[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

164 / AGOSTO 2021 (CXCV)


contemporanea

TRA COSMISMO E TRADIZIONE NEL CINEMA DI TARKOVSKIJ

SOLARIS E NOSTALGHIA / PARTE I

di Gianfranco Massetti

 

Andrej Tarkovskij ha mostrato, nella sua autobiografia artistica, Scolpire il tempo, come lo strumento cinematografico, che nella nostra epoca tecnologica si presta a comprendere meglio la realtà, possa assumere un carattere conoscitivo. Per mezzo del cinema, scriveva il regista sovietico, «bisogna porre i problemi più complessi del mondo moderno, al livello di quei grandi problemi che nel corso dei secoli sono stati l’oggetto della letteratura, della musica, della pittura».

 

Tarkovskij ha dichiarato a proposito di Solaris che l’argomento fantascientifico era stato ciò che lo aveva interessato di meno, poiché finiva per costituire una distrazione rispetto al tema principale. Ma se la fantascienza è solo un pretesto, quale è l’argomento preponderante del film?

 

Lo apprendiamo dal dialogo tra il protagonista, Kris Kelvin, e suo padre. Preoccupato per la sorte di Kris a bordo della stazione spaziale di Solaris, non riesce a capire le ragioni di una missione disperata, in cui non ci saranno possibilità di successo. Ma Kris risponde che non si tratta del solo problema di Solaris, lo scopo della missione è invece quello dei «limiti da dare alla conoscenza umana». Commenta l’anziano genitore: «la conoscenza è morale, ci riteniamo onnipotenti, ma a volte siamo incapaci di distinguere ciò che è morale da ciò che non lo è». Kris sostiene però che è l’uomo a rendere la conoscenza morale o meno.

 

Antico quanto l’uomo stesso, quello della conoscenza è il problema del peccato originale, che è anche, da una prospettiva diversa, ma tutto sommato analoga, quello dell’immortalità di Faust, e cioè, in entrambe i casi, il problema dell’orgoglio umano di volersi rendere simili a Dio, attingendo ai frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male. «Dal momento stesso in cui Eva mangiò il pomo dell’albero della conoscenza» – scrive Tarkovskij –, «l’umanità fu condannata a una ricerca senza fine della verità. Prima di tutto, come è noto, Adamo ed Eva si accorsero che erano nudi e ne provarono vergogna. Ne provarono vergogna perché compresero e cominciarono il proprio cammino dalla gioia di conoscersi l’un l’altro. Ciò fu l’inizio di ciò che non ha fine […]. Accadde così che l’uomo, questo “coronamento della natura” comparve sulla terra allo scopo di conoscere perché propriamente egli vi comparisse o vi fosse inviato. E per mezzo dell’uomo il Creatore conosce se stesso. Questo cammino viene chiamato usualmente evoluzione; un cammino che viene accompagnato dal tormentoso processo di autoconoscenza».

 

Non è difficile scorgere in questa concezione una teoria della conoscenza che riecheggia il motivo gnostico di un percorso verso l’illuminazione e la reintegrazione della divinità, che in questo caso coinvolge non la singola personalità individuale, ma l’umanità intera. Si tratta di un programma che assume come modello, invece del materialismo storico, la cultura magico-alchemica, di cui troviamo traccia, nella Russia comunista, addirittura in un campo strategico come quello della cinematografia, attraverso il cenacolo rosacrociano messo in piedi niente meno che da Sergej Eizenstejn.

 

Nel caso di Tarkovskij, il filo rosso che va da questa cultura agli esiti del pensiero cosmista che ne discende, con diverse implicazioni nel caso di Solaris e di altre opere del regista, passa attraverso il tradizionalismo religioso di Pavel Florenskij, che emerge negli scritti cinematografici di Tarkovskij come figura carismatica. Nonostante il rifiuto della teurgia prometeica del cosmismo, il regista sovietico stabilisce con esso un confronto a partire dalle comuni affinità culturali, come si può vedere nelle ultime due opere cinematografiche, ma in modo particolare in Nostalghia.

