte
cose;
et
ha
sempr
mostrato
protettione
molto
affettuosa
alle
cose
nostre.
Infine
essenziale
nell’azione
dell’oratore
milanese
fu
l’uso
sapiente
dei
«mezzi
che
possono
aggiuttar’et
accellerar’i
negocii».
La
corruzione,
perché
di
questo
si
trattava,
interessava
il
personale
di
segreteria:
Nella
Segreteria
d’Italia
io
non
posso
desiderare
piu
cortesia
[…].
Al
sostituto
del
Segretario,
che
si
chiama
il
Licentiato
Mognoz,
che
fa
tutti
i
dispacchi,
ho
fatto
promettere
cortese
ricognitione
perché
m’espedisca
presto
e
serva
di
buon
inchiostro
nell’estensione
e
così
pensavo
donarli
cosa
di
trecento
reali
che
così
fui
consigliato
da
chi
molto
bene
lo
può
fare.
come
gli
inservienti,
paggi
e
portieri:
Arrivato
ch’io
fui
il
primo
di
qua
dico
quando
passai
a
Lerma
senza
fermarmi,
vennero
i
Portieri
del
Consiglio
d’Italia
e
dell’Eccellentissimo
Signor
Contestabile
e le
donai
cento
Reali,
che
cosi
mi
fu
detto
esser
il
manco
che
si
potesse
fare.
Tale
prassi
consentiva
di
ottenere
una
serie
di
infomazioni,
altrimenti
inaccessibili
per
regolamento.
Per
avere
un’idea
della
diffusione
di
simili
regalie
e
mance,
basta
osservare
le
note
di
spese
periodicamente
inviate
dall’oratore
milanese
al
Vicario.
Ad
esempio
si
veda
la
nota
delle
spese
straordinarie
effettuate
dal
1
Agosto
1611
al 1
Febbraio
1612.
L’ammontare
complessivo
è
pari
a
767
reali
castigliani
e 80
meravedis.
Le
spese
straordinarie
quali
corrieri,
copie
di
lettere,
traduzioni
di
documenti
o
spostamenti
ammontavano
a
257
reali
castigliani
e 48
maravedis.
La
differenza,
pari
a
510
reali
castigliani
e 32
meravedis,
risulta
spesa
in
mancie
e
donativi
a
segretari,
portieri,
paggi
e
così
via.
Il
rimborso
dei
«soccorsi»
era
strettamente
collegato
al
licenziamento
delle
truppe
«straordinarie»
presenti
nello
Stato.
Chiaro
a
riguardo
Scaramuzza
Visconti:
la
mia
pretensione
è
che
si
levi
la
causa
del
danno
ch’è
la
soldatesca
et
in
oltre
che
Sua
Maestà
ristori
il
danno
patito,
con
il
rimborso
del
danaro
attuale.
Il
18
novembre
1610
fu
inviato
al
Governatore
dello
Stato
l’ordine
esecutivo
per
la
rimozione
delle
truppe.
Il
Vicario
di
Provvigione
della
Città
di
Milano
il
28
gennaio
1611
scrisse
all’oratore
milanese
che
la
gente
tutta
è di
già
licentiata,
et
con
questo
ordinario
passato
l’ho
scritto
a
Vostra
Signoria.
Si
che
signor
mio,
poichè
si
risservava
di
dar
il
fuoco
a
questa
bombarda
[il
rimbordo
dei
«soccorsi»]
tan
tosto
che
havesse
l’aviso
che
fosse
stato
licentiato
l’esercito,
Vostra
Signoria
di
gratia
non
lasci
di
far
il
possibile
perché
in
questo
conseguiamo
il
nostro
intento,
poichè
questo
è il
maggior
negotio
et
che
più
preme
a
questo
Stato,
essendo
la
nostra
dimanda
fondata
in
tanta
giustitia
et
equità
con
la
molta
inclinatione
che
ci
tiene
Sua
Maestà
et
qui
Sua
Eccellenza,
gionta
la
destrezza
et
diligenza
di
Vostra
Signoria,
non
può
quasi
fare
che
non
sortisca
buon
esito.
