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N. 20 - Agosto 2009 (LI)

lA CITTÀ DI MILANO ALLA CORTE DI MADRID
LA MISSIONE DELL’ORATORE SCARAMUZZA VISCONTI

di Loris De Nardi

 

Questo contribuito prende le mosse dal carteggio conservato presso l’archivio storico civico di Milano di Scaramuzza Visconti, oratore alla corte di Madrid della città di Milano dal luglio 1610 all’aprile 1613. Attraverso la lettura della sua corrispondenza con le massime autorità cittadine, si è tentato di interpretare la missione milanese nel contesto della storia delle relazioni finanziarie tra la dominante lombarda e il centro della monarchia spagnola, soffermandoci quindi prevalentemente sugli affari di carattere economico e finanziario.

 

Il 15 luglio 1610, il Vicario di Provvigione, Giovanni Battista Porro, e i Conservatori del patrimonio della città di Milano, deliberarono l’invio a Madrid di un oratore.

La scelta cadde su Scaramuzza Visconti, già ambasciatore della città in corte cattolica tra il 1603 e il 1607. Più volte incaricato dai governatori dello Stato di « trattar grandi affari co’ Serenissimi di Savoia e di Mantova, co’ Grigioni e Svizzeri, con la repubblica di Lucca et altre occorrenze particolari», Scaramuzza Visconti era stato anche Giudice delle strade nella città e nel Ducato di Milano nel 1593,  Conservatore del patrimonio dal 16 Luglio 1599 e Decururione dal 1603.

 

Il motivo principale della decisione delle autorità cittadine milanesi fu la situazione critica dei conti della Città di Milano, così descritta nelle Istruzioni:

 

Considerando i detti Signori le necessità et miserie di questo stato, et della presente Città di Milano in particolare, cagionate dalla molteplicità de gli alloggiamenti di eserciti di amasso, di mora, di transito e di leva da alcuni anni in qua seguiti, et dalle molte et insopportabili gravezze introdotte, non meno contra ogni antica consuetudine et ragione che contra gli ordini precisi di Sua Maestà Cattolica. Et vedendo che però molte et gagliarde istanze, che si siano continuamente fatte, così presso l’Eccellentissimo Governatore et questi Regii Ministri come in Corte Cattolica anco per via de Corrieri espressi, colà più d’una volta ispediti, non si è potuto giamai ottenere rimedio o provisione alcuna, a tante calamità et afflittioni; al colmo delle quali hora s’agiunge l’amasso della soldatesca alloggiata e pasciuta a spese dello Stato, con total et evidente sua rovina, si che altro rifugio over speranza non resta più, che’l ricorso a Sua Maestà col mezo di preciso Oratore.

 

Il compito principale dell’oratore designato consisteva nel

 

vivamente rappresentar alla Maestà Sua le miserie e calamità communi, procedute dall’esser stati questi Vassalli astretti a dare i soccorsi a tanti Esserciti ammassati da dodeci anni in qua, a somministrar di più le paghe intere alla gente di guerra rollata et a sostener finalmente la Cavallerizza et Infanteria straordinaria che si tiene tuttavia in piede. Al che s’agiungono le contributioni et egualanze di molti milioni d’oro et i continui et inestimabili danni dell’attual alloggiamento, accompagnato dalla libertà e licenza militare che di gran longa rilevano più che li stipendij istessi. In maniera che havendo le Città e Terre vendute e consumate tutte le entrate e sostanze pubbliche et impegnato non sol il patrimonio de particolari ma anco le persone proprie, son state sforzate caricarsi da se stesse di taglie e gravezze insopportabili e non più sentite negli andati tempi per infelici e calamitosi che stati siano.

 

Il bilancio della metropoli nel 1600 presentava un deficit di 278.243 lire che nel mese di agosto del 1610 raggiunse lire 475.584. La città si trovava

 

da tanti eccessivi debiti aggravata per non puoter annualmente bilanciarsi con pagare li debiti dell’anno corrente, come sogliono fare l’altre Città, anzi qualsivoglia minima Communità et Villa.

 

Ad aggravare la situazione, contribuì l’aumento delle spese militari. Nel primo decennio del XVII secolo da 598.900 scudi nel 1600 – compresi i presidi di Nizza, Villafranca e Monaco e le truppe di stanza nel Ducato di Savoia, salirono a 701.071 nel 1605, escluse le guarnigioni in territorio sabaudo.

 

Le entrate della Camera regia per il mantenimento degli eserciti erano costituite dal mensuale, cui si aggiungevano ingenti somme provenienti dal resto dell’Impero. Dopo la bancarotta del 1596 gli aiuti esterni non ebbero più la regolarità necessaria, costringendo il Governatore a richiede alle città e contadi contribuzioni ulteriori sempre più gravose per far fronte al mantenimento delle truppe.