 

In Tarkovskij, i temi della conoscenza come ricerca senza fine della verità e come peccato originale sono già presenti, accanto agli indispensabili tributi verso l’ideologia sovietica, nel suo primo lungometraggio per il conseguimento del diploma di regista. Si tratta de Il violino e il rullo compressore. All’operaio che chiede al piccolo protagonista quanti anni deve dedicare allo studio del suo strumento, questi risponde che dovrà studiare tutta la vita. Al tema del peccato originale, invece, si allude nella scena dove l’aspirante musicista fa dono della sua mela alla compagna di studi che attende con lui a lezione.

 

Secondo Tarkovskij esiste un’epoca dell’umanità in cui lo smisurato orgoglio dell’uomo e la sua sete di conoscenza lo hanno allontanato da Dio, dalla Natura e dalla sua stessa vita. Quand’è che l’uomo si è perduto, ha smarrito il significato della propria esistenza e insieme ad esso il vero lume della ragione? In quale epoca è potuto accadere ciò?

 

Quest’epoca è, secondo il regista, il Rinascimento, quando i saperi hanno cominciato ad andare ciascuno per conto proprio, svincolandosi dalla tradizione umanistica. Si tratta di un ragionamento che Tarkovskij riceve, più o meno consapevolmente, dall’influenza esercitata dal pensiero di Nicolaj Fëdorof e che giunge come un fiume carsico ai cosmisti del secolo successivo.

 

A partire dalla critica di questi ultimi nei confronti della scienza moderna, Tarkovskij condivide con il cosmismo l’idea che un progresso tecnologico fine a se stesso, non accompagnato da un conseguente progresso morale nel campo delle arti e del governo, può soltanto condurre verso l’apocalisse. L’argomento sarà però sviluppato ampiamente nelle opere che concludono la sua carriera: Nostalghia e Sacrficio.

 

La sceneggiatura di Solaris costituisce un riadattamento del romanzo dello scrittore polacco Stanislaw Lem, autore verso la fine degli anni Sessanta del Novecento di un racconto che poneva dei grossi interrogativi nel campo della gnoseologia. Nel tema dominante del film, sembra però plausibile anche una dialettica nei confronti dell’immortalismo cosmista. L’obiezione di Tarkovskij a questa idea è che un’indagine scientifica svincolata dalla conoscenza dell’uomo e dai legami con la natura e il divino non può che scivolare in una sorta di psicologismo che trascina uomo e natura negli abissi della dissoluzione psichica. Maggiormente presente in Nostalghia, questo tema fa la sua comparsa in Solaris.

 

Lo psicologo Kris Kelvin viene incaricato di indagare sugli strani fenomeni che si verificano a bordo della stazione orbitale intorno a Solaris. Egli trascorre la sua ultima giornata terrestre nella casa di campagna del padre e, prima della partenza, improvvisa davanti ad essa un piccolo falò di vecchi ricordi: appunti, riviste e carte che risalgono al periodo dei suoi studi universitari. Tra questi c’è anche la fotografia della moglie morta, che Kelvin porterà invece con sé nel suo viaggio.

 

Giunto nell’orbita di Solaris, Kris raggiunge la stazione spaziale, che sembra deserta. Una palla da gioco, che rotola ai suoi piedi, rivela tuttavia la presenza del dottor Snaut. Questi informa Kelvin del fatto che dei tre abitanti della stazione orbitante, Gibarjan, Sartorius e lui, il primo, che era anche il capo della missione, si è tolto la vita dopo che strani fenomeni hanno cominciato a manifestarsi. Una volta sistemato il bagaglio, Kelvin raggiunge l’alloggio di Gibarjan. Qui rintraccia una videoregistrazione che quest’ultimo aveva realizzato per lui, poco prima di uccidersi.

 

Gibarjan avverte in questo modo l’amico psicologo che se anch’egli sperimenterà gli strani fenomeni che si sono manifestati all’equipaggio della base spaziale, non deve assolutamente pensare di essere pazzo. La causa di quei fenomeni è da rintracciare nel magma di Solaris, una sorta di materializzazione dell’inconscio freudiano, che lui era perfettamente d’accordo nel sottoporre a bombardamento radioattivo.