Per
«soccorsi»
si
intendevano
gli
8
soldi
e il
¼ di
scudo
poi
saliti
a
15
soldi
giornalieri,
pagati
dalla
città
di
Milano
a
ogni
fante
e
cavaliere,
quale
surrogato
della
paga
che
la
Camera
regia
non
era
in
grado
di
sborsare.
Questo
aveva
dato
luogo
a un
debito
di
centinaia
di
migliaia
di
scudi
della
camera
Regia
verso
la
Città.
Inizialmente
infatti
le
paghe
erano
state
versate
direttamente
dall’
«alloggiante»
che
le
detraeva
dal
mensuale;
il
conte
di
Fuentes
invece
aveva
stabilito
che
dovessero
essere
le
città
sedi
di
presidio
ad
accollarsi
la
spesa.
Il
credito
della
città
di
Milano
nei
confronti
della
Camera
regia,
al
momento
dell’ambasceria
in
corte
cattolica,
fu
valutato
dal
connestabile
di
Castiglia
intorno
ai
653.000
scudi.
La
pratica
relativa
al
recupero
del
credito
milanese
venne
perorata
da
Scaramuzza
Visconti
principalmente
in
Consiglio
di
Stato
essendo
«di
gran
longa
superiore
a
questo
[Consiglio
d’Italia]
d’autorità
e di
stima
presso
Sua
Maestà
et a
suoi
ministri»:
Hor
fecci
le
mie
diligenze
con
tutti
questi
signori
di
stato,
i
quali
sono
il
cardinale
di
Toledo,
duchi
dell’Infantado
e d’Alburcherche
[sic],
marchese
di
Velada
e
don
Giovanni
Idiarchez
[sic],
da
quali
hebbi
tanta
sodisfattione
ch’io
stesso
non
puotrei
formarmela
maggiore
e
pensino
le
Signorie
Vostre
il
resto.
Il
favore
del
Re e
del
duca
di
Lerma
risultò
subito
evidente,
anche
grazie
al
ruolo
del
governatore
di
Milano
che
nella
sua
corrisponza
descriveva
«con
grande
spirito
e
sommo
dolore
le
miserie,
anzi
le
rovine»
dello
Stato.
La
questione
sostanziale
non
era
il
rimborso,
ma
la
modalità
con
cui
effettuarlo.
Fin
dal
principio
Scaramuzza
Visconti
dichiarò
la
propria
opposizione
al
risarcimento
in
denaro,
ritenendolo
«prattica
molto
pericolosa»
a
causa
dell’entità
considerevole
del
credito.
Era
impossibile
riscuoterlo
in
un’unica
volta,
dato
che
equivaleva
«alla
sospensione
di
due
anni
del
mensuale»,
e
avrebbe
impedito
al
Governatore
di «proveder
a
bisogni
dello
stato»;
ed
era
troppo
lunga
la
via
della
rateizzazione,
che
avrebbe
richiesto
più
di
dieci
anni
e
soprattutto
era
rischiosa
in
quanto
lo
Stato
potrebbe
non
venir
soddisfatto
completamente:
il
credito
si
farà
rancido
e
verrenno
forsi
qualch’accidenti
in
questo,
mentre
che
ce
lo
farano
restar
adietro
lasciando
che
la
dilatione
si
longa
stando
la
natura
del
debito
verrebbe
accompagnata
da
troppo
grave
danno.
Se
proprio
non
era
possibile
evitare
il
rimborso
in
contanti,
era
quanto
meno
indispensabile
che
la
somma
fosse
espressamente
vincolata
al
rimborso
del
credito,
in
modo
che
vada
necessariamente
nell’uso
desiderato;
[in
caso
contrario]
non
penso
che
quando
bene
Sua
Maestà
mandasse
costì
tutto
l’oro
del
Perù
sia
per
arrivarne
alle
mani
dello
Stato
un
reale.