 

Il conte di Fuentes richiese infatti, sempre più frequentemente, il versamento anticipato del mensuale, prassi che si consolidò durante gli anni ’90 del Cinquecento.

 

Alla partenza di Scaramuzza Visconti il mensuale era impegnato fino all’anno 1620. Non stupisce che tra le incombenze dell’oratore vi fosse l’ottenere da Sua Maestà il divieto di tale pratica:

 

sia servita Sua Maestà di ordinare e provedere che nell’avvenire resti esso Mensuale libero et intero all’effettivo e puntual pagamento della militia ordinaria, si come fin da principio fu destinato et ultimamente commandato dalla stessa Maestà Sua l’anno 1605, prohibendo espressamente che per qualsiasi occorrenza benchè forzosa, non si metta mano in convertirlo in altro bisogno ne consumarlo innanzi tempo per non ricadere in quegli inconvenienti e disordini ne quali altre volte così la Camera come lo Stato per si fatta cagione son caduti.

 

Inoltre il bilancio era ulteriormente gravato dai «soccorsi», cioè dalle paghe anticipate dalla città alle genti d’armi «straordinarie» in sostituzione dalla regia Camera regia.

 

Incaricato dell’inviato era ottenere il risarcimento dei «soccorsi et paghe a’ soldati pagate a conto di Sua Maestà» per «ristorare» lo Stato

 

dei gravi et indicibili danni sodetti, et quando ha impossibile la sodisfazione in contanti si proponerano alcuni partiti per haver sodisfazione, che di comune concordia doverano esser stabiliti.

 

Infine, per evitare «che nell’avvenire non s’habbia per alcun modo d’aggravar lo Stato a dare i soccorsi o le paghe alla gente di guerra né meno a spesarla», l’oratore doveva operare affinché Filippo III ordinasse la riduzione «al solito numero [del]la gente di guerra che di presente dimora in questo Stato mantenuta a spese de Vassalli», o almeno, quando ciò non fosse possibile mantenerla «a spese et con danari di Sua Maestà».

 

Nello specifico Scaramuzza Visconti doveva ottenere la cassazione della gente «straordinaria».

 

Inoltre doveva operare perchè venissero abolite le nuove «gravezze» imposte dal conte di Fuentes, come far ridurre al livello del 1560 le compagnie di archibugieri e cavalleggeri della sua «cavallerizza» e far abolire i 14 reali di paga concessi

 

che [già] si pagano all’altra Cavalleria per ingrassar il Capitano d’esse. Cosa che mai s’è servata in tutti gli altri governi, anzi affatto proibita, poiché le dette due Guardie [Cavalleggeri e Archibugieri]  hanno il vantaggio di duoi scudi al mese.

 

Altro incarico affidato al Visconti era quello di perorare per la riduzione dei privilegi del Governatore: in particolare il rifornimento alimentare della sua casa della sua casa senza ricompensa alcuna per i contadini e rurali chiamati a contribuirvi, e l’acquisto del fieno per la sua cavalleria «a vilissimo prezzo, cioè a soldi 33 il fasso, se bene il prezzo commune e corrente è per ordinario di lire 3 et 4 tal’hora».

 

Altro tema affrontato dalle Istruzioni dell’oratore milanese erano i magazzini militari. Misura d’emergenza, già applicata in passato dal duca di Terranova e dal connestabile di Castiglia, garantivano ai soldati l’acquisto di razioni giornaliere a un prezzo calmierato.

 

Reintrodotti dal conte di Fuentes, i magazzini si collocarono in una strategia di più ampio respiro, di perequazione e maggior giustizia distributiva tra città e distretti rurali. La spesa infatti, originariamente ripartita unicamente tra le comunità che alloggiavano i soldati di guarnigione, era messa a carico anche delle città, contro questo attacco ai suoi privilegi Milano capeggiò la protesta, e rifiutò di consegnare i libri del perticato, che denotavano l’estimo su cui riscuotere la somma richiesta. Il risultato fu uno scontro diretto con il Governatore. Ormai appartenente alla leyenda negra sulla figura del conte di Fuentes, la vicenda è descritta anche nelle Istruzioni di Scaramuzza Visconti, redatte sette anni dopo:

 

fece [il governatore] carcerare ancora nel Castello di Milano il Vicario et Dodici di provvisione, mentre nel suo Tribunale di giustitia si trovavano congregati perché non consignavano i libri del perticato, per riscuotere sopra d’esso il restante di essa contributione. Cosa senza essempio in un Tribunale, et che haverrebbe per certo commossa tutta questa Metropoli, se non fosse stata trattenuta dalla sua devotione verso la Corona di Spagna. Et se bene ravedutosi il Signor Governatore, muto proprio, senza alcuna istanza della Città li fece rilasciare indi a tre giorni, tuttavia non restò ne resta per questo provisto a si grave ingiuria et offesa fatta a simile Tribunale, il quale fu sempre et dalli grandi Duchi, et da tutti gli Governanti, anzi dalle Maestà di Carlo Quinto et dal  Re Filippo di gloriosa memoria molto stimato et honorato, per rappresentare la città tutta

