[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

161 / MAGGIO 2021 (CXCII)


attualità

CIAD, L’ASSASINIO DEL PRESIDENTE DÉBY

UN SAHEL SEMPRE MENO STABILE

di Gian Marco Boellisi

 

Con il passare degli anni e degli eventi, alcune regioni del mondo anziché divenire più stabili e tranquille vanno verso l’esatto opposto. Se ne potrebbero enumerare purtroppo molte più di quante si possa immaginare, tuttavia in tempi recenti l’area del Sahel sembra essere quella per antonomasia.

 

Costituita da una fascia molto ampia che include svariati paesi e culture, il Sahel risulta essere sempre più cruciale negli equilibri e nelle dinamiche del cosiddetto “Mediterraneo Allargato”, tanto che le cancellerie estere, di nazioni europee e non, tengono sempre maggiormente sotto occhio quanto accade in questa importante area geografica.

 

Proprio nell’aprile 2021 si è avuto prova di quanto fragile e precario stia sempre più diventando l’equilibrio instauratosi negli anni. Infatti è notizia recente la morte del presidente del Ciad Idriss Déby a seguito di un conflitto a fuoco con alcune forze ribelli. Oltre a lasciare un vuoto politico non indifferente all’interno del proprio paese, la morte del presidente porta con sé dei riassestamenti regionali e internazionali non di poco conto.

 

È quindi interessante cercare di comprendere le dinamiche di quanto accaduto e dedurne le possibili ripercussioni future, specie considerando che potrebbero essere molto più dirette di quanto noi europei siamo abituati a considerare.

 

Partiamo prima da una breve introduzione storica. Da sempre crocevia di commerci floridi con le culture presenti sul Mediterraneo, il Ciad risulta essere uno dei paesi meno conosciuti dell’area e allo stesso tempo più ricchi per numero di culture diverse tra loro. Nello scorrere dei secoli svariate potenze vi hanno messo gli occhi sopra per la sua posizione strategica nel Nord dell’Africa.

 

Tuttavia fu la Francia a colonizzare il Ciad nel 1891. L’epoca coloniale procedette in maniera abbastanza stabile e nel 1960, a differenza di molte altre colonie, fu raggiunta l’indipendenza da Parigi senza alcuno spargimento di sangue. Tuttavia anche la storia del Ciad non fu esente da violenze e tumulti. Infatti sia il conflitto con le province ribelli del nord a partire dal 1965 sia l’infausto conflitto con la Libia tra il 1975 e il 1987 portarono il Ciad sull’orlo del baratro dal punto di vista economico, sociale e politico.

 

A seguito di questo periodo di continui cambi di regime e instabilità a livello nazionale, entrò in scena il protagonista della nostra vicenda. Idriss Déby, generale tra i più fidati del signore della guerra nonché ex-presidente del Ciad Hissène Habré, effettuò un colpo di stato ai danni di quest’ultimo instaurandosi alla presidenza del paese. Da qui in poi il Ciad sarebbe rimasto sotto il suo controllo per i successivi 31 anni, interrottisi lo scorso aprile 2021 con la sua morte.

 

Per quanto Déby tentò a metà anni ’90 di aprire il sistema politico nazionale al multipartitismo, dando così prova alla comunità internazionale della sua apertura politica, egli non deviò mai dall’autoritarismo per esercitare il proprio potere. Basti pensare che fu eletto nelle presidenziali del 1996 e confermato nel 2001, 2006, 2011, 2016 e 2021. Proprio nelle ultime elezioni, svoltesi in un clima di profonda divisione sociale e intimidazione verso le opposizioni, Déby ha ottenuto l’80% dei consensi.

 

Il governo di Déby si è basato su una strategia molto comune in diversi stati dell’Africa. Infatti egli ha ricorso a quel mix di nepostismo, richiamo all’appartenenza clanica e corruzione usando i proventi delle risorse idrocarburiche nazionali per mantenere il potere sui vari gruppi etnici e potentati locali del Ciad. Tutto ciò fino al 20 aprile 2021, dove i generali dell’esercito hanno rilasciato un comunicato riguardo alla morte del presidente Idriss Déby, il tutto a poche ore dalla pubblicazione dei risultati elettorali. I fatti sin da subito non sono risultati molto chiari, sia dal punto di vista delle tempistiche che degli avvenimenti.

 

Infatti per quanto la notizia sia stata diffusa il 20 aprile, la morte del presidente risalirebbe a circa una settimana prima. Il ferimento mortale di Déby sarebbe avvenuto nella regione di Kanem, dove il presidente si trovava insieme alla proprie forze armate per combattere il FACT, ovvero il Fronte per l’alternanza e la concordia del Ciad (Front pour l’Alternance et la Concorde au Tchad).

 

Il motivo della presenza di una così alta carica della nazione sarebbe stato un incontro tra i vertici ciadiani e i capi dei ribelli nella località di Mao, a circa 200 chilometri a nord di N’Djamena. Il vertice sarebbe poi degenerato in un conflitto a fuoco tra i due schieramenti, il quale avrebbe causato la morte del presidente e anche quella di alcuni dei suoi generali. Questa tuttavia è la ricostruzione ufficiale.

