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N. 23 - Aprile 2007

Centesimus annus

Il messaggio di un Enciclica

di Arturo Capasso

 

Nel maggio del 1991 Giovanni Paolo II promulga l'Enciclica Centesimus annus,  per celebrare il centenario della Rerum novarum di Leone XIII.

L'articolo che segue ricorda la più importante Enciclica del Papa scomparso.

L'Enciclica è una lettera; ciò ricorda le "Lettere" degli Apostoli, primo fra tutti San Paolo, che ne scrisse 14. La lettera è inviata  venerati fratelli nell’episcopato, al cle­ro, alle famiglie religiose, ai fedeli della chiesa cattolica, e a tutti gli uomini di buona volontà., senza distinzione di razza e di credo. Il loro comune denominatore deve essere "la buona volontà".

 

INTRODUZIONE

 

C'è il richiamo alla Rerum novarum e ai numerosi Do­cumenti da essa scaturiti. Il Papa ha accolto la richiesta di celebrarne il centenario. È opportuno rilevare che fin dall'introduzione c'è una chiave di lettura: hanno infatti invitato a scrivere imprenditori e lavoratori, sia a titolo in­dividuale che come membri di associazioni. Il  Papa si ri­volgerà spesso a queste due categorie, che rappresentano il mondo economico e il vero motore della comunità.

Con la Centesimus annus c'è un indirizzo ben preciso: guardare indietro, guardare intorno e guardare al futuro. Si vuole andare incontro al terzo millennio con un  profondo senso di responsabilità.

C'è un continuum nell'insegnamento della Chiesa, che deriva dagli Apostoli. C'è il richiamo a San Paolo, che nella prima lettera ai Corìnti scrive: “ io, da perito architetto, ho gettato il fondamento, altri poi vi costruisce sopra. Ma l'A­postolo invita, anzi ammonisce: Ognuno però stia attento al modo con cui vi costruisce sopra. Nessuno infatti può gettare altro fondamento oltre quello già posto, cioè Gesù Cristo.”

Il  Papa ribadisce il desiderio dell'aggancio fra passato e presente, vecchio e nuovo. Ricorda Matteo, per il quale ogni scriba è simile ad un padrone di casa che trae fuori dal suo tesoro cose nuove e cose antiche. Ciò necessaria­mente presuppone che il padrone di casa sia capace di con­servare il tesoro e, ancor più, capace di gestirlo.

 

TRATTI CARATTERISTICI DELLA RERUM NOVARUM 

 

Verso la fine del secolo scorso lo scenario pre­senta un mondo in rapido mutamento politi­co, economico e sociale. Ci sono nuove libertà ma anche nuove forme di ingiustizia. Si par­la di nuove strutture nella produzione. A queste strut­ture si affiancò un nuovo tipo di proprietà: nasceva il capitalismo. Lo sfruttamento del lavoro a basso co­sto determinava illeciti arricchimenti, con mancan­za di assicurazione sociale.

Le pagine memorabili del Capitale di Marx hanno scosso la coscienza di quanti avevano a cuore la di­gnità dell'uomo. La Chiesa non poteva restare da parte. Oltretutto il suo messaggio evangelico antici­pava di circa due millenni una giustizia sociale. Da una parte troviamo il liberismo che fa da traino al liberalismo, dall'altra un socialismo utopico che cerca nuove vie al consesso civile.

Il Papa fa riferimento al “ momento culminante di questa contrapposizione”e all'intervento di Leone XIII.

Il dualismo capitale/lavoro resterà a lungo, ma la Chiesa con la Rerum novarum stabilirà il diritto/do­vere di intervenire nella vita pubblica. La dottrina so­ciale è anche missione evangelica.

Pertanto la nuova evangelizzazione deve passare attraverso la dottrina sociale della Chiesa

.