 

Nel successivo incontro con Sartorius, Kelvin capisce che, oltre a loro tre, qualcun altro è presente sulla stazione orbitale. Ritornato alla videoregistrazione di Gibarjan, apprende che le misteriose presenze che si aggirano attorno sono la materializzazione dei fantasmi che abitano nella coscienza dei ricercatori di Solaris. Così, subito dopo, appare davanti a Kelvin una giovane donna, che è la sosia di sua moglie Chari, morta suicida dieci anni prima. Kelvin cerca di sbarazzarsi di quel fantasma e invita la donna a salire su una navicella spaziale che manderà in orbita.

 

Incoraggiato dal comportamento di Kelvin, finalmente Snaut potrà spiegargli la natura degli strani fenomeni che si presentano a bordo della stazione spaziale. I “replicanti” sono comparsi come ospiti un mese prima del suo arrivo, quando i tre scienziati hanno cominciato a bombardare la superficie dell’oceano pensante di Solaris. Più tardi, Kelvin vedrà ricomparire nella sua stanza il fantasma di Chari, e un po’ alla volta se ne innamora. Sartorius lo avverte che quella non è Chari, è soltanto una “replica”, un corpo che, anziché essere composto di atomi, è costituito da neutrini, cioè di antimateria stabilizzata dal campo magnetico di Solaris. Feritasi gravemente contro una porta metallica, Chari vede le sue ferite rimarginarsi all’istante. L’acido con cui Kelvin brucia un campione del suo sangue non produce effetti duraturi, perché il sangue della replicante si rigenera.

 

Ecco perciò i tre scienziati a confronto col problema dell’immortalità di Faust. Per far cessare le apparizioni, Snaut e Sartorius hanno avuto un’idea. Queste apparizioni vengono estratte dall’oceano di Solaris quando i tre scienziati si addormentano. La soluzione sarebbe quella di trasmettere all’oceano delle radiazioni con l’encefalogramma di Kelvin, durante il suo stato di veglia. È l’ultimo tentativo che possono fare, prima di ricorrere al bombardamento di Solaris con le radiazioni dell’“annichilatore” messo a punto da Sartorius, una macchina che sarebbe in grado di distruggere i neutrini dell’ oceano magmatico.

 

Sartorius, Snaut e Kelvin rappresentano tre diversi atteggiamenti scientifici. Per Sartorius la verità scientifica costituisce un valore assoluto, un “imperativo categorico” indipendente dall’uomo stesso. Diversa è invece la posizione di Snaut che riconosce la necessità dell’indagine scientifica soltanto in relazione ai doveri che la scienza ha verso l’uomo. Distante da entrambi, Kelvin si chiede: «Ma perché andiamo a frugare nell’universo quando non sappiamo niente di noi stessi?» Il suo atteggiamento nei confronti della scienza è critico e anticipa, con la profonda sfiducia nei confronti dell’uomo e della sua capacità di migliorarsi, il pessimismo dello scienziato e dello scrittore protagonisti di Stalker.

 

Di fronte all’assurdo suicidio di Gibarjan, la spiegazione di Sartorius è quella del timore di aprirsi alla conoscenza. Invece, Kelvin sostiene che Gibarjan si è soltanto ucciso per la vergogna. Il sentimento che salverà la specie umana dalla propria autodistruzione. Una sostanziale parafrasi della nota espressione dell’Idiota di Dostoevskij, secondo il quale a salvare il mondo sarà la bellezza. Per amore di Kelvin, anche la replicante tenterà il suicidio, ingerendo dell’ossigeno liquido. Ma poco dopo riprende conoscenza. Quando l’encefalogramma di Kelvin viene inviato all’oceano di Solaris, questi cade in uno stato di deliquio e sogna di incontrare sua madre.

 

Risvegliatosi, apprende infine che Chari ha deciso di sottoporsi all’annichilatore di Sartorius e che tutti i replicanti sono spariti. Intanto, nell’oceano di Solaris hanno fatto la propria comparsa alcune isole. Kelvin è di nuovo sulla terra, vede la casa di suo padre e vi si avvicina. Dalla finestra, scorge la figura dell’anziano genitore e sulla soglia di casa si inginocchia davanti a lui. Dal lungo campo della cinepresa che si allontana man mano, ci accorgiamo che questa scena avviene all’interno di un’isola dell’oceano di Solaris.

