[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 154 / OTTOBRE 2020 (CLXXXV)


arte

PER UNA RILETTURA DI SIEGFRIED KRACAUER SUL CINEMA ESPRESSIONISTA

CALIGARI, NOSFERATU, GOLEM, METROPOLIS / Parte II

di Gianfranco Massetti

 

Che sull’argomento Kacauer non fosse uno sprovveduto ce lo rivela il suo giudizio a proposito di Paul Wegener, produttore di Der Golem per la regia di Galeen, lo sceneggiatore di Nosferatu. Nel parlare di Wegener come di “un mago perverso capace di ridestare le forze demoniache della natura umana”, Kracauer si rivela abbastanza esplicito. Questa definizione risulta appunto straordinariamente calzante per chi avesse avuto qualche dimestichezza con gli ambienti crowleyani che praticavano la magia sessuale. Non si tratta, dunque, di un ciarlatano qualsiasi, ma di un “mago perverso”.

 

Curiosamente, a proposito de Lo studente di Praga, girato da Wegener nel 1913, un’opera dove il tema della magia entra prepotentemente in campo, Kracauer torna però a esprimere soltanto un giudizio sulla dimensione psicologia del film che “simboleggia un particolare tipo di sdoppiamento della personalità”.

 

Wegener era nato a Praga una città «dove la realtà – scrive ancora Kracauer – si confonde ai sogni, e i sogni divengono spaventose allucinazioni». Non a caso, Praga è anche la città dove nasce la leggenda del Golem, portato da Wegener sullo schermo cinematografico nel 1915.

 

Dopo la prima guerra mondiale, sia Lo studente di Praga che Il Golem furono proposti in una versione rinnovata. Quest’ultimo fu anche ampliato e trovò la propria ambientazione storica all’epoca di Rodolfo II, il principe Asburgo che aveva riunito a Praga alchimisti e astrologi di mezza Europa. Wegener ripropone questa seconda versione nel 1920, ispirandola direttamente alla leggenda di rabbi Löw.

 

La comunità ebraica di Praga è colpita da un interdetto del principe Rodolfo che ne ha decretato l’espulsione perché gli ebrei sono accusati di praticare le arti magiche e di violare in tal modo la pace dei sudditi cristiani. Scrutando le stelle, rabbi Löw è riuscito a presagire il pericolo che incombe sul suo popolo e decide di invocare Astaroth, un’antica divinità che appartiene alla schiera delle creature demoniache, allo scopo di riportare in vita il Golem, il gigante di argilla che dovrà mettere in salvo la comunità.

 

Il nobile Floriano si reca nel ghetto per comunicare il decreto di espulsione. Ma invaghito della bella Miriam, la figlia di rabbi Löw, si fa portavoce dell’ebreo per la richiesta di udienza presso la corte del principe. Rodolfo accoglierà il rabbi in occasione della “festa delle rose” e dietro richiesta di avere un saggio delle sue arti magiche. Nel frattempo, grazie a una favorevole congiunzione planetaria e a un incantesimo dove entrano in campo libri di magia e pentacoli, il rabbi è in grado di rianimare il Golem, che porterà con sé al ricevimento del principe. Mentre lui si reca al castello, il nobile Floriano riesce intanto a combinare un incontro con Miriam.

 

A corte, rabbi Löw esibisce la sua creatura e attraverso un incantesimo, che allude alla magia del cinema, proietta su una parete del salone di ricevimento la storia delle tribolazioni del suo popolo. Quando però compare la figura di Assuero, l’ebreo errante, una risata squarcia la sala, l’incantesimo si rompe e il soffitto del salone si trasforma in una pressa che minaccia di schiacciare gli astanti. Sarà l’intervento del Golem a scongiurare la tragedia e a ottenere la gratitudine del sovrano che ritira il decreto di espulsione nei confronti degli ebrei. Nel ghetto, un servo di rabbi Löw scopre il nobile Floriano nella camera di Miriam. Pazzo di gelosia, gli sguinzaglia addosso il Golem la cui furia devastatrice si placherà soltanto davanti a un bambino. Questi toglie la stella pentacolare con la scritta Aemet dal corpo del Golem, che crolla quindi inanimato con grande sollievo di tutti gli ebrei.