 

L’episodio, che a prima vista potrebbe sembrare una semplice questione interna alla società milanese, in realtà si collocava nei contrasti di natura fiscale tra Milano e le altre Comunità. I magazzini erano considerati dalla città dominante dello Stato l’ennesimo tentativo di lesione dei suoi legittimi privilegi.  L’oratore doveva ottenere la cessazione immediata di tale prassi

 

contrarissima a tutte le leggi divine et umane, all’antica osservanza et alle precise decisioni della gloriosa memoria del Re suo padre, massime a quella dell’anno 1573  et a tutti gl’ordini delli Governatori d’esso stato, cominciando dal Duca di Sessa sin’all’Eccellentissimo Signor Contestabile

 

Strettamente collegata ai magazzini e agli alloggiamenti era la capitolazione del 1605 con la quale

 

stabilendo et segnalando gl’allogiamenti de soldati a piedi si ordinarj, come straordinarj […] al numero di cinque mila effettivi, si sarebbe provisto a tante miserie, et danni dello Stato, levati gli soccorsi et magazenj.

 

Sottoscritto tra l’impresario Carlo Perone e lo Stato di Milano, il contratto(detto capitolazione) mirava a razionalizzare il sistema degli alloggiamenti, impedendo la conversione del mensuale ad altri usi.

 

L’impresario doveva sostituirsi allo Stato nell’assicurare alloggiamento delle truppe. Era di sua competenza assicurare tutte le forniture necessarie ai soldati alloggiati, «compresa qualsivoglia pretensione di altre rationi per Ufficiali, donne e ragazzi». L’impresario riceveva dallo Stato una quota fissa per 3200 razioni sicure all’anno. Se il numero effettivo dei soldati «fin’al compimento delle Rationi 5000» non era presente sul territorio dello Stato nulla era dovuto all’impresario, eccetto una somma convenuta «per gli utensilij otiosi, e per alcune spese straordinarie». Invece, se venivano raggiunti i 5000 soldati, lo Stato avrebbe pagato 6 denari e 8 soldi per ciascun soldato sopra la quota base di 3200.

 

L’interpretazione della capitolazione portò a una disputa tra le parti, che ebbe esito sfavorevole per lo stato. Visconti fu incaricato di sottoporre la questione al sovrano e ottenere che fosse rimessa al Senato.

 

I compiti di Scaramuzza non finivano qui. Tra le sue altre incombenze vi era l’opposizione ad una recente «Giunta dei cinque delegati»: eretta nell’ambito della Congregazione dello stato per dirimere le controversie tra città e contadi, era ritenuta

 

 tanto dannosa allo Stato, et massima a quella di Milano, che nulla più, poiché dipendendo questo Tribunale da Sindaci, come a loro istanza eretto, non lasciano d’introdurre nanti essi qualsivoglia loro pretentione, ottenendo quanto vogliono, et alle volte ancora più di quello domandato.

 

La Giunta aveva emesso sentenze, che benchè contestate dalle città, erano state comunicate direttamente al Governatore ed eseguite. L’oratore doveva ottenere che le sentenze venissero sospese e rimesse ad altro tribunale. In particolare, nelle Istruzioni si menzionava l’estensione alle obbligazioni civili dell’obbligo ad alloggiare le truppe:

 

vedendo, che le case da nobile in villa, per anticha consuetudine erano presentate essenti dall’attuale alloggiamento, sostendendo la Città altri carichi, tanto ha fatto [il governatore] che dalli Cinque Delegati è stato dichiarato che siano tenute all’affettuale alloggiamento.

 

Si contestava anche una sentenza sulla riparazione (acconciatura) delle strade:

 

con la quale hanno alterato una consuetudine d’anni quattrocento, indistintamente servata senza alcuna interruzione d’acconciarsi le strade delle Communità conforme alli suoi termini, che si chiamano fatte con poca o niuna spesa delle Communità, mandando esse huomini, carri et bovi ad acconciarle, qual’consuetudine è stata ancora dalli Sindaci abbraciata et dal Senato più d’una volta confermata. Et essi Cinque Giudici hanno dichiarato che le spese della detta acconciatura si facci dalli possessori di beni civili et rurali. Sentenza altrettanto ingiusta quanto impratticabile.

 

Ancora, si faceva opposizione alla sentenza che imponeva alle città di contribuire al «terzo del tasso», che fino a quel momento gravava unicamente sui contadi «per ordine del Senato».

 

Infine, l’oratore doveva ottenere lettere reali per sancire la precedenza del Vicario di provvigione sui Fiscali:

 

Procurerà ancora che atteso l’affronto fatto al Vicario, et Tribunale di Provisione per esser senza causa posti prigioni, non debba esser lecito al Governatore inconsulto Rege farlo; Anzi stando che di già li fiscali sedono et in Senato et in Consiglio, et coprono acciò egli non sia di peggior conditione di loro; che parimente egli habbi a sedere, et coprir all’istesso modo he fanno i Fiscali di veste longa.