E
tuttavia,
da
Madrid
si
scelse
dapprima
proprio
la
soluzione
del
rimborso
pecuniario.
Al
connestabile
di
Castiglia
furono
inviati
in
tre
diversi
mandati
950.000
scudi.
Da
calcoli
fatti
l’esercito
non
poteva
esser
costato
in
totale
più
di
900.000
scudi,
ovvero,
meno
i
650.000
già
anticipati,
250.000
scudi.
Con
la
somma
ricevuta
il
Governatore
avrebbe
dovuto
licenziare
le
truppe
e
rimborsare
la
città,
ma
questo
non
fu
possibile
essendo
stato
«il
danaro
convertito
in
altro
uso»,
come
Visconti
aveva
giustamente
temuto,
ovvero
nelle
paga
dei
due
terzi
di
spagnoli
al
suo
comando.
Alternativa
al
rimborso
in
denaro
era
la
compensazione
del
credito
attraverso
la
concessione
di
altrettante
entrate
Reali
della
Camera
regia,
largamente
caldeggiata
sia
dall’oratore
Visconti
che
dal
Consiglio
Generale
della
città
di
Milano,
e
considerata
«il
meglior
partito
che
per
servicio
di
Sua
Maestà
e
per
l’urgente
nostro
bisogno
si
puotesse
proporre».
A
tale
fine
il
13
luglio
1611
Scaramuzza
Visconti
supplicò
Filippo
III
di
ordinare
che
s’eseguisse
la
sua
già
precisa
e
dichiarata
volontà
circa
il
rimborso
dei
soccorsi,
commandando
che
si
dessero
in
pagamento
al
Stato
tant’entrate
Reali
in
quel
dominio
quanto
importava
la
somma
del
danaro
soccorso
Il
negozio
si
presentò
subito
«arduo
per
se
stesso
ma
molto
più
per
la
qualità
de
tempi
e d’alchuni
spiriti
che
son
traversi».
Una
consulta
del
Consiglio
d’Italia
suggerì
di
imporre
a
tale
fine
una
tassa
sulla
vendita
del
fieno
di
tutto
lo
Stato
di
una
«parpagliola»
per
fascio,
«gravezza»
che
inizialmente
era
previsto
ricadesse
anche
sulle
cascine,
beni
appartenenti
ai
cittadini.
Scaramuzza
Visconti
vi
si
oppose
calorosamente,
adducendo
che
se
la
pratica
di
imporre
nuovi
carichi
allo
Stato
per
risarcirlo
dei
propri
crediti
fosse
andata
in
porto,
il
re
avrebbe
potuto
mettere
tutti
li
eserciti
nello
Stato
di
Milano
senza
pigliarne
pensiero
e
noi
far
conto
di
non
havere
più
niente
al
mondo.
Il
22
ottobre
1611
al
connestabile
di
Castiglia
venne
inviato
l’ordine
definitivo
del
rimborso
dei
«soccorsi»
per
via
«d’assignationi
o
dato
in
pagamento
di
tante
rendite
Reali
come
Sua
Eccellenza
giudicarà
più
ispediente».
In
attesa
del
licenziamento
degli
eserciti
«straordinari»
e
del
rimborso
dei
«soccorsi»,
Scaramuzza
Visconti
si
dedicò
ai
rimanenti
«negocij»
a
lui
affidati
dalle
Istruzioni:
incombenze
di
carattere
prettamente
tributario,
riconducibili
all’energico
tentativo
del
conte
di
Fuentes
di
ottenere
una
maggior
contribuzione
dalle
città,
a
scapito
dei
loro
privilegi.