 

Di origine romantica, la leggenda della statua di argilla assume come protagonista la figura storica di rabbi Löw, influente capo della comunità ebraica di Praga ai tempi di Rodolfo II. Nel 1592, il rabbi viene ricevuto in udienza dal sovrano per discutere dei problemi della comunità. Intorno a questo episodio, alcuni ricameranno tuttavia la storia di un Rodolfo II, protettore di alchimisti e astrologi, che si dimostrerebbe interessato anche ai segreti della cabala. La leggenda trasforma il rabbi in una specie di Faust, versato nelle arti magiche.

 

Si racconta che per salvare il suo popolo dall’interdetto del principe, rabbi Löw ferma con un incantesimo la carrozza di quest’ultimo mentre attraversa ponte Carlo. Le pietre e il fango che la gente scaglia contro il rabbino si trasformano inaspettatamente in fiori e Rodolfo invita l’ebreo alla reggia di Hradčany. Alla presenza dei cortigiani, il rabbino evocherà lo spirito del patriarca Abramo, di Isacco, Giacobbe e dei suoi dodici figli. Ma quando la figura clownesca di uno di questi fa prorompere tutta la sala in una sola risata, l’apparizione svanisce e il soffitto della reggia comincia a precipitare sui presenti. A scongiurare il disastro, saranno in questo caso le formule cabalistiche recitate da rabbi Löw.

 

Più tardi la figura del leggendario rabbino si fonde con quella del Golem, della cui fabbricazione viene accennato in un commento di Eleasar di Worms al Sefer Jezira. Per animare il Golem, questi insegna che bisogna incidergli sulla fronte la parola Emet, Verità. Per distruggerlo, basta cancellare la lettera “E”, ottenendo in questo modo la parola Met, che equivale a Morte.

 

Tra il XVII e il XVIII secolo, la leggenda attecchisce e si sviluppa negli ambienti delle comunità ebraiche polacche, ma è pubblicata per la prima volta intorno alla metà dell’Ottocento. Rievocata da Wegener all’indomani della prima guerra mondiale, la leggenda del Golem perde tuttavia i connotati della novella gotica per conservare soltanto delle cupe ombre che facevano eco alla pubblicazione dei Savi Anziani di Sion di qualche anno prima. Wegener nella versione del Golem uscita all’indomani della prima guerra mondiale descrive appunto gli ebrei come maghi pericolosi che sono all’origine della discordia dei cristiani e intrattengono rapporti con forze oscure e spiriti demoniaci.

 

Da un altro punto di vista, il Golem è anche una prefigurazione del pericolo costituito dalla tecnologia che può sfuggire al controllo dell’uomo, prestandosi a osservazioni sul nesso dialettico tra spirito di magia e scienza moderna, da cui il regime nazista è stato profondamente caratterizzato; un rapporto apparentemente conflittuale e non privo di contraddizioni, che gioverà affrontare più proficuamente prendendo in considerazione Metropolis di Fritz Lang.

 

Racconta Kracauer che il concepimento di questo film sarebbe avvenuto durante un viaggio in America del regista, quando “vide New York per la prima volta, una New York notturna, scintillante di miriadi di luci”. La sua idea era di illustrare con Metropolis il conflitto fra tecnologia moderna e occultismo, ma l’esito sarà contraddittorio e sostanzialmente ambiguo.