 

Scaramuzza Visconti giunse a Madrid il 2 Settembre 1610. La mattina seguente incontrò Gerolamo Caimi, reggente «naturale» di Milano in Consiglio d’Italia, suo referente principale in corte cattolica.

 

Ottenuta una nuova licenza il 4 settembre dal connestabile di Castiglia, presidente del Consiglio d’Italia, essendo la precedente revocata «dal già Signor Conte di Fontes [sic] con sue lettere», iniziò ad operare a pieno titolo quale oratore della città di Milano.

 

Il primo compito dell’inviato milanese fu di ottenere il licenziamento delle truppe  straordinarie presenti nello Stato, per poi avviare il «negozio» più importante: il rimborso dei «soccorsi». Parallelamente a questa, che può considerarsi la parte fondamentale dell’ambasceria, l’oratore procedette al disbrigo degli affari secondari.

 

In questa decisione operativa fu rilevante il ruolo giocato da Gerolamo Caimi, reggente della città di Milano, come lo stesso Scaramuzza Visconti scrive nella sua prima missiva:

 

Il memoriale fu da me fatto alla presenza et approvato dal Signor Regente Caimo [sic] il quale stimò, com’anche parve a me, che non si dovesse ristringere ad altro, per addesso, se non al rimedio di questa soldatesca, esponendo il ma termine al quale ha condotto il Stato di Milano.

 

Lo studio del disbrigo di questa incombenza può essere esemplificativo del modello del «ben negotiare» adottato dall’oratore in corte cattolica.

 

Il primo passo fu farsi ammettere alla presenza del duca di Lerma. Traguardo difficoltoso, da coltivarsi con pazienza. Partito al quale erano costretti tutti gli «Ambasciatori dei Principi d’Italia et anco quello dell’Arciduca Leopoldo».

 

Per riuscirci l’oratore milanese chiese una serie d’udienze ai personaggi più in vista della corte. Il 10 settembre consegnò la lettera di credenziali a don Rodrigo Calderon. Seguirono il 16 dello stesso mese il duca di Uceda, il marchese di Velada, don Juan Idiaquez e il confessore di Filippo III.

 

Il 28 settembre si tenne una seduta del Consiglio di stato «sopra le cose d’italia particolarmente». Grazie all’intercessione del connestabile di Castiglia, Visconti Scaramuzza riuscì finalmente a farsi ammettere alla presenza del duca di Lerma. Il quale lo ascoltò «con molta cortesia» e fece rimettere in Consiglio di stato il memoriale.

Seguirono le udienze dell’arcivescovo di Toledo, dal duca dell’Infantado e dal duca di Albuquerque.

 

Il memoriale fu trattato il 9 Ottobre. La consulta fu positiva, proponendo che «Sua Maestà facesse ogni sforzo perché, con effetti, quanto prima si provedesse a sì gravi bisogni, tenendo seco quel conto che ricerca la divotione e meriti di quei vassalli».

 

L’ordine reale di «cassare» tutte le genti straordinarie presenti nello Stato di Milano, complici le trattative diplomatiche con Savoia, fu spedito solo il 20 novembre al governatore:

 

Doppo di haver hieri sera mandato le lettere alla posta, quasta mattina l’Ambasciatore dell’Imperatore ha mandato a farmi sapere come Sua Maestà ha dato ordine che si licentii la soldatesca del Stato di Milano; et a rallegrarsene meco.

 

Scaramuzza Visconti ricevette la conferma da Milano dell’effettiva cassazione delle truppe, dal vicario di provisione, il 28 gennaio 1611.

 

Il successo dell’oratore è da ricondurre a diversi fattori. Fondamentale fu l’appoggio del Presidente del Consiglio d’Italia, Juan-Fernandez de Velasco. Il connestabile di Castiglia, già governatore dello stato di Milano dal 1583 al 1592 e dal 1695 al 1600 fu nominato per la terza volta a tale incarico il 26 Settembre 1610, proprio a seguito della venuta e delle denunce dell’oratore milanese:

 

la venuta di Sua Eccellenza a cotesto governo fu puramente promossa e rissoluta dall’arrivo mio qui: perché arrivand’io trovai ch’era fatto l’dispacchio per il Signor Don Pietro di Leyva, il quale stava aspettandolo in Barcellona per venirsene. Onde subito fu rivocato l’ordine e commandato da Sua Maestà al Signor Contestabile che se ne venisse con ogni celerità, concedendole tutte le gracie ch’egli pretese incontinente: e fu tanta la fretta che le diede che io parlai a Sua Maestà il 16 di Settembre et il Signor Contestabile parti di qui per l’Italia l’11 di Ottobre; cosa che fu molto straordinaria data la qualità di Sua Eccellenza et il Stato suo.