 

Il sangue della replicante che si rigenera non può che ricordarci gli esperimenti scientifici di Alexander Bogdanov, brillante medico, tra i fondatori del partito bolscevico e scrittore di fantascienza, che attraverso la pratica delle trasfusioni ematiche cercava il modo per ringiovanire le cellule, in direzione degli studi biocosmisti del botanico e naturalista Vasilij Kuprevich, che presumeva di giungere alla rigenerazione dell’organismo umano. Osservazione analoga si potrebbe fare anche a proposito della capacità del magma di Solaris di interagire con la mente umana, che ci rammenta la singolare teoria storiometrica di Alexander Chizhevskij sugli influssi delle macchie solari nel corso degli eventi storici dell’ uomo. Questi aspetti possono tuttavia appartenere tanto al film di Tarkovskij quanto al romanzo di Lem, che rispetto alle possibili influenze cosmiste sono comunque difficili da disgiungere.

 

La prima versione italiana del film consisteva di 105 minuti di proiezione, a fronte dei 195 dell’originale e dei 165 minuti autorizzati dalla censura sovietica. In Italia è stata quindi sacrificata circa metà della pellicola, mentre la versione integrale è stata resa disponibile a partire dal 2001.

 

Tema centrale di Solaris è, come abbiamo detto, il problema della conoscenza e dei limiti entro i quali può essere lecita. Dei tre modi di concepire la ricerca scientifica da parte dei protagonisti, Kelvin rappresenta quello che si è smarrito nel momento in cui il pensiero scientifico si è orgogliosamente emancipato dai principi della mimesi artistica. È attraverso questa che gli esseri umani possono cogliere appunto il divino, avviandosi verso il percorso della trascendenza, come accade con la prospettiva rovesciata nel programma figurativo dei pittori di icone.

 

Di fronte a una ricerca scientifica divenuta invece autoreferenziale, in quanto proclama la propria autonomia rispetto alla natura e all’uomo stesso, Tarkovskij rivendica il valore dell’arte non come simbolo, ma come strumento di conoscenza della verità, o addirittura come archetipo stesso di questa. «Per mezzo dell’arte» – scrive Tarkovskij – «’uomo si appropria della realtà attraverso un’esperienza soggettiva. Nella scienza la conoscenza umana del mondo procede lungo i gradini di una scala senza fine, venendo successivamente rimpiazzata da sempre nuove conoscenze su di esso che sovente si confutano a vicenda, in nome di verità oggettive particolari. La scoperta artistica, invece, nasce ogni volta come un’immagine nuova e irripetibile del mondo, come un geroglifico della verità assoluta. Essa si presenta come una rivelazione, come un desiderio appassionato e improvviso di afferrare intuitivamente tutte in una volta le leggi del mondo – la sua bellezza e il suo orrore, la sua umanità e la sua ferocia, la sua infinità e la sua limitatezza. L’artista le esprime creando l’immagine artistica che è uno strumento sui generis per cogliere l’assoluto. Per mezzo dell’immagine si mantiene la percezione dell’infinito dove esso viene espresso attraverso le limitazioni: lo spirituale attraverso il materiale, lo sconfinato grazie ai confini».

 

L’arte e la scienza, dunque, costituiscono «un mezzo per appropriarsi del mondo, uno strumento per conoscerlo, sul cammino del movimento dell’uomo verso la cosiddetta verità assoluta». Ma «la somiglianza tra queste due forme di incarnazione dello spirito creativo dell’uomo» ha termine nel punto in cui «l’arte non è scoperta, ma creazione». Così, la verità nell’«attività positivistica, pragmatica, rimane a noi celata», per rivelarsi invece nell’arte, in quanto «simbolo universale».

 

Anche così le cose non sono, però, del tutto semplici. «È erronea» – dice Tarkovskij – «la via per la quale si è avviata l’arte contemporanea, rinunciando alla ricerca del significato della vita in nome dell’affermazione del valore autonomo della persona. La cosiddetta creazione comincia ad apparire una sorta di eccentrica occupazione a cui attendono personalità sospette che affermano il valore intrinseco di qualsiasi atto personalizzato. Ma nella creazione la personalità non si afferma, bensì è al servizio di un’altra idea generale e di ordine superiore. L’artista è sempre un servitore che si sforza per così dire di sdebitarsi per il dono che gli è stato concesso come una grazia».