 

La storia di Metropolis è ambientata in una megalopoli del futuro, dell’anno 2026. La città si divide in due differenti livelli: una città di enormi raccordi stradali e di grattacieli che s’innalzano verso il cielo, e una città sotterranea, costruita al di sotto della superficie terrestre, dove le macchine producono l’energia sufficiente al funzionamento di Metropolis. Nella prima città vivono gli appartenenti alle classi agiate di manager, industriali e impiegati. Nella seconda, una popolazione di schiavi, gli operai addetti al lavoro manuale.

 

Prima ancora dell’alba, che gli operai non potranno vedere, dopo dieci estenuanti ore di lavoro, si effettua il cambio di turno alle macchine, che svolgono la loro attività a ciclo continuo. Mentre gli operai lavorano per fornire energia alla città, i membri delle classi alte si dedicano alle attività sportive e ai divertimenti, come il giovane Freder, figlio del magnate che governa Metropolis. La sua spensieratezza termina il giorno in cui fa la conoscenza con Maria, una ragazza che si trova a sconfinare nella città superiore e viene cacciata dai guardiani.

 

Freder ignaro dell’esistenza della città sotterranea si precipita all’inseguimento di Maria e scopre le macchine e la sofferenza dei lavoratori del sottosuolo. Le macchine si trasfigurano nella sua immaginazione in una enorme statua del Moloch, verso il cui braciere vengono avviati per il sacrificio gli operai di Metropolis, come gli schiavi dell’antichità. Sconvolto da tutto ciò, Freder corre a incontrare suo padre alla nuova “Torre di Babele”. Ancora stordito, irrompe nell’ufficio di Fredersen e gli descrive tutti gli orrori a cui ha assistito. Freder dice a suo padre che Metropolis è splendida e che lui rappresenta il cervello della città, ma le mani che l’hanno costruita sono quelle del popolo che vive nelle profondità della terra e che un giorno potrebbe ribellarsi alla schiavitù.

 

Arriva intanto la notizia di un’esplosione alla sala macchine, dove sui corpi dei lavoratori coinvolti nell’incidente sono state rinvenute delle mappe con misteriosi geroglifici. Fredersen per capire di cosa si tratta si rivolge a Rotwang, uno strano scienziato occultista. Tra Fredersen e Rotwang esiste un antico rapporto. Hel, la moglie di Rotwang, era stata l’amante di Fredersen ed era morta dando alla luce Freder. Ma Rotwang non si era mai rassegnato alla sua perdita. Viveva ancora nella sua devozione e nel rancore verso Fredersen.

 

I misteriosi geroglifici rinvenuti sui corpi dei lavoratori sono la traccia per raggiungere le antiche catacombe della città sotterranea, dove Maria svolge la funzione di guida spirituale degli operai. Freder è riuscito a raggiungerla e assiste al suo ultimo sermone sulla Torre di Babele: i dominatori di quella città si dimostrarono incuranti dei loro schiavi, esattamente come i dirigenti di Metropolis si dimostrano oggi incuranti nei confronti degli operai, per salvare allora Metropolis è necessario che il cuore possa parlare affinché si trovi un mediatore tra le due città, tra coloro che comandano e coloro che obbediscono.

 

Al sermone hanno assistito anche Rotwang e Fredersen, che sono giunti alle catacombe grazie alle scritture in possesso di quest’ultimo. Lo scienziato riceverà un incarico da Fredersen, quello di creare il clone robotico di Maria, dopo averla sequestrata, diffondendo attraverso di esso la discordia tra gli operai, che in questo modo potranno essere tenuti meglio sotto controllo. È a questo punto che Rotwang decide di prendersi invece la rivincita nei confronti di Fredersen. Egli utilizza il robot per incitare gli operai alla rivolta, provocando in questo modo l’inondazione della città sotterranea.