 

Insieme all’affezione per i sudditi lombardi, nell’azione dell’alto dignitario madrileno, un ruolo determinante fu giocato dall’antipatia e rivalità personale nei confronti del Fuentes, dimostrata più volte durante gli scontri tra Milano e il conte sopra ricordati.

 

L’appoggio del Velasco a Scaramuzza Visconti continuò anche dopo la sua partenza per Milano e fu di grande aiuto all’oratore per ottenere consulte favorevoli in Consiglio di stato.

 

Non secondario il ruolo giocato dal confessore di Filippo III, che

 

apprese benissimo la causa nostra [della città di Milano] e ne resto assai minutamente informato con molto suo e mio gusto; e mi disse ch’io fossi da lui in tutte l’occorrenze, ch’havrebbe sempre fatti tutti gli uffici necessari et opportuni con Sua Maestà per aggiustarci in cosa tanto giusta.

 

Anche se l’azione del religioso si riferì per lo più al rimborso dei «soccorsi», nulla toglie al fatto che avere l’appoggio di una persona così vicina al sovrano era fondamentale per il buon esito delle pratiche. Significativo è il rammarico di Scaramuzza Visconti alla notizia di una sua malattia:

 

Habbiam havuto a perder il Reverendissimo Confessore del Re Nostro Signore d’accidente apopletico con travaglio grande di tutta questa Corte; e mio molto particolare.

Hora sta meglio e s’ha già per sicuro Dio lo guardi perchè le buone conditioni sue lo meritano; et io l’ho per l’Angelo mio Custode in molte cose; et ha sempr mostrato protettione molto affettuosa alle cose nostre.

 

Infine essenziale nell’azione dell’oratore milanese fu l’uso sapiente dei «mezzi che possono aggiuttar’et accellerar’i negocii».

 

La corruzione, perché di questo si trattava, interessava il personale di segreteria:

 

Nella Segreteria d’Italia io non posso desiderare piu cortesia […]. Al sostituto del Segretario, che si chiama il Licentiato Mognoz, che fa tutti i dispacchi, ho fatto promettere cortese ricognitione perché m’espedisca presto e serva di buon inchiostro nell’estensione e così pensavo donarli cosa di trecento reali che così fui consigliato da chi molto bene lo può fare.

 

come gli inservienti, paggi e portieri:

 

Arrivato ch’io fui il primo di qua dico quando passai a Lerma senza fermarmi, vennero i Portieri del Consiglio d’Italia e dell’Eccellentissimo Signor Contestabile e le donai cento Reali, che cosi mi fu detto esser il manco che si potesse fare.

 

Tale prassi consentiva di ottenere una serie di infomazioni, altrimenti inaccessibili per regolamento.

 

Per avere un’idea della diffusione di simili regalie e mance, basta osservare le note di spese periodicamente inviate dall’oratore milanese al Vicario. Ad esempio si veda la nota delle spese straordinarie effettuate dal 1 Agosto 1611 al 1 Febbraio 1612. L’ammontare complessivo è pari a 767 reali castigliani e 80 meravedis. Le spese straordinarie quali corrieri, copie di lettere, traduzioni di documenti o spostamenti ammontavano a  257 reali castigliani  e 48 maravedis. La differenza, pari a 510 reali castigliani e 32 meravedis, risulta spesa in mancie e donativi a segretari, portieri, paggi e così via.

 

Il rimborso dei «soccorsi» era strettamente collegato al licenziamento delle truppe «straordinarie» presenti nello Stato. Chiaro a riguardo Scaramuzza Visconti:

 

la mia pretensione è che si levi la causa del danno ch’è la soldatesca et in oltre che Sua Maestà ristori il danno patito, con il rimborso del danaro attuale.

 

Il 18 novembre 1610 fu inviato al Governatore dello Stato l’ordine esecutivo per la rimozione delle truppe.  Il Vicario di Provvigione della Città di Milano il 28 gennaio 1611 scrisse all’oratore milanese che

 

la gente tutta è di già licentiata, et con questo ordinario passato l’ho scritto a Vostra Signoria. Si che signor mio, poichè si risservava di dar il fuoco a questa bombarda [il rimbordo dei «soccorsi»] tan tosto che havesse l’aviso che fosse stato licentiato l’esercito, Vostra Signoria di gratia non lasci di far il possibile perché in questo conseguiamo il nostro intento, poichè questo è il maggior negotio et che più preme a questo Stato, essendo la nostra dimanda fondata in tanta giustitia et equità con la molta inclinatione che ci tiene Sua Maestà et qui Sua Eccellenza, gionta la destrezza et diligenza di Vostra Signoria, non può quasi fare che non sortisca buon esito.