Leone XIII aveva difeso la dignità del lavoratore e la dignità del lavoro, attività necessaria per i biso­gni della vita. Aveva anche sancito il diritto alla pro­prietà privata, anche se poi c'è stata una divaricazione: da una parte un accumulo eccessivo che danneggia parti povere, dall'altra una collettiviz­zazione che era sorta a favore di classi povere.

Inoltre aveva riconosciuto il diritto di associazio­ni/sindacati e di  giusto salario. Lo Stato deve tutela­re i diritti di tutti, ma specialmente quelli dei più deboli e indifesi. Una solidarietà a livello nazionale ed internazionale.

Questo, per grandi linee, il vecchio; ma esso resi­ste ancora in troppi casi. Tali processi di trasforma­zione ricompaiono in Paesi con grosse sacche di povertà. L'accumulo è più immediato, la richiesta d'un pezzo di pane più accanita, l'offerta di mano d'opera a prezzi avvilenti, la dignità offesa.

Giovanni Paolo II rileva che Leone XIII si appel­la allo Stato, ma questa entità non può tutto. Infat­ti, “ l'individuo, la famiglia e la società gli sono anteriori ed esso (Stato) esiste per tutelare i diritti del­l'uno e delle altre, e non già per soffocarli.”  Ricorde­rei a questo punto la Lettera di San Paolo ai Romani, perché in essa si fa richiamo alla legge naturale, che dovrebbe sempre essere da guida, in mancanza di al­tre norme.

Alludendo ai Gentili che non hanno legge scritta, San Paolo dice che i “dettami della legge sono scritti nei loro cuori come ne fa fede la loro coscienza coi suoi giudizi” (2, 15).

 

LE "COSE NUOVE" DI OGGI

 

Leone XIII era contro le ingiustizie verso le masse proletarie, ma era anche contro un sistema che vole­va issare la bandiera della rivoluzione sociale e della diversa divisione della ricchezza: “ i socialisti spingo­no i poveri all'odio contro i ricchi, e sostengono che la proprietà privata deve essere abolita ed i beni di ciascuno debbono essere comuni a tutti. Si dichiara -Leone XIII - contrario a tale teoria, che crea disordini sociali e va contro i diritti dei proprietari, finen­do così col non giovare neppure agli operai.

Purtroppo i fatti sono andati ben oltre. Là dove il socialismo è andato al potere, ha finito col creare danni e  ci vorranno decenni per eliminarli. L'uo­mo in quella società è stato (ed è) un semplice ingra­naggio d'un meccanismo. Quando poi la misura è colma, la massa si organizza e si batte per diverse con­dizioni di vita e per la dignità violata, anzi rubata. La società ha subito un doppio attacco da due di­verse forze, ambedue fondate sull'ateismo. Da una parte il socialismo reale con le sue purghe, dall'altra il militarismo coi suoi campi di sterminio.

 

Le giuste riforme portano ad una vita migliore, al lavoro sicuro senza lo spettro della disoccupazione; alla mancanza di sfruttamento verso fasce più debo­li, quali oggi possono essere gli immigrati. Il diritto al riposo e ad orari più umani è un punto inconte­stato. Vorrei ricordare ciò che era la Svezia all'ini­zio dell'industrialismo: un Paese molto arretrato, con una grossa divaricazione fra lavoratori ed industria­li. (Cfr. Arturo Capasso, Socialismo in Svezia, pp. 128, Milano 1966).

La mano d'opera si spostava verso il Nord, dove l'introduzione delle seghe a vapore dava un nuovo impulso all'industria del legno. Le case degli operai stagionali erano primitive. I letti costruiti con rozze tavole e in una sola stanza vi potevano dormire an­che dieci operai. Sembra quasi di assistere ad una de­scrizione odierna, con gl'immigrati africani nel nostro Paese. Il contrasto continuo col capitale, determinato da basse retribuzioni, licenziamenti arbitrari e peno­se condizioni di vita, indussero al primo sciopero -1879 - della storia svedese.