 

Alcuni analisti hanno ipotizzato che il ferimento del presidente sia avvenuto a causa di fuoco amico, altri invece hanno ipotizzato che l’incontro con le forze ribelli sia stata l’occasione perfetta per perpetrare un assassinio politico ai danni del presidente da parte di alcuni esponenti militari e governativi vicini a Déby. Visto il contesto in cui il tutto è avvenuto, è molto difficile che si avranno mai delle risposte.

 

Per quanto possa sembrare strano che il presidente in persona avesse voluto presenziare a un incontro così rischioso, ciò non deve sorprendere affatto per l’ex-presidente Idriss Déby. Generale di lunga data con un’esperienza militare in vari conflitti, Déby ha sempre voluto essere coinvolto insieme alle proprie truppe sui vari fronti di impiego. Non è un segreto infatti che il presidente Déby traesse grande forza e supporto dall’ala militare del paese. Nel corso degli anni sono state proprio le forze armate che hanno impedito svariati colpi di stato ai danni dello stesso Déby.

 

Questa fedeltà tuttavia, come è facilmente intuibile, non viene gratuitamente. Oltre a essere considerato uno tra gli eserciti meglio retribuito nel continente africano, l’esercito del Ciad assorbe ogni anno tra il 30 e il 40% del bilancio statale, investendolo in addestramento ed equipaggiamenti moderni. Tutto ciò nonostante il 42% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno e nonostante la pandemia abbia colpito ogni settore lavorativo del paese, con particolare rilevanza per il crollo dei prezzi del petrolio. Al netto di tutto ciò, l’esercito del Ciad risulta a oggi comunque uno degli eserciti più efficienti e preparati di tutto il Sahel e probabilmente anche di tutta l’Africa.

 

Per quanto riguarda il gruppo ribelle che attualmente sta impegnando le forze armate di N’Djamena, il FACT fu fondato nel 2016 da Mahamat Mahdi Ali a causa di una scissione interna di un altro movimento ribelle, l’Union des forces pour la démocratie et le développement (UFDD). Il gruppo armato, a maggioranza etnica toubou, si era insediato in Libia da alcuni anni a questa parte alleandosi de facto con il Libyan National Army (Lna) guidato da Khalifa Haftar. Oltre al FACT al’interno del conflitto in Ciad gioca un ruolo di rilievo anche l’Unione delle Forze di Resistenza (UFR). Questa è comandata dal nipote di Déby, Timan Erdimi.

 

Il FACT avrebbe tra le sue fila circa 2.000 miliziani, metà dei quali avrebbe operato in Libia dal 2016 in poi. Tuttavia dall’11 aprile 2021 in avanti la maggior parte di queste forze sono rientrate in Ciad, vista anche la facilità di attraversamento dovuta al confine desertico e desolato tra le due nazioni. La sorpresa generata negli attacchi alle forze di sicurezza del Ciad ha portato in pochi giorni la lotta alle porte della capitale N’Djamena. Ciò ha causato tutta la serie di eventi che ha portato alla morte del presidente Déby.

 

Il ritorno delle milizie in patria tuttavia non è avvenuto con una tempistica casuale. Infatti proprio recentemente si è avuta la formazione del nuovo governo Dbeibah, il quale è stato frutto di un cessate il fuoco concordato tra le fazioni belligeranti. Una delle condizioni cardine perché il cessate il fuoco fosse in vigore è stata proprio quella di espellere dalla Libia tutti i mercenari stranieri. È quindi possibile che il FACT, indipendentemente dalle elezioni tenutesi in Ciad, sia stato spinto a ritornare a casa proprio dal generale Khalifa Haftar a seguito dei sopracitati accordi. Ciò dimostrerebbe il silenzioso assenso al nuovo governo di Tripoli, essendosi Haftar liberato di mercenari diventati politicamente scomodi, e a una possibile volontà del generale di instaurare un dialogo costruttivo con la propria controparte.

 

A seguito dell’annuncio della morte del presidente Déby, è stato imposto un coprifuoco nazionale, è stato istituito un Consiglio Militare di Transizione (CMT) e sono state chiuse le frontiere aeree e terrestri. La nuova giunta militare ha sciolto il parlamento e il governo, istituendo una fase di transizione di 18 mesi con a capo un governo provvisorio. A capo di questo governo è stato messo il generale Mahamat Idriss Déby, figlio del defunto presidente nonché capo della vecchia guardia presidenziale con un’esperienza di guerra in Mali.

 

Alcuni osservatori internazionali hanno notato che quanto effettuato dalla giunta militare risulta essere a tutti gli effetti un colpo di stato. Infatti la Costituzione prevede l’attribuzione della carica di presidente all’assemblea nazionale o in secondo luogo al vicepresidente e l’organizzazione di nuove elezioni in un periodo tra i 45 e i 90 giorni. Vista la prontezza con cui l’esercito si sia mosso per prendere il potere, non è da escludersi che quindi l’uccisione del presidente sia effettivamente da attribuire ad alcune alte sfere dell’esercito che hanno voluto prendere il posto del defunto presidente con colpo di mano e allo stesso tempo uscirne puliti agli occhi della popolazione e della comunità internazionale.