 

Per «soccorsi» si intendevano gli 8 soldi e il ¼ di scudo poi saliti a  15 soldi giornalieri, pagati dalla città di Milano a ogni fante e cavaliere, quale surrogato della paga che la Camera regia non era in grado di sborsare. Questo aveva dato luogo a un debito di centinaia di migliaia di scudi della camera Regia verso la Città.  Inizialmente infatti le paghe erano state versate direttamente dall’ «alloggiante» che le detraeva dal mensuale; il conte di Fuentes invece aveva stabilito che dovessero essere le città sedi di presidio ad accollarsi la spesa.

 

Il credito della  città di Milano nei confronti della Camera regia, al momento dell’ambasceria in corte cattolica, fu valutato dal connestabile di Castiglia intorno ai 653.000 scudi.

 

La pratica relativa al recupero del credito milanese venne perorata da Scaramuzza Visconti principalmente in Consiglio di Stato essendo «di gran longa superiore a questo [Consiglio d’Italia] d’autorità e di stima presso Sua Maestà et a suoi ministri»:

 

Hor fecci le mie diligenze con tutti questi signori di stato, i quali sono il cardinale di Toledo, duchi dell’Infantado e d’Alburcherche [sic], marchese di Velada e don Giovanni Idiarchez [sic], da quali hebbi tanta sodisfattione ch’io stesso non puotrei formarmela maggiore e pensino le Signorie Vostre il resto.

 

Il favore del Re e del duca di Lerma risultò subito evidente, anche grazie al ruolo del governatore di Milano che nella sua corrisponza descriveva «con grande spirito e sommo dolore le miserie, anzi le rovine» dello Stato.

 

La questione sostanziale non era il rimborso, ma la modalità con cui effettuarlo.

 

Fin dal principio Scaramuzza Visconti dichiarò la propria opposizione al risarcimento in denaro, ritenendolo «prattica molto pericolosa» a causa dell’entità considerevole del credito. Era impossibile riscuoterlo in un’unica volta, dato che equivaleva «alla sospensione di due anni del mensuale», e avrebbe impedito al Governatore di «proveder a bisogni dello stato»; ed era troppo lunga la via della rateizzazione, che avrebbe richiesto più di dieci anni e soprattutto era rischiosa in quanto lo Stato potrebbe non venir soddisfatto completamente:

 

il credito si farà rancido e verrenno forsi qualch’accidenti in questo, mentre che ce lo farano restar adietro lasciando che la dilatione si longa stando la natura del debito verrebbe accompagnata da troppo grave danno.

 

Se proprio non era possibile evitare il rimborso in contanti, era quanto meno indispensabile che la somma fosse espressamente vincolata al rimborso del credito, in modo che

 

vada necessariamente nell’uso desiderato; [in caso contrario] non penso che quando bene Sua Maestà mandasse costì tutto l’oro del Perù sia per arrivarne alle mani dello Stato un reale.

 

E tuttavia, da Madrid si scelse dapprima proprio la soluzione del rimborso pecuniario.  Al connestabile di Castiglia furono inviati in tre diversi mandati 950.000 scudi.

 

Da calcoli fatti l’esercito non poteva esser costato in totale più di 900.000 scudi, ovvero, meno i 650.000 già anticipati, 250.000 scudi. Con la somma ricevuta il Governatore avrebbe dovuto licenziare le truppe e rimborsare la città, ma questo non fu possibile essendo stato «il danaro convertito in altro uso», come Visconti aveva giustamente temuto, ovvero nelle paga dei due terzi di spagnoli al suo comando.

 

Alternativa al rimborso in denaro era la compensazione del credito attraverso la concessione di altrettante entrate Reali della Camera regia, largamente caldeggiata sia dall’oratore Visconti che dal Consiglio Generale della città di Milano, e considerata «il meglior partito che per servicio di Sua Maestà e per l’urgente nostro bisogno si puotesse proporre».

 

A tale fine il 13 luglio 1611 Scaramuzza Visconti supplicò Filippo III

 

di ordinare che s’eseguisse la sua già precisa e dichiarata volontà circa il rimborso dei soccorsi, commandando che si dessero in pagamento al Stato tant’entrate Reali in quel dominio quanto importava la somma del danaro soccorso

 

Il negozio si presentò subito «arduo per se stesso ma molto più per la qualità de tempi e d’alchuni spiriti che son traversi». Una consulta del Consiglio d’Italia suggerì di imporre a tale fine una tassa sulla vendita del fieno di tutto lo Stato di una  «parpagliola» per fascio, «gravezza» che inizialmente era previsto ricadesse anche sulle cascine, beni appartenenti ai cittadini. Scaramuzza Visconti vi si oppose calorosamente, adducendo che se la pratica di imporre nuovi carichi allo Stato per risarcirlo dei propri crediti fosse andata in porto, il re avrebbe potuto

 

mettere tutti li eserciti nello Stato di Milano senza pigliarne pensiero e noi far conto   di non havere più niente al mondo.