Sui grossi cartelli c'era scritto: Arbete och Bród (Lavoro e pane). Non ottennero alcuna di queste ele­mentari rivendicazioni. Ma si resero conto che biso­gnava essere compatti. Sorse così un sindacato che rappresentò un punto di riferimento nella lotta dei lavoratori. Ma la LO (Landsorganization i Sverige) comprese pure che non si poteva puntare sulla lotta ad oltranza, che meglio era raggiungere un accordo con la controparte. Il Governo faceva da garante per obbligare le parti a giusti equilibri.

Mi sono soffermato sull'esempio svedese, perché si è riusciti ad eliminare i grossi contrasti sociali, senza passare né per Marx, né per la Rerum novarum. Gli sviluppi susseguenti sono sotto gli occhi di tutti

.Ma la libertà d'iscriversi ad un sindacato talvolta diventa un preciso obbligo.

 

La Rerum novarum era contro le ideologie dell'o­dio e contro la violenza. Purtroppo tali indicazioni non furono recepite dai protagonisti delle due guer­re mondiali, e soprattutto con l'Olocausto si ebbe il culmine dell'aberrazione umana.

Chi ha visitato un campo di sterminio n'è rimasto profondamente sconvolto.

Col 1945 si arriva ad una divisione di blocchi, con migrazioni forzate all'interno di sistemi e Paesi. Il vento dell’’Est avanza. I Paesi più deboli si trovano a dover scegliersi i loro protettori fra i rappresentanti dei due sistemi. Ne scaturiscono lotte selvagge, con l'esclusione degli uomini di buona volontà. Si accen­na “ al grandioso processo di decolonizzazione, per il quale numerosi Paesi acquistano... l'indipendenza.” È stato un cammino lungo, faticoso. Interi popoli furono tenuti sotto pressione, sfruttati, malmenati, ridotti a servitori (o schiavi) dei bianchi. In quei casi estremamente flebile fu la voce di pastori e di preti, . che si trovavano fra connazionali spietati ed ipocri­ti, avendo di fronte invece degli indigeni che vedeva­no a piene mani come lontana fosse la buona novella (A.C. Chorosciò! pp. 146, Roma 1963). Ma furono proprio i migliori indigeni che andarono a Cambridge e alla Sorbonne per studiare come i bianchi a cam­biare le cose. In quei centri di cultura appresero che l'Inghilterra era stata sotto un giogo monarchico e se ne era liberata con la Magna Charta, mentre la Francia con la sua Declaration des droits aveva li­quidato tutte le vecchie istituzioni ed inserito di pre­potenza l'uomo nuovo, libero di pensare ed agire. Quegli studenti pensavano che anche per i loro Pae­si si poteva far qualcosa. Si veniva creando una co­scienza nazionale che, a distanza di qualche decennio, avrebbe dato i suoi frutti. Nell'Enciclica si tratta -alla fine del capitolo - dell'apporto dato dalle Na­zioni Unite per la crescita dei diritti a livello di sin­goli e di Nazioni. Ma si riconosce la limitatezza degli strumenti a disposizione delle Nazioni Unite.

 

L'ANNO 1989

 

Fin dagli anni '80 in alcuni Paesi dell'America La­tina, dell'Africa e dell'Asia c'è un impegno della Chiesa a trovare solidarietà e dialogo, invece di con­flitti senza fine.

E ora veniamo agli avvenimenti della Polonia.

Secondo Papa Giovanni Paolo II il fattore princi­pale è stato “la violazione dei diritti del lavoro.”

Bisogna ricordare a questo punto che a Budapest, a Praga, nella stessa Varsavia c'erano state manife­stazioni sedate nel sangue dalle locali polizie, agli or­dini diretti del Cremlino. Perché fu resa possibile la svolta di Danzica?

Perché si cominciò a parlare che ormai non c'era (e non c'era mai stata) la dittatura del proletariato, ma la dittatura sul proletariato?