 

A Metropolis manca la luce e i lavoratori si rendono conto del disastro, catturano la falsa Maria e nel tentativo di bruciarla scoprono che si tratta di un robot. Freder invece ritrova la vera Maria e ingaggia un duello con Rotwang, che finisce per soccombere. Nella scena finale, Fredersen, sollecitato dal figlio, stringe la mano al capo degli operai, consacrando secondo le parole di Kracauer un’"alleanza simbolica tra capitale e lavoro»:

 

«Sembra a tutta prima che Freder abbia convertito il padre» scrive Kracauer «in realtà è l’industriale che ha giocato il figlio. La sua concessione non è che una mossa politica che, oltre a impedire agli operai di vincere la loro battaglia, gli permette di rafforzare il suo dominio su di loro. Lo stratagemma dell’automa si è rivelato una stoltezza in quanto poggiava su una conoscenza insufficiente della mentalità delle masse; cedendo a Freder l’industriale raggiunge un intimo contatto con gli operai ed è così in grado di influenzare la loro mentalità. Egli permette al cuore di parlare […] ma a un cuore accessibile alle sue insinuazioni».

 

È in virtù del trionfo di questo “totalitarismo assoluto” che andrebbe dunque collocata la proposta di affidare all’ebreo Fritz Lang la realizzazione dei film Nazionalsocialisti. Come il regista ebbe in seguito a dichiarare, Goebbels, dopo l’avvento di Hitler al potere, lo fece appunto convocare e gli disse che tale decisione risaliva alla stessa volontà del Fürer, il quale diversi anni prima aveva visto Metropolis insieme al suo futuro Ministro per la Propaganda. Se Hitler era disposto a ignorare le origini ebraiche del regista, è lecito pensare che a spingerlo a questa scelta ci potessero essere dei motivi molto più importanti di quelli che presume Kracauer, il quale, a proposito di Metropolis, parla tuttavia «di contenuti sotterranei, che, come merce di contrabbando, hanno attraversato le frontiere della coscienza senza subire ispezioni».

 

Che gli operai di Metropolis richiamino gli schiavi dell’Antico Egitto, piuttosto che i proletari di Marx ed Engels, è un fatto abbastanza evidente. Interessanti sono, inoltre, i riferimenti alla torre di Babele, menzionata nella Genesi biblica, dopo il diluvio universale, che pone fine all’epoca dei Giganti, descritti nel libro di Enoch come stirpe generata dagli angeli ribelli e dalle figlie degli uomini (vi allude Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders). L’uccisione dell’ultimo di essi da parte di Davide avrebbe segnato l’avvento del regno ebraico di Israele. L’esistenza delle due città e la necessità di stipulare un patto tra loro, l’alluvione che minaccia di distruggere Metropolis, simbolo di una civiltà altamente evoluta, e lo spirito di magia che aleggia intorno alla figura dello scienziato/stregone sono elementi indiziari molto importanti, se affrontati alla luce delle credenze esoteriche dei nazisti.

 

Poco prima dell’apparizione di Metropolis, l’anno in cui Hitler pubblica il Mein Kampf, in Europa fa la sua comparsa anche il libro di Ferdinando Ossendowski, Bestie uomini e dei. L’ex ufficiale zarista vi narrava le avventure del suo viaggio attraverso la Siberia e la Mongolia per sfuggire alla cattura dei bolscevichi. Egli riferisce di strani personaggi incontrati lungo il cammino a cui fa risalire l’affermazione dell’esistenza di una città sotterranea, che partecipa dei cosiddetti “misteri cosmici” e che sarebbe governata dal “re del mondo”.

 

Prima di Ossendowski, l’idea della città sotterranea e del suo misterioso governatore era stata messa a conoscenza del vasto pubblico occidentale attraverso La mission de l’Inde, opera postuma dell’esoterista francese Saint-Yves d’Alveydre, pubblicata nel 1910. Ma i riferimenti alla città sotterranea erano già contenuti nel libro Les fils de Dieu dell’orientalista Louis Jacolliot. Il racconto di Ossendowski su questa città arriva dunque in ordine di tempo per ultimo e a differenza di Saint Yves e Jacolliot, che usano il nome di Agarttha, egli la chiamerà Agharti (secondo la pronuncia mongola), mettendola in relazione con un’altra misteriosa città sotterranea, quella di Schamballah. Entrambe sarebbero comunque il residuo di una civiltà altamente evoluta e scomparsa a seguito di una catastrofe come quella di Atlantide.