Il
20
dicembre
1610
l’oratore
inoltrò
al
Consiglio
d’Italia
un
memoriale
per
la
riduzione
delle
unità
delle
due
guardie
di
lance
e
archibugieri,
facenti
parte
della
cavalleria
d’ordinanza
del
Governatore,
che
il
Fuentes
aveva
accresciuto,
mentre
non
devono
essere
le
lance
effettive
se
non
cinquanta,
dedotte
le
dieci
che
servono
nella
Cappella
e
gli
archibugieri
trenta,
in
modo
che
vien
ad
aggravarsi
il
Stato
di
sessanta
cavalli
di
più
del
già
antico
solito
e
del
dovere.
Da
Madrid
si
richiese
al
connestabile
di
Castiglia
l’invio
di
una
relazione
per
ottenere
ordini
reali
vincolanti
per
«i
signori
governatori
futuri».
Nonostante
le
promesse
fatte
a
Visconti,
Velasco
il 2
luglio
1611
propose
di
ridurre
le
lance
solo
ad
ottanta
e
gli
archibugi
a
sessanta,
ovvero
«sessanta
cavalli
nelle
guardie
più
del
solito»,
che
equivaleva
ad
un
aggravio
per
lo
Stato,
comprendendo
gli
ufficiali,
di
250
scuti
al
mese;
oltre
il
travaglio
maggiore
essendo
piu
numerose
le
guardie.
L’oratore
milanese
iniziò
immediatamente
a
perorare
la
causa
in
Consiglio
di
Stato
per
ottenere
un
ordine
che
obbligasse
il
Governatore
di
Milano
a
riportare
le
guardie
ai
livelli
del
1560.
Per
raggiungere
tale
scopo
fu
essenziale,
oltre
all’operato
del
Visconti
presso
i
«supremi
ministri»,
l’azione
persuasiva
del
Vicario
di
Provvigione
e
dei
Conservatori
del
patrimonio
sul
connestabile
di
Castiglia,
la
cui
«buona
mente»
era
stata
sicuramente
ingannata,
al
dire
del
Visconti,
in
quanto
«promise
molto
rissolutamente
di
rifformarle
al
loro
solito
segno
subito
doppo
l’arrivo
suo».
Il
Vicario
doveva
premere
affinché
il
Governatore
applicasse
l’ordine
reale,
spedito
il
28
agosto
1611,
per
la
riduzione
delle
due
guardie
in
questione
ai
livelli
del
1560,
in
quanto
«ove
si
porranno
adesso
le
cose
ivi
starano,
essendo
Sua
Eccellenza
Signore
di
quel
credito
che
è si
ben
intentionato
verso
di
noi».
Un
altro
punto
contestato
erano
i 14
reali
di
paga
concessi
sempre
dal
conte
di
Fuentes
alle
medesime
guardie:
una
«Gravezza»
considerata
«nuova,
quanto
indebita»,
dato
che
una
simile
paga
spettava
alla
cavalleria
pesante
, e
dato
che
le
lance
e
gli
archibugieri
avevano
già
i
due
scudi
al
mese
imposti
dal
duca
di
Sessa.
Il
connestabile
di
Castiglia,
Governatore
di
Milano,
promulgò
un
decreto
dichiarandone
l’abolizione,
che
venne
inviata
dal
Vicario
di
Provvigione
a
Scaramuzza
Visconti
il
30
luglio
1611
con
l’incarico
di
ottenere
ordini
reali
per
rendere
definitiva
la
concessione,
dato
che
le
grida
dei
governatori
non
erano
vincolanti
per
i
successori.
E
qui
avvertiscano
signori
che
necessario
sarà,
come
con
altre
mie
ho
loro
scritto,
che
sì
in
questo
come
nelli
altri
particolari
procurino
che
Sua
Eccellenza
rescriva
dando
conto
a
Sua
Maestà,
delle
cose
sì
eseguite
come
da
eseguirsi,
conform’a
quello
che
nelle
lettere
le
vien
ordinato
ch’ella
faccia:
perché
sopra
quelle
relationi
verrano
poi
gli
ordini
Reali
dispositivi
dell’osservanza:
et
in
questo
siano
le
Signorie
Vostre
avvertite
e
sollecite
perché
qui
sta
il
ponto
del
stabilimento,
che
per
il
signor
Contestabile
durante
il
suo
governo
puoco
importa:
ne
egli
puo
imporre
lege
ai
successori
se
non
che
avisando
Sua
Maestà
com’ella
commandarà
vengano
poi
da
quella
dati
i
rimedii
per
l’avvenire,
né
per
altra
via
si
può
havere
ne
pretendere
confirmatione
da
Sua
Maestà
in
nissun
modo.