Secondo me il merito maggiore della svolta è pro­prio del Papa, che ha saputo far difendere Solidarnosc a livello mondiale, che ha imposto a Gorbaciov una nuova strategia, che ha dato la speranza a chi era rassegnato.

Bisogna dare atto a chi per anni ha combattuto in silenzio, inviando a quelle genti libri e generi di pri­ma necessità. Libri che destavano le coscienze, che invitavano a combattere. A volte bastava la Bibbia per raggiungere tale ambito traguardo. Il ruolo svolto dai Padri di Russia Cristiana che da Seriate sfidava­no i colossi dell'Est non sarà mai lodato abbastanza.

Il secondo fattore di crisi è dato dall'inefficienza del sistema economico. È stata negata l'iniziativa al­l'individuo, egli è stato considerato come parte del sistema, non come protagonista. E perciò l'avvicinar­si a Cristo è stato per molti l'unico modo di ritrova­re se stessi, la propria dignità ferita.

 

Gli avvenimenti dell'89 hanno portato ad un in­contro tra la Chiesa e il Movimento operaio.

Bisognerebbe essere stati  nei Paesi dell'Est per capire l'importanza della Chiesa quale gruppo di pressione. Chi voleva dire qualcosa di non ortodosso doveva buttarsi fra le braccia di chi ancora aveva la capacità ad agire: la Chiesa. Gli anni bui della dittatura comunista, le ingiustizie commesse  dovrebbero cedere il posto a pace e per­dono. La prosperità non deve essere solo appannaggio di qualche Paese, ma la ricchezza deve essere equamente distribuita.

I Paesi che sono usciti dal tunnel del comunismo devono mettersi a lavoro con spirito di sacrificio, co­me avvenne per i Paesi liberi dopo il conflitto mon­diale. È auspicabile che arrivino aiuti da altri Paesi. Un disordine economico ed una disperazione spi­rituale non giovano certo ad alcuno.

Non bisogna però dimenticare i Paesi del Terzo Mondo, che hanno problemi maggiori.

Le risorse possono venire col disarmo, con la vit­toria della pace sulla guerra. Ciò che va dato ai po­veri è la possibilità di lavorare, di vivere in un mondo più giusto.

Basta col prevalere della forza sulla ragione. È im­portante sancire il diritto della coscienza umana. Solo così ci può essere una società libera e giusta.

 

Numerosi spettri si aggirano: forme diverse di to­talitarismo, caduta di valori morali, fondamentali­smo religioso. Occorre perciò vegliare a che prevalgano “ i diritti della coscienza umana.”

Ma oltre al dualismo capitalismo/socialismo c'è un aspetto della società che deve essere considerato e che è presente - purtroppo - in ambedue le sfere eco-nomiche.

Si tratta dell'illecito ed immediato arricchimento.

Ci sono categorie di persone che sfuggono ad ogni controllo, o meglio che riescono a controllare i con­trollori e quindi agiscono indisturbate. Anzi il loro tem­po è speso a tessere trame per rapporti sociali.

Li troviamo alla ribalta con grossi personaggi e grosse operazioni.

Il guaio è che essi prosperano anche nei Paesi del­l'Est e la loro presenza è ancor più smaccata ed im­morale, perché la massa sta male e loro sono fra i pochissimi privilegiati. Il loro esempio di narcisismo scompiglia la coscienza di persone normali, opero­se. Quanti hanno preso la stessa strada proprio per allinearsi ad avere il plauso sociale, lo status symbol del benestante ?

Sembrano quasi seguire la constatazione della Bib­bia: “I ricchi hanno molti amici” {Proverbi, 14, 20).

Si riconoscono, si accroccano, si scambiano visi­te, si fanno in quattro per tenersi vicendevolmente a galla.

Se poi uno di loro cade in un infortunio di percor­so, si prendono le distanze con immediatezza.