 

Questo scenario di caos e incertezza sta generando non poche preoccupazioni all’estero, visto soprattutto l’importante ruolo che il Ciad svolge nel complesso scacchiere del Sahel. Infatti da sempre Dèby ha tenuto a rinsaldare la propria alleanza strategica con la Francia, sia per il passato coloniale francofono sia in un’ottica di più ampio respiro nella regione. Sfruttando il proprio efficiente esercito, il Ciad è stato coinvolto nelle operazioni anti-terrorismo sponsorizzate dall’Eliseo nel 2013 nel Nord del Mali e anche nella lotta a Boko Haram, nel quale N’Djamena ha subito perdite molto pesanti.

 

Per la Francia il Ciad risultava essere uno degli ultimi alleati stabili della regione e a cui poteva fare affidamento, soprattutto a seguito delle cosiddette Primavere Arabe e di tutto il caos che ne è seguito negli ultimi 10 anni. Basti pensare che il presidente Macron nel febbraio 2021 pronunciò le seguenti parole riguardo al Ciad: «La tenuta del Ciad è essenziale: se cedesse la diga ciadiana, dopo la Libia, tutta la regione sarebbe sommersa dal terrorismo».

 

A riprova di quanto detto sopra, il quartier generale dell’Operazione Barkhane, principale operazione a direzione francese nel Sahel contro il terrorismo, è proprio a N’Djamena. A seguito della caduta di Déby, le speranze di un minore impegno militare francese nella regione e di una graduale delega alle forze di sicurezza locali delle attività militari sono completamente svanite nel breve-medio termine.

 

Per la Francia infatti la partita che si sta giocando ora in Ciad non riguarda solo il futuro dello storico alleato, e neanche quella del Sahel, ma dell’intero Nord-Africa. Parigi infatti è ben a conoscenza del fatto che i ribelli del FACT sarebbero sostenuti da Turchia e Qatar, entrambe nazioni che stanno dando parecchio da fare all’agenda estera francese. Basti pensare alla Libia, al Mali e anche all’Egitto, tutti scenari che sentono sempre più l’influenza politica e militare di Ankara.

 

In particolare la Libia, dove i francesi hanno grandissimi interessi, risulta essere collegata geograficamente al Ciad dal proprio confine meridionale. Qualora questi dovesse cadere in mani avversarie, la Turchia avrebbe un ulteriore punto di pressione verso le forze del generale Haftar, storico alleato di Parigi, oltre al controllo totale delle rotte migratorie verso l’Europa (quella meridionale attraverso l’Africa e quella orientale attraverso i Balcani).

 

In passato l’importanza del Ciad dal punto di vista strategico ha fatto chiudere non uno, ma tutti e due gli occhi alla comunità internazionale, e in particolar modo a quella europea, sulla questione dei diritti umani, della corruzione e della soppressione delle libertà basilari. Questo per far sì che i traffici illegali passanti attraverso il Sahel, quali droga dal Sud America, migranti e armi, non trovassero terreno facile in Ciad così come le formazioni terroristiche di qualsiasi genere. Qualora quest’ultima diga crollasse a causa degli sconvolgimenti recenti, gli effetti su tutto il Nord Africa prima e sull’Europa poi sarebbero incalcolabili. E questo tutte le cancellerie europee lo sanno benissimo.

 

In conclusione, ciò che è avvenuto in Ciad recentemente potrebbe apparire come uno dei tanti dittatori morti per una guerra civile o per un colpo di stato messo in atto dall’ennesima giunta militare. Per quanto le questioni del Ciad possano sembrare attualmente sotto controllo dalla nuova giunta militare, non è possibile prevedere come reagirà la popolazione a quest’ennesimo cambio di direzione.

 

Infatti le prolungate sofferenze dovute alla povertà, acuite dalla pandemia, potrebbero far esplodere un malessere sociale che i militari non avevano previsto. Dall’altro lato vi è la posizione internazionale del Ciad, ora quanto mai indebolita dalla morte del presidente Déby e apparentemente senza un filo conduttore a farle da guida. Gli occhi di tutta la comunità internazionale sono puntati su N’Djamena, e in particolar modo quelli francesi.

 

È molto difficile che Parigi abbandoni così facilmente il proprio storico alleato, tuttavia non è neanche detto che l’Eliseo vorrà e soprattutto potrà accollarsi i costi di ulteriori inasprimenti delle operazioni all’interno dell’Africa Sub-Sahariana. Vista da molti come la prima tessera di un domino di porzioni mai viste prima, ciò che succederà in Ciad nei prossimi mesi potrebbe veramente scrivere la storia di tutta l’Europa e del Mediterraneo allargato dei prossimi 20 anni.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]