 

Per un’altra via, il mito di Schamballah e quello di Agharti avrebbe finito per entrare a far parte del corpo di credenze esoteriche del nazismo, attraverso la figura di Karl Haushoffer. Nato nel 1869, questi sarebbe stato iniziato in Giappone a una società esoterica buddista. Dopo la prima guerra mondiale, Haushoffer si dedica agli studi di geopolitica e diventa uno dei principali ispiratori di Thule, una società più o meno esoterica, il cui nome rimanda al mito germanico di un’isola scomparsa nell’estremo nord del continente europeo.

 

Haushoffer, che avrebbe assiduamente frequentato Hitler durante la sua detenzione dopo il tentato putsch di Monaco, sarebbe altresì colui che ispira il programma di egemonia politico-militare della Germania, illustrato nel Mein Kampf. Sempre Haushoffer sarebbe infine colui che sceglierà la croce uncinata come emblema del partito nazista, in sintonia con l’idea, derivata dalla Società Teosofica, secondo cui la razza ariana avrebbe avuto la propria origine in Tibet, dove è nato il simbolo della svastica.

 

In particolare, sembra che gli aderenti al gruppo Thule credessero alla derivazione della razza ariana dai giganti antidiluviani che abitarono le terre divenute il deserto del Gobi in seguito a una catastrofe non meglio precisata. La culla dell’antica civiltà ariana si sarebbe dunque estesa dal Turkhestan al Pamir e dal Gobi al Tibet al comando dei detentori di un’evoluta civiltà scomparsa. Nelle cavità della terra, sotto la catena montuosa himalayana, i loro discendenti si sarebbero scissi in due ordini iniziatici: la via della mano destra e la via della mano sinistra, rispettivamente identificabili in Agharti, la città del bene, e Schamballah, la città della potenza, i cui maghi comandano gli elementi della natura e le masse umane.

 

Teorie pseudo scientifiche come quella di Bender della terra cava, o come quella di Horbiger del ghiaccio eterno contribuirono infine ad avvallare le ipotesi intorno all’esistenza delle civiltà dei continenti scomparsi, sulle cui credenze si allungava l’ombra della Società Teosofica, coll’idea della mutazione della razza umana e di strani patti che dovevano essere stipulati con i Signori usciti dalla terra, i quali avrebbero determinato il destino da dominatori o da schiavi all’interno delle nuove città che sarebbero sorte.

 

Queste idee prendono forma già prima della nascita del nazismo, con la berlinese “Loggia Luminosa”, denominata anche “Società del Vril”. Fulcro essenziale del pensiero di questa Loggia erano le concezioni espresse in un romanzo dal titolo La razza che ci soppianterà dell’inglese Bulwer Lytton, un membro del gruppo di dignitari massoni che nel 1867, alla guida di Wentworth Little, avevano costituito la sedicente società rosacrociana inglese, da cui nel 1887 si sarebbe staccata la “Golden Dawn”.

 

L’idea sostenuta dai nazisti di produrre una mutazione genetica a vantaggio della razza ariana discende dal punto di vista filologico da tali premesse. La logica dei campi di sterminio risiederà nell’assunto di schiavizzare coloro che avrebbero conservato la memoria genetica degli atlantidi, sopra i quali la civiltà di Thule doveva nuovamente trionfare. Anche se Metropolis non aveva niente a che spartire con queste idee, Fritz Lang era riuscito a cogliere ciò che di esse vi era nell’aria e avrebbe potuto a buon titolo essere riciclato come regista di regime.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]