E nessuno li riconosce.

 

Occorre molta pazienza, molta forza d'animo per non restare colpiti dal vento dannoso di chi ha ope­rato in modo immorale. Nel libro dei Salmi (48, 6) c'è un invito ad essere sereni : “ Perché impensierirmi nei giorni tristi, quando mi circonderà da ogni parte l'iniquità dei miei oppressori, che confidano nella lo­ro forza, menan vanto delle loro molte ricchezze?”

E più avanti è scritto: “ L'uomo fra gli onori non capisce più niente.”

A chi spetta eliminare tali soprusi? Arrestare tanti schiaffi dati a volti onesti, sani?

È compito delle istituzioni e delle nostre coscien­ze. Ma chi si muove?

La loro eliminazione è molto difficile, perché sono inseriti perfettamente nel contesto sociale; se infatti si trattasse di organizzazioni fuori legge il compito potrebbe essere forse più facile, scegliendo opportune strategie. Ma qui si tratta di sepolcri imbiancati e come tali più pericolosi.

 

La proprietà privata e l’ universale destinazione dei beni

Dio ha dato la terra a tutto il genere umano. Per produrre occorre lavorare; pertanto l’uomo che lavora la terra ne diventa padrone. Ma, come si può immaginare, c’è qualcuno che arriva in ritardo. Allora bisogna dargli la possibilità di avere la sua parte. Qui sorgono numerose variazioni sul tema.

Ho visto lungo le coste di Ceylon,ora Sri Lanka, povere baracche di indigeni che si nutrivano di cocco e di pesca (A.C. Viaggio a Mosca e in Oriente, pp.130, Napoli 1957) . Per loro il lavoro era semplice, ancestrale: arrampicarsi e cogliere frutti abbondanti.

La terra è stata sempre oggetto di proprietà privata, ma ci sono anche esempi di terre in comune (A.C. voce Comunismo, Enciclopedia Minerva vol.III,pag.319)

Contro l’accumulo irrazionale e l’egoismo esasperato troviamo nella Bibbia numerosi ammonimenti:

“Gli agnelli ti forniscono le vesti,

I capretti ti pagano il campo;

Il latte delle capre può bastare e nutrirti,

Al  necessario della tua famiglia,

Al mantenimento delle tue serve”(Proverbi, 27, 27)

La ricchezza delle Nazioni è ora basata più che sulle risorse sul know how

“Chi produce un oggetto, lo fa…perché altri  possano usarne dopo aver pagato il giusto prezzo, stabilito di comune accordo, mediante una libera trattativa”

Questo passo dà lo spunto a varie considerazioni:

1) Si stabilisce il principio secondo il quale il valore di un oggetto non è determinato dal lavoro in esso contenuto e che pertanto viene meno tutto il castello della teoria del plusvalore. Marx sosteneva  infatti che il maggior valore dell’oggetto era determinato dallo sfruttamento del lavoratore, che non aveva percepito il giusto salario.

2) Il giusto prezzo di cui si parla nell’Enciclica è un concetto introdotto da San Tommaso, che parla appunto di justum pretium.

3) C’è una obiettiva discordanza tra comune accordo e libera trattativa. A meno che non si voglia alludere  ad un comune accordo di produttori che firmano un cartello, altrimenti si va sempre all’oscillazione  fra domanda ed offerta.

4)La libera trattativa è su base morale, o si fonda solo su quella economica? Quali possibilità di intervento ha il più debole?

Purtroppo, il più debole soccombe in questa logica e così le economie del Terzo Mondo stentano  a decollare.