La
stessa
cosa
si
verificò
riguardo
agli
abusi
lamentati
in
materia
di
rifornimento
alimentare
e di
legname
alle
case
del
Governatore
e
del
Castellano,
aboliti
di
propria
iniziativa
dal
nuovo
governatore.
L’oratore
non
riuscì
a
condurre
in
porto
tale
pratiche
poiché
la
grida
da
sole
non
bastavano:
erano
necessarie
lettere
di
certificazione
del
Governatore
che
nonostante
le
continue
richieste
dell’oratore
non
vennero
mai
inviate.
Ancora
Scaramuzza
Visconti
era
incaricato
di
ottenere
l’abrogazione
o la
revisione
delle
tre
sentenze
promulgate
dalla
“Giunta
dei
cinque
giudici
delegati”,
riguardanti
controversie
fiscali
tra
la
Città
e il
Ducato:
la
contribuzione
dei
beni
civili
all’imposta
del
«terzo
del
tasso»,
l’estensione
alle
abitazioni
civili
dell’obbligo
di
alloggiare
i
soldati,
e
infine
la
partecipazione
dei
civili
ai
costi
per
la
riparazione
delle
strade.
Tale
questione
fu
rigettata
dal
Consiglio
d’Italia
che
le
rimise
al
Governatore
con
l’ordine
di
eleggerne
i
giudici
d’appello,
con
grande
soddisfazione
del
Vicario
e
dei
Dodici
di
Provvigione.
Temi
di
primaria
importanza
affidati
all’opera
di
Scaramuzza
Visconti
erano
l’alloggiamento
delle
truppe
e i
magazzini
militari.
Si
calcola
che
l’alloggiamento
delle
truppe,
fosse
costato
alla
sola
città
di
Milano,
12
milioni
dal
1590
al
1604
e 20
milioni
dal
1604
al
1615,
ai
quali
andavano
aggiunte
nuove
spese
come
il
soldo
della
guardia
e
degli
archibugieri
del
Governatore
(L.
10.000
all’anno);
degli
artiglieri
(L.
30.000
all’anno);
quelle
per
le
fortificazioni
(L.
100.000
all’anno);
e
quelle
per
i
carri
e
per
gli
animali
da
traino
del
corpo
dei
guastatori
(L.
240.000
all’anno).
I
memoriali
riguardanti
i
magazzini
e
alloggiamenti
straordinari
e
magazzini
ordinari
vennero
inoltrati
il 3
Novembre
1610
al
Consiglio
d’Italia.
Di
questi
furono
fatte
dal
Consiglio
consulte
con
molto
studio
a
Sua
Maestà,
delle
quali
sin
qui
non
n’è
venuta
rissoluta
se
non
una.
Per
l’altra
parlai
l’altr’hieri
al
signor
don
Rodrigo
Caldarono
[sic]
supplicandolo
per
l’ispeditione,
il
quale
molto
cortesemente
me
ne
promise
la
diligenza,
dicendomi
che
le
mandassi
un
puoco
di
memoria
che
n’havrebbe
parlato
al
signor
duca
di
Lerma
per
il
dispacchio.
Holle
inviata
la
memoria
e
l’ho
fatto
dare
al
suo
segretario
il
quale
mi
s’è
sempre
mostrato
cortesissimo;
e
m’ha
promesso
di
consignarla
allo
stesso
signor
don
Rodrigo
[Calderon]
nel
ponto
ch’andarà
dal
signor
duca
sodetto
per
il
dispacchio
solito
de
negocii.