 

Il 22 ottobre 1611 al connestabile di Castiglia venne inviato l’ordine definitivo del rimborso dei «soccorsi» per via «d’assignationi o dato in pagamento di tante rendite Reali come Sua Eccellenza giudicarà più ispediente».

 

In attesa del licenziamento degli eserciti «straordinari» e del rimborso dei «soccorsi», Scaramuzza Visconti si dedicò ai rimanenti «negocij» a lui affidati dalle Istruzioni: incombenze di carattere prettamente tributario, riconducibili all’energico tentativo del conte di Fuentes di ottenere una maggior contribuzione dalle città, a scapito dei loro privilegi.

 

Il 20 dicembre 1610 l’oratore inoltrò al Consiglio d’Italia un memoriale per la riduzione delle unità delle due guardie di lance e archibugieri, facenti parte della cavalleria d’ordinanza del Governatore, che il Fuentes aveva accresciuto, mentre

 

non devono essere le lance effettive se non cinquanta, dedotte le dieci che servono nella Cappella e gli archibugieri trenta, in modo che vien ad aggravarsi il Stato di sessanta cavalli di più del già antico solito e del dovere.

 

Da Madrid si richiese al connestabile di Castiglia l’invio di una relazione per ottenere ordini reali vincolanti per «i signori governatori futuri».

 

Nonostante le promesse fatte a Visconti, Velasco il 2 luglio 1611 propose di ridurre le lance solo ad ottanta e gli archibugi a sessanta, ovvero «sessanta cavalli nelle guardie più del solito», che equivaleva ad un aggravio per lo Stato, comprendendo gli ufficiali, di 250 scuti al mese; oltre il travaglio maggiore essendo piu numerose le guardie.

 

L’oratore milanese iniziò immediatamente a perorare la causa in Consiglio di Stato per ottenere un ordine che obbligasse il Governatore di Milano a riportare le guardie ai livelli del 1560.

 

Per raggiungere tale scopo fu essenziale, oltre all’operato del Visconti presso i «supremi ministri», l’azione persuasiva del Vicario di Provvigione e dei Conservatori del patrimonio sul connestabile di Castiglia, la cui «buona mente» era stata sicuramente ingannata, al dire del Visconti, in quanto «promise molto rissolutamente di rifformarle al loro solito segno subito doppo l’arrivo suo».

 

Il Vicario doveva premere affinché il Governatore  applicasse l’ordine reale, spedito il 28 agosto 1611, per la riduzione delle due guardie in questione ai livelli del 1560, in quanto «ove si porranno adesso le cose ivi starano, essendo Sua Eccellenza Signore di quel credito che è si ben intentionato verso di noi».

 

Un altro punto contestato erano i 14 reali di paga concessi sempre dal conte di Fuentes alle medesime guardie: una «Gravezza» considerata «nuova, quanto indebita», dato che una simile paga spettava alla cavalleria pesante , e dato che le lance e gli archibugieri avevano già i due scudi al mese imposti dal duca di Sessa.

 

Il connestabile di Castiglia, Governatore di Milano, promulgò un decreto dichiarandone l’abolizione,  che venne inviata dal Vicario di Provvigione a Scaramuzza Visconti il 30 luglio 1611 con l’incarico di ottenere ordini reali per rendere definitiva la concessione, dato che le grida dei governatori non erano vincolanti per i successori.

 

E qui avvertiscano signori che necessario sarà, come con altre mie ho loro scritto, che sì in questo come nelli altri particolari procurino che Sua Eccellenza rescriva dando conto a Sua Maestà, delle cose sì eseguite come da eseguirsi, conform’a quello che nelle lettere le vien ordinato ch’ella faccia: perché sopra quelle relationi verrano poi gli ordini Reali dispositivi dell’osservanza: et in questo siano le Signorie Vostre avvertite e sollecite perché qui sta il ponto del stabilimento, che per il signor Contestabile durante il suo governo puoco importa: ne egli puo imporre lege ai successori se non che avisando Sua Maestà com’ella commandarà vengano poi da quella dati i rimedii per l’avvenire, né per altra via si può havere ne pretendere confirmatione da Sua Maestà in nissun modo.

 

La stessa cosa si verificò riguardo agli abusi lamentati in materia di rifornimento alimentare e di legname alle case del Governatore e del Castellano, aboliti di propria iniziativa dal nuovo governatore.

 

L’oratore non riuscì a condurre in porto tale pratiche poiché  la grida da sole non bastavano: erano necessarie lettere di certificazione del Governatore che nonostante le continue richieste dell’oratore non vennero mai inviate.

 

Ancora Scaramuzza Visconti era incaricato di ottenere l’abrogazione o la revisione delle tre sentenze promulgate dalla “Giunta dei cinque giudici delegati”, riguardanti controversie fiscali tra la Città e il Ducato: la  contribuzione dei beni civili all’imposta del «terzo del tasso», l’estensione alle abitazioni civili dell’obbligo di alloggiare i soldati, e infine la partecipazione dei civili ai costi per la riparazione delle strade.