Pochi Paesi  ben attrezzati riescono a rifornire il resto del mondo. Ecco, questo è il dramma del ventesimo secolo. L’uomo – comunque- deve avere la “possibilità di sopravvivere”  I debiti dei Paesi poveri vanno annullati o ridotti. .Non si deve spingere alla disperazione intere popolazioni. “ Si chiede una concertazione mondiale per lo sviluppo”. Gli investi­menti in altri Paesi possono essere decisi più che su un metro di mero guadagno, sulla possibilità di of­frire lavoro. Secondo l'Enciclica i fattori di produ­zione attraverso i tempi sono stati: la terra, il capitale, oggi l'uomo stesso. E dall'armonico gruppo di uo­mini nasce l'impresa, coi suoi rischi e i suoi problemi.

Ma non ci sono imprese da per tutto. C'è ancora troppa gente che vive ai margini e che non vi può ac­cedere. Bisogna inoltre rilevare che quei due fattori di cui si diceva avanti - terra e capitale - sono ancora presenti in forme abnormi in varie parti del globo. Secondo me queste povertà di oggi sono peggiori di quelle dei decenni addietro: perché questi popoli sanno e vedono attraverso la televisione cos'è la so­cietà del benessere. E perciò la loro umiliazione è an­cora più profonda.

 

L'impegno è per una società in cui ci sia libertà di lavoro, di impresa e di partecipazione. L'esperienza socialista è venuta meno alle aspettative delle masse ed ha creato invece un capitalismo di Stato, con po­chi privilegiati.

Nell'impresa è riconosciuto il profìtto. Questo però non deve essere a discapito di chi vi presta lavoro. L'impresa è una comunità di uomini. Potremmo ag­giungere: è come una famiglia, con interessi ed af­fetti comuni.

L'imprenditore accorto sa bene che deve dare una sicurezza e continuità di lavoro, deve offrire tutta la sua dedizione per cogliere frutti a favore di tutti. An­che in questo caso l'egoismo non paga: “Il re giusto rialza lo Stato, l'uomo avaro lo distrugge”. (Proverbi 29, 4).

L'imprenditore deve avere sempre una parola di conforto verso il collaboratore che ha un momento difficile. Deve essere in grado di gioire con lui, deve essere pronto ad aiutarlo. Questo è  spirito azien­dale, che non è scritto in nessun contratto di lavoro, che esula dalle fredde analisi dei costi, ma che - lad­dove esiste - rappresenta il vero tesoro e il sicuro successo.

È una "catena di solidarietà" che si estende a tut­ti gli altri. Il mondo è attraversato dal "fenomeno del consumismo". Il Papa ritiene urgente” una gran­de opera educativa e culturale”. Ma i produttori sono quasi dei lupi famelici che si buttano sulle predi. Spes­so hanno impostato le loro ricerche di mercato sol­lecitando altri consumi ed appetiti.

Ne consegue una frustrazione di chi non può ac­cedere a tali richiami. E quindi scatta la molla per­versa del tutto e subito. Chi non ha dovrebbe crearsi una scala di priorità, senza buttarsi in una mischia edonistica.

Ma anche chi ha non sa limitarsi e il consumismo divora tutti. Esempi perniciosi sono droga e porno­grafia

 

L'uomo deve cercare di salvare l'ambiente, ma ancor più salvaguardare le condizioni morali di un 'au­tentica ecologia umana. per dove vive il tempo del lavoro e del riposo. La base di ogni struttura sociale è la famiglia. Giustamente è qui che riceve le prime attenzioni. È qui che è amato ed impara ad amare. È qui che si forma il suo carattere. La famiglia rappresenta la base d'una piramide ideale, dove interagiscono interessi senza egoismi, oc­casioni di lavoro e crescita umana per tutti.

 

STATO E CULTURA

 

II Papa rileva che nella Rerum novarum per la pri­ma volta la Chiesa presenta l'organizzazione della so­cietà secondo i tre poteri - legislativo, esecutivo e giudiziario. Bisogna ricordare che l'Enciclica porta la data del 1891. Ma ben 143 anni prima - nel 1748 - era apparso lo Spirito delle leggi di Charles Monte-squieu.