I
dispacci
con
gli
ordini
reali
furono
inviati
ex
offitio,
ovvero
direttamente
e
segretamente,
al
connestabile
di
Castiglia
il
18
Gennaio
1611.
A
riguardo
dei
magazzini
straordinari
fu
deciso
che
in
caso
di
transito
di
gente
«straordinaria»
il
Governatore
dovesse
avvisare
Madrid,
che
avrebbe
provveduto
a
inviare
il
denaro
necessario
per
pagarla,
«non
essendo
giusto
che
i
popoli
sentano
danno
dai
magazeni:
onde
con
la
paga
habbi
a
viver
il
soldato
senza
travaglio
del
suddito:
e
questo
è
santissimo».
In
caso
che
la
Corona
fosse
nell’impossibilità
di
coprire
le
spese,
dovevano
essere
i
paesi
di
residenza
dei
militari
a
soccorrere
« il
soldato
con
un
reale
al
giorno,
overo
quel
di
più
ch’importarà
la
paga
alla
rata
»
per
poi
scontarlo
dai
tributi
di
cui
era
debitore
alla
camera
Regia;
e
poiché
«il
mensuale
verrebbe
poi
a
sminuirsi,
Sua
Maestà
subito
provvegga
del
denaro
che
si
levarà
da
quello».
L’ordine
relativo
i
magazzini
ordinari,
ne
prevedeva
invece
l’abolizione.
Strettamente
collegato
ai
magazzini
e
agli
alloggiamenti
era
il
contratto
(detto
capitolazione)
stipulato
tra
lo
Stato
e
l’impresario
Carlo
Perone,
che
Scaramuzza
Visconti
aveva
il
compito
di
far
rescindere.
L’oratore
milanese
inoltrò
il
memoriale
al
Consiglio
d’Italia
in
data
25
novembre
1610;
in
base
alla
consulta
del
consiglio
il
re
ordinò
al
Governatore
di
Milano
di
sottoporre
il
contratto
al
Senato,
che
«con
brevità»
era
incaricato
di
valutarlo
e se
lo
riconosceva
lesivo
degli
interessi
dello
Stato
di
rescinderlo.
In
effetti,
alla
sua
scadenza
nel
1611
il
contratto
con
il
Perone
non
fu
più
rinnovato:
essendosi
dichiarato
lo
Stato
di
non
voler
prolungare
la
detta
conventione,
massime
perché
con
tal
occasione
haveva
detto
Signor
Conte
di
Fuentes
ordinato
al
Proveditore,
che
alloggiasse
la
militia
residente
nel
forte
di
Fuentes,
ed
in
altri
Presidij
fuori
dello
Stato,
e
comandato,
che
queste
rationi
s’includessero
nel
numero
convenuto
col
sudetto
Perone
e
che
successivamente
lo
Stato
gli
pagasse
per
esse
le
due
e
tre
parpagliole.
Il
29
Febbraio
1611
l’oratore
milanese
fu
incaricato
dal
Vicario
di
Provvisione
di
occuparsi
di
un
nuovo
affare:
un
ordine
reale
per
scaricare
la
precedenza
del
Vicario
di
Provvisione
sui
Fiscali,
mettendo
in
risalto
l’honorevolezza
del
grado,
la
persona,
che
rappresenta,
la
giurisdittione
che
tiene
et
la
nobiltà
de
titoli
con
che
Sua
Maestà
honora
la
persona
sua
e
del
Tribunale.
Ma
il 7
Maggio
1611
fu
spedito
a
Milano
un
dispaccio
che
stabiliva
che
nulla
si
dovessere
innovare.
I
Fiscali
non
potevano
costituirsi
in
corpo
separato
ma
dovevano
procedere
insieme
agli
altri
tribunali.
Si
incaricava
poi
il
Governatore
di
decidere
se
far
sfilare
i
togati
insieme
al
Magistrato
ordinario
o al
Senato
e i
non
togati
con
il
Magistrato
straordinario.
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