 

L’Adorazione dei Magi di Leonardo è un quadro che il portalettere di Sacrificio, l’ultimo film di Tarkovskij, trova «terribilmente sinistro», preferendo peraltro alla pittura di Leonardo quella di Piero della Francesca. La prospettiva geometrica presente nei pittori italiani del Rinascimento è il tragico preludio del razionalismo occidentale, che Leonardo trasferisce nello schizzo delle scale dell’Adorazione dei Magi, fissando una erronea epifania del divino e la “deviazione” della cultura moderna, ovvero della cultura occidentale, all’origine della quale troviamo proprio la vocazione scientifica di Leonardo, che pone la prospettiva come misura puramente umana della natura, svincolata da un superiore principio spirituale.

 

Congeniali alle concezioni artistiche del regista sono invece pittori come Hieronymus Bosch o Bruegel il Vecchio, due pittori che esprimono in modo diverso gli ultimi sospiri del medioevo nordico. È a partire dalla predilezione per Bruegel che si spiegano le citazioni di Solaris, dove sfilano l’uno dopo l’altro La torre di Babele, Il paesaggio con la caduta di Icaro, La mietitura, Il trionfo della morte, Cacciatori nella neve: tutte opere a loro modo significative; soprattutto l’ultima, che trova riscontro nell’analogia con il bambino che accende un fuoco nella neve (come Kelvin davanti alla casa del padre) del filmato mostrato alla replicante.

 

La stessa scena della levitazione di Kelvin e Chari sembra così richiamare, più che Chagall, “il peccato della lussuria” della coppia adamitica presente ne Il giardino delle delizie di Bosch, e potrebbe alludere al carattere autoreferenziale della ricerca scientifica (la scienza per la scienza), in contrapposizione a una conoscenza olistica tesa a restituire la comunicazione tra microcosmo e macrocosmo.

 

Per Tarkovskij, la citazione di Cacciatori nella neve racchiude, in particolare, una pluralità di significati. In un paesaggio completamente avvolto dalla neve, dei cacciatori si aggirano in cerca della preda. Relegata a margine, sulla sinistra del quadro, è una scena di contadini che attizzano il fuoco, all’esterno della locanda con l’insegna di Sant’Eustachio e la scritta “Al cervo”. L’insegna allude alla leggenda della conversione del protomartire, che sarebbe avvenuta in seguito alla visione di una croce fiammeggiante tra le corna di questo animale. Per Tarkovskij, Cacciatori nella neve è anzitutto un simbolo di ricerca spirituale: la caccia e il fuoco dei contadini, rispettivamente. Ma collegato a esso vi è, inoltre, il tema del ritorno alla natura e alla vita, presente nel simbolo di rigenerazione dell’albero della vita: la croce veduta da Sant’Eustacchio e le corna del cervo che alludono, a causa del loro periodico rinnovarsi, al ciclo delle stagioni e al ritorno della vita dopo la desolazione del clima invernale.

 

Quelli di Solaris sono nel mondo occidentale gli anni della crisi del petrolio e dell’austerity con cui matura nello stesso mondo capitalista il pessimismo del Rapporto sui limiti della crescita, consegnato dal Club di Roma nel 1972 a beneficio dei governi di tutti gli Stati del mondo. Quello dell’esaurimento delle risorse della biosfera è però un problema che in Russia era stato preso in considerazione già un secolo prima, quando Fëdorov aveva ritenuto che il destino degli esseri umani, se avessero mantenuto lo stile di vita della modernità, sarebbe stato quello di estinguersi in una biosfera degradata, oppure di passare a uno stadio autotrofo della propria esistenza, attraverso un salto evolutivo che li avrebbe trasformati in esseri spirituali.

 

Si tratta di una concezione con elementi di contiguità rispetto all’evoluzionismo teosofico, pur fortemente contrastato da Fëdorov, che ha finito per ispirare la riflessione scientifica di Vladimir Vernadskij, il quale ipotizza una reale transizione da un’umanità eterotrofa a una autotrofa, nel momento in cui potrà essere scoperta la sintesi diretta del cibo, senza bisogno della sostanza organica.  

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]