Perché fu necessario attendere un secolo e mezzo per recepire il nuovo che avrebbe modificato l'ossa­tura dei futuri Paesi democratici?

Papa Giovanni Paolo II ha invece impresso un nuovo ritmo all'impegno della Chiesa. Interpreta in tempi reali i numerosi cambiamenti, cerca la giusta via per il terzo millennio.

Il marxismo/leninismo, dove è andato al potere, ha alterato l'armonia dei tre poteri, conquista del co­stituzionalismo moderno. Apparentemente c'era il Partito che comandava, ma il vero deus ex machina di ogni attività era il capo del Partito. Le errate im­postazioni dei piani di sviluppo, il regime poliziesco e militaristico facevano vivere il popolo nella ristret­tezza e nell'incubo. La limitazione delle libertà an­dava dal divieto di muoversi all'interno del Paese a quello di uscire; dal divieto di associarsi a quello di praticare un culto

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La Chiesa è per la democrazia, unica garante del­le libertà dell'individuo.

Ci sono diritti che devono essere esplicitamente ri­conosciuti e tutelati:

1) Il diritto alla vita

2) Il diritto a vivere in una famiglia unita

3) Il diritto a cercare la verità e a vivere in essa

4) Il diritto a partecipare al lavoro

5) Il diritto a fondare una famiglia

Ma non tutti i Paesi riescono a comprendere e ga­rantire tali diritti. Scrive il Papa:  “ Le domande che si levano dalla società a volte non sono esaminate se­condo criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono. Simili deviazioni del costume po­litico col tempo generano sfiducia ed apatia con la conseguente diminuzione della partecipazione poli­tica e dello spirito civico in seno alla popolazione, che si sente danneggiata e delusa.”

Queste parole andrebbero a lungo meditate da quanti ritengono di rappresentare il  popolo, che si sente invece umiliato ed offeso. Lo Stato deve altre­sì garantire ai suoi membri il libero svolgimento d'at­tività economica.

Pertanto occorrono:

a) garanzia della libertà individuale

b) garanzia della proprietà

c) moneta stabile

d) servizi pubblici efficienti.

 

Lo Stato deve intervenire per avviare sani proces­si di sviluppo economico; ma la sua presenza deve essere limitata nel tempo per non interferire nella sfe­ra del singolo.

Lo Stato assistenziale non giova ad alcuno, è solo affetto da elefantiasi burocratica, con costi enormi.

 

C'è, nell'Enciclica , un appello alla cultura della Nazione, che rappresenta il patrimonio di valori che si tramandano. Ma questi valori devono confrontarsi con altre culture, in un armonico sviluppo.

Una crescita che stia attenta a chi ha più bisogno, che non porti alla violenza, alla guerra. "Mai più la guerra! " ha implorato il Papa durante gli avvenimen­ti drammatici del Golfo Persico. Ma ancora una volta la forza brutale ha avuto la prevalenza sulla ragione.

 

L'UOMO È LA VIA DELLA CHIESA

 

Desidero concludere queste note con quanto scri­ve il Papa verso la fine del messaggio: “ Sono persuaso, infatti, che le religioni oggi e doma-

ni avranno un ruolo preminente per la conservazio­ne della pace e per la costruzione di una società degna dell'uomo.

D'altra parte, la disponibilità al dialogo e alla col­laborazione vale per tutti gli uomini di buona volon­tà, e in particolare per le persone ed i gruppi che hanno una specifica responsabilità nel campo politi­co, economico e sociale, a livello sia nazionale che internazionale.”

Riflettiamo su questa chiusa evitando qualsiasi alibi.

Se riteniamo di essere uomini di buona volontà, dobbiamo metterci a lavorare con amore e sacrificio per un mondo in cui l'individuo possa trovare la sua dignità.

Pace a chi non ha pace

Gioia a chi non ha gioia

Pane a chi non ha pane

 

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