 

Tale questione fu rigettata dal Consiglio d’Italia che le rimise al Governatore con l’ordine di eleggerne i giudici d’appello, con grande soddisfazione del Vicario e dei Dodici di Provvigione.

 

Temi di primaria importanza affidati all’opera di Scaramuzza Visconti erano l’alloggiamento delle truppe e i magazzini militari.

 

Si calcola che l’alloggiamento delle truppe, fosse costato alla sola città di Milano, 12 milioni dal 1590 al 1604 e 20 milioni dal 1604 al 1615, ai quali andavano aggiunte nuove spese come il soldo della guardia e degli archibugieri del Governatore (L. 10.000 all’anno); degli artiglieri (L. 30.000 all’anno); quelle per le fortificazioni (L. 100.000 all’anno); e quelle per i carri e per gli animali da traino del corpo dei guastatori (L. 240.000 all’anno).

 

I memoriali riguardanti i magazzini e alloggiamenti straordinari e magazzini ordinari vennero inoltrati il 3 Novembre 1610 al Consiglio d’Italia.

 

Di questi furono fatte dal Consiglio consulte con molto studio a Sua Maestà, delle quali sin qui non n’è venuta rissoluta se non una. Per l’altra parlai l’altr’hieri al signor don Rodrigo Caldarono [sic] supplicandolo per l’ispeditione, il quale molto cortesemente me ne promise la diligenza, dicendomi che le mandassi un puoco di memoria che n’havrebbe parlato al signor duca di Lerma per il dispacchio. Holle inviata la memoria e l’ho fatto dare al suo segretario il quale mi s’è sempre mostrato cortesissimo; e m’ha promesso di consignarla allo stesso signor don Rodrigo [Calderon] nel ponto ch’andarà dal signor duca sodetto per il dispacchio solito de negocii.

 

I dispacci con gli ordini reali furono inviati ex offitio, ovvero direttamente e segretamente, al connestabile di Castiglia il 18 Gennaio 1611. A riguardo dei magazzini straordinari fu deciso che in caso di transito di gente «straordinaria» il Governatore dovesse avvisare Madrid, che avrebbe provveduto a inviare il denaro necessario per pagarla, «non essendo giusto che i popoli sentano danno dai magazeni: onde con la paga habbi a viver il soldato senza travaglio del suddito: e questo è santissimo». 

In caso che la Corona fosse nell’impossibilità di coprire le spese, dovevano essere i paesi di residenza dei militari a soccorrere « il soldato con un reale al giorno, overo quel di più ch’importarà la paga alla rata » per poi scontarlo dai tributi di cui era debitore alla camera Regia; e poiché «il mensuale verrebbe poi a sminuirsi, Sua Maestà subito provvegga del denaro che si levarà da quello».

 

 L’ordine relativo i magazzini ordinari, ne prevedeva invece l’abolizione.

 

Strettamente collegato ai magazzini e agli alloggiamenti era il contratto (detto capitolazione) stipulato tra lo Stato e l’impresario Carlo Perone, che Scaramuzza Visconti aveva il compito di far rescindere.

 

L’oratore milanese inoltrò il memoriale al Consiglio d’Italia in data 25 novembre 1610; in base alla consulta del consiglio il re ordinò al Governatore di Milano di sottoporre il contratto al Senato, che «con brevità» era incaricato di valutarlo e se lo riconosceva lesivo degli interessi dello Stato di rescinderlo.

 

In effetti, alla sua scadenza nel 1611 il contratto con il Perone non fu più rinnovato:

 

essendosi dichiarato lo Stato di non voler prolungare la detta conventione, massime perché con tal occasione haveva detto Signor Conte di Fuentes ordinato al Proveditore, che alloggiasse la militia residente nel forte di Fuentes, ed in altri Presidij fuori dello Stato, e comandato, che queste rationi s’includessero nel numero convenuto col sudetto Perone e che successivamente lo Stato gli pagasse per esse le due e tre parpagliole.

 

Il 29 Febbraio 1611 l’oratore milanese fu incaricato dal Vicario di Provvisione di occuparsi di un nuovo affare: un ordine reale per scaricare la precedenza del Vicario di Provvisione sui Fiscali,  mettendo in risalto

 

l’honorevolezza del grado, la persona, che rappresenta, la giurisdittione che tiene et la nobiltà de titoli con che Sua Maestà honora la persona sua e del Tribunale.

 

Ma il 7 Maggio 1611 fu spedito a Milano un dispaccio che stabiliva che nulla si dovessere innovare. I Fiscali non potevano costituirsi in corpo separato ma dovevano procedere insieme agli altri tribunali. Si incaricava poi il Governatore di decidere se far sfilare i togati insieme al Magistrato ordinario o al Senato e i non togati con il Magistrato straordinario.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

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