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N. 18 - Novembre 2006

LA CINA E I DIRITTI UMANI

La situazione della protezione dei diritti dell’uomo in Cina

di Stefano Crescenzi

 

Affrontare la tematica dello stato della protezione dei diritti dell’uomo in Cina è affare assai complesso e intricato. Sul rapporto tra diritti umani (la loro violazione) e la Repubblica Popolare Cinese molto è stato scritto e detto,  in particolar modo negli ultimi anni, in conseguenza al forte ruolo che sulla scienza internazionale che questa nazione sta ricoprendo sempre più.

 

Ciò che vorrei offrire al lettore è una nuova visione della tematica, affrontandone alcuni aspetti che spesso rimangono in secondo piano quando non sono completamente nascosti. Ciò non è possibile però senza una doverosa premessa: in Cina, come è sancito dall’ultimo comma dell’art. 33 della Costituzione Cinese, lo Stato “garantisce e tutela i diritti umani”.

 

La recente integrazione, introdotta con un emendamento che inserisce tale previsione normativa, approvato nel 2004 dall’Assemblea Nazionale del Popolo, potrebbe sembrare eccessivamente generica e sommaria. Ad un’analisi più profonda, invece, risulta come il legislatore abbia volutamente impiegato sì una forma più ampia e generale, ma al fine di garantire la tutela di ogni diritto specifico che non fosse espressamente sancito all’interno della carta costituzionale, e che ricade quindi sotto il cappello delle definizioni (determinate a livello internazionale) di diritti umani. Il fatto non è di secondaria importanza, poiché esplicita la volontà di Pechino di uniformarsi agli standard internazionali generalmente condivisi.

 

L’aspetto innovativo degno di nota, e causa di alcune eccessive chiusure mentali del mondo occidentale, è l’importanza che in Cina viene attribuita alla dimensione sociale dei diritti rispetto a quella individualistica che caratterizza i nostri ordinamenti giuridici.

 

Questa concezione della supremazia della comunità sull’individuo, secondo cui il benessere della comunità prevale sempre su quello del singolo soggetto, da cui deriva una conseguente tolleranza maggiore a subire delle limitazioni ad un diritto individuale se ciò comporta benefici a livello della società, si riflette moltissimo anche nelle azioni di tutela formale e sostanziale dei diritti umani nel Paese.

 

Per tale ragione, è stato dalla Cina prima ratificato il Patto delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali, i cosiddetti diritti di seconda generazione, nei confronti del Patto delle N.U. sui diritti civili e politici, i diritti di prima generazione, tra l’altro soltanto sottoscritto nel 1998 ma non ancora ratificato. I diritti di prima generazione, in merito alla loro natura specifica, sono quelli a più forte connotazione individuale e che tutelano il singolo nei confronti della comunità. La creazione di due Patti specifici e distinti per la tutela dei diritti umani, ne risalta la doppia anima che coesiste nella onnicomprensiva definizione degli stessi.

 

I due Patti, approvati dall’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1966, furono resi necessari quando si capì, negli anni successivi alla stesura della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (approvata nel 1948), che non sarebbe stato sufficiente un unico documento che racchiudesse la tutela di queste due anime (una sociale e l’altra individuale), distinte ma collegate l’una all’altra.

 

Un’ulteriore riprova della predominanza della dimensione sociale della tutela dei diritti umani in Cina, è la formulazione, dovuta anche alle condizioni contingenti del paese, della cosiddetta politica di XiaoKang, ossia il raggiungimento dell’obbiettivo di assicurare un benessere moderato (e diffuso) per tutta la popolazione, passando per diversi stadi, di cui il libero mercato con caratteristiche comuniste ne è la più evidente manifestazione. Per assicurare la funzionalità di questa politica, le forme di tutela giuridica dei diritti, sono andate a favore della salvaguardia degli interessi collettivi più che di quelli individuali.

 

La protezione dei diritti civili e politici è quindi più carente in Cina, e molte libertà fondamentali che sono normalmente tutelate nelle democrazie occidentali non sono effettivamente garantite nel Paese: e questo è un importante distinguo, poiché molto spesso non è la mancanza della legislazione necessaria (peraltro presente in grande quantità in Cina), quanto le carenze di misure che la facciano rispettare ed applicare in maniera sistematica, che influisce sulla mancata protezione dei diritti umani che viene spesso denunciata a livello internazionale.

 

Sono state di recente approntate riforme del codice penale e del codice civile, sono state attuate misure che garantissero maggiore imparzialità ed indipendenza alla Magistratura, oltre alla formulazione di molte leggi a livello nazionali su diversi argomenti quali la lotta alla corruzione, la legislazione in materia di abuso di potere e di giustizia amministrativa, la correttezza dei processi e la riforma del sistema delle corti popolari, la tutela delle minoranze etniche e linguistiche, e dei gruppi più vulnerabili (donne, disabili, e bambini). È utile infine ricordare come la recente entrata della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, ha visto attuare molti provvedimenti in materia di diritto del lavoro e di tutela dei lavoratori.

 

Negli ultimi anni, dopo le riforme di apertura, grazie alla cooperazione bilaterale e quella multilaterale, in particolare con le Nazioni Unite, molto è stato fatto nell’Impero di Mezzo per adeguare il paese agli standard internazionali; innumerevoli le iniziative di sensibilizzazione sulla tematica della protezione dei diritti civili e politici, la cui piena tutela comporterebbe anche un sostanziale mutamento delle strutture politiche e una trasformazione nelle architetture della gestione del potere politico. Il passo è inevitabile, anche se non verosimile.

 

L’importante è non stigmatizzare questo Paese in via di sviluppo, ma valorizzarne gli sforzi che ha compiuto e che sta compiendo ogni giorno per adeguarsi agli standard internazionali in materia di protezione di diritti dell’uomo. E come l’occidente introduce la dimensione individuale della tutela degli stessi, non potremmo prendere a modello alcune caratteristiche di quella dimensione sociale della protezione di tali diritti?

 

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