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N. 20 - Gennaio 2007

LA CINA INVECCHIERA' PRIMA DI DIVENTARE RICCA?

L'invecchiamento della popolazione in Cina

di Stefano Crescenzi

 

La Cina: una nazione sempre più sulla scena internazionale per la sua “aggressività” economica e la sua prominente posizione nei mercati globali, che va ogni giorno accrescendosi e che va progressivamente incrementando il suo reddito diventando sempre più ricca.

Ma oltre al fattore economico, spessissimo sotto l’analisi attenta e guardinga dell’opinione pubblica globale (in alcuni casi molto preoccupata), ce n’è un altro che non viene mai preso in considerazione e che incide direttamente sui probabili scenari di sviluppo del Paese: l’aspetto concernente all’invecchiamento della popolazione. A tal fine si pone una domanda, anche un po’ provocatoria: quando la Repubblica Popolare Cinese si sarà completamente sviluppata, non sarà diventata già troppo vecchia?

O meglio: oltre alle strutture economiche e al progressivo incremento del reddito dei cinesi, vanno modificandosi anche le strutture della popolazione stessa, incidendo di conseguenza sulle medesime strutture di produzione che sono oggi la grande risorsa della Nazione.

In altri termini, a seguito dell’attuazione della cosiddetta politica del figlio unico, introdotta dal governo cinese nel 1979, politica volta a limitare il numero delle nascite ed evitare il raggiungimento di uno stato di sovraffollamento della popolazione a cui non si sarebbe riusciti (e non si riuscirebbe a tutt’oggi) a far fronte, nessuno ha mai più ripensato alle conseguenze di questa politica demografica.

L’adozione di misure drastiche era necessario per evitare che scattasse quel meccanismo di auto-regolazione della natura noto come la “trappola maltusiana”. Difatti, molti paesi che non hanno una politica demografica sistematica, si trovano oggi in serie difficoltà.

Accertato che fosse perciò necessario adottare una qualche misura di regimentazione delle nascite per assicurare maggiori chance di sviluppo al Paese, non si può certo pensare di mantenere tali restrizioni ad libitum. E nessuno ha cercato di riorganizzare la politica di popolazione che coinvolge non solo la vita sociale attuale della Cina, ma anche e soprattutto quella futura.

Un dimezzamento forzato del tasso di fecondità, misura nel breve termine sicuramente efficace, si sta gradualmente rivelando assolutamente dannoso in un’ottica di lungo termine. Tale misura preventiva, ha comportato “effetti collaterali” come un tasso natalità fortemente sbilanciato verso un maggior numero di nati maschi, alterando così il naturale rapporto di mascolinità.

La spiegazione di tutto ciò è semplice: ogni coppia, potendo avere soltanto un figlio, prevalentemente per ragioni culturali, tendenzialmente sceglierà di far nascere un bambino di sesso maschile.

Tale preponderanza di maschi all’interno della società cinese, potrebbe influire, nel prossimo futuro, sul tasso di fecondità stesso, ovviamente sempre se restino vigenti le politiche attualmente in vigore.

Un altro dato che è stato registrato attraverso diversi metodi di indagine, e che sta destando ulteriori preoccupazioni, è che va diffondendosi tra le giovani coppie cinesi, l’idea di non voler avere figli o al massimo di averne uno solo.

Tutto ciò non per una piena adesione alla politica demografica vigente, bensì per motivi prettamente riguardanti il benessere materiale: i soggetti intervistati, affermano che i figli sono un costo eccessivo e un freno agli alti livelli di reddito che vogliono raggiungere, facendo così diventare, per i “nuovi cinesi”, nati con l’inizio di una forte industrializzazione e nel pieno dello sviluppo economico, meno desiderabile avere dei figli.

Tale mutamento di orientamenti e di pensiero, molto forte soprattutto nelle aree urbanizzate e maggiormente sviluppate del paese, comprensibile ma non condivisibile, potrebbe incidere ulteriormente sul futuro demografico della Cina.

Inoltre, un’altra delle problematiche che interesseranno sicuramente il popolo cinese da vicino nei prossimi anni, è quanto i mutamenti nella struttura della popolazione influiranno sulle fasce di persone in età lavorativa e l’incidenza della cosiddetta popolazione a carico (ossia anziani e bambini), con i relativi problemi di welfare noti già da tempo a molti paesi occidentali.

Se è vero che la Cina diventa più ricca, è dimostrato che il benessere economico incide sulla fecondità, oltre che incidere in primo luogo sui tassi di mortalità infantile (che diminuiscono) e sulla sopravvivenza (che aumenta in conseguenza del miglioramento delle condizioni di vita), andando a delineare una struttura tipica della popolazioni dei paesi sviluppati, con tassi di fecondità problematici per la maggior parte dei casi.

L’invecchiamento della popolazione, comporterà sicuramente anche una modifica delle strutture produttive della Cina, e per un paese che ha da sempre puntato su prodotti labour-intensive, sarà sicuramente un concreto problema di natura non secondaria.

In aggiunta, la mancanza di un sistema previdenziale efficace per il maggior numero di anziani presente nel Paese, potrebbe ulteriormente alimentare i conflitti sociali e inasprire le già forti disuguaglianze di reddito all’interno delle differenti fasce di popolazione, producendo una spinta verso “l’accumulo” per garantirsi una certezza economica per quando in futuro non si sarà più in grado di lavorare.

Chissà se la Cina, che con il suo dinamismo e la sua capacità di adattamento è riuscita ad incamminarsi sulla strada dello sviluppo in poco tempo (migliorando gradualmente le condizioni di vita di oltre un miliardo di abitanti), riuscirà a cambiarsi rapidamente anche nella sua struttura produttiva per adeguarsi ai cambiamenti demografici che diverranno presto un problema assai evidente nel Paese, e a ripensare la sua politica di popolazione che agisce soltanto sui fattori materiali ma non su quelli culturali e sociali, portando ad evidenti paradossi e a comportamenti discutibili per far rispettare tali politiche.

 

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