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N. 12 - Dicembre 2008 (XLIII)

UN CASTELLO DI PERIFERIA
La tenuta della Cecchignola tra passato e presente

di Leila Tavi

 

Molti romani associano il nome Cecchignola all’insediamento militare ubicato a sud della capitale, originariamente sorto per alloggiare nel 1937 gli operai impegnati nella costruzione dell’Esposizione Universale di Roma, che in seguito fu adibito a sede dell’Esercito.

 

Non tutti invece sanno che, a pochi metri dalle mura di cinta della città militare, è possibile ancora passeggiare in un lembo verde di Agro Romano, dove vivono indisturbati volpi, ricci, picchi e altri animali.

 

 

In questo pezzo di terra ancora libero dall’asfalto, offuscato dalle costruzioni a gradoni del quartiere residenziale Fonte Meravigliosa da una parte e dai prefabbricati di quello popolare Cecchignola Sud dall’altra, si trova un castello con la sua incredibile storia millenaria.

 

Già in epoca romana sorse in quest’area una villa repubblicana nel II-I sec. a. C., i cui ruderi affiorarono nel 1939, durante i lavori per la costruzione del Genio Militare. Gli scavi della Soprintendenza in quello stesso anno si conclusero con il rinterro dei ruderi; un emblema musivo con gatto, prelevato durante i lavori, si trova nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme.

 

Una testimonianza della presenza romana nella tenuta è giunta fino ai nostri giorni e si può ritrovare nella base della torre principale del castello e che, originariamente, era parte integrante di un sistema di fortificazione di tipo circolare.

 

 

La torre è conservata per due terzi dell’altezza originaria  e, oltre alla base romana, presenta ancora segni riconoscibili di tecniche architettoniche del XIII, del XVIII e del XIX secolo.

 

Nella bolla di Onorio III del 1217, che il papa volle in favore dei monaci di san Alessio di Roma, la tenuta è menzionata come Cicomola; la bolla papale è citata dal Nerini nel suo De templo et coenobio, con riferimento ai monaci che possedevano “duas pedicus terrae in Piliotti, vel Cicomola”.

 

Inoltre il Nerini cita altri due documenti del 1349 e del 1377; nel primo si ritrova un “casale quod vocatur la Cicognola” come confinante del casale Schiachi, mentre nel secondo è scritto che Bartolomeo abate di san Alessio diede in affitto a Nucco di Pietro Gibelli “tertiam partem cujusdam casalis dicti monasterii quod vocatur la Cicogniola”.

 

Nel 1458 la proprietà fu venduta dalla famiglia Capizucchi al cardinale Bessarione, il cui maggiordomo l’affittò pochi anni dopo, nel 1463 al figlio di Pietro Casali e a Giovanni de Foschi; nel 1467 andò in eredità alla cappella di Sant’Eugenio nella Basilica dei Dodici Apostoli di Roma, che, a sua volta, la rivendette nel 1477 a Pietro Margani. Nel testamento del cardinale la tenuta è citata come “Cecchignola nova extra portam Appii”.

 

 

In Descrizione di Roma e dell’agro romano anche il gesuita Francesco Eschinardi cita la proprietà denominata “nuova” del Priorato di Malta di Roma, confinante con la Cecchignola “vecchia” della famiglia Cenci, così come la stessa distinzione è presente in Memorie, leggi, ed osservazioni sulle campagne e sull'annona di Roma di Monsignor Maria Nicolai.

 

Dopo varie vicissitudini la tenuta divenne di proprietà dei Barberini e, successivamente, del cardinale Scipione Caffarelli Borghese, nipote del papa regnante Paolo V. Il pontefice bonificò la zona, fece allestire un parco nel fosso della Cecchignola, dove già il cardinale Bessarione aveva fatto costruire, alla fine del XV secolo, una peschiera di forma ovale, alimentata da una sorgente di origine vulcanica.

 

Alla fine del XVII secolo la Cecchignola passò al cardinale Benedetto Pamphilj, con una grande passione per l’arte venatoria, che coltivò fino all’età di cinquant’anni; nella villa di San Pancrazio si svolgevano battute di caccia  a cui partecipavano gli amici del cardinale e suo fratello Giovanni Battista, duca di Carpineto.

 

Nel saggio sulla vita di Benedetto Pamphilj di Lina Montalto si trova una descrizione della tenuta della Cecchignola: “Essa era tipicamente una tenuta da caccia, con allevamento di anatre e di piccioni, nonché di puledri, particolarmente cari ai signori del tempo che vantavano ciascuno la propria razza”.

 

Nel 1678 Benedetto Pamphilj fu insignito da papa Innocenzo XI del titolo di Gran Priore dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme e, nel 1681, ottenne la nomina a cardinale; gli storici considerano tale nomina una manifestazione da parte di Innocenzo XI del sentimento di riconoscenza nei confronti del prozio di Benedetto, papa Innocenzo X, per averlo nominato, a suo tempo, cardinale.

 

Nonostante la profonda stima per la famiglia Pamphilj, Innocenzo XI disapprovava le stravaganti compagnie che Benedetto frequentava nella residenza della Cecchignola,  ancor più considerava riprovevoligli spettacoli che, proprio in quella tenuta, il cardinale organizzava.

 

Gli storici della musica considerano Benedetto Pamphilj un grande mecenate della fine del Seicento; il cardinale fu inoltre membro dell’Accademia dell’Arcadia con lo pseudonimo di Fenicio Larisseo. 

Nel castello della Cecchignola, durante gli anni in cui vi abitò il cardinale Pamphilj, recitò l’attore Tiberio Fiorilli, interprete della maschera di Scaramouche, che tanta fama ebbe nella Parigi di Molière; Fiorilli ottenne dal 1668 al 1670 il permesso di poter lavorare in Italia con il Teatro Mobile di Casa Panfili. 

Benedetto aveva una vera passione per la musica, fu il librettista di alcune opere di Alessandro Scarlatti e Georg Friedrich Händel. 

Del giovane Alessandro Scarlatti fu eseguito nel 1685 alla Cecchignola l’Oratorio a tre di S. Maria Maddalena, con grande risonanza dentro e fuori Roma; il libretto fu scritto con molta probabilità dallo stesso cardinale Pamphilj. 

L’oratorio era una forma di “intrattenimento” diffusa nella Roma di quegli anni proprio a causa dei divieti pontifici, che imponevano pesanti restrizioni all’attività teatrale. 

Il cardinale diede ospitalità e finanziò le opere di diversi musicisti dell’epoca quali Arcangelo Corelli, Giovanni Lorenzo Lulier (anche detto Giovannino del Violone), Alessandro Melani, Antonio Maria Bononcini e Carlo Francesco Cesarini.  

Nel suo saggio su Corelli Peter Allsop fa riferimento a una carta che proverebbe il pagamento di tre scudi al famoso violinista Arcangelo Corelli per un’esibizione nella tenuta della Cecchignola nell’ottobre del 1685; una rarità, considerata la vaghezza con cui erano redatti i documenti relativi agli spettacoli organizzati in quell’epoca, in cui gli artisti spesso non erano neanche menzionati. 

Il violinista, in segno di riconoscenza nei confronti del cardinale, dedicò al mecenate romano la sua seconda opera Sonate da camera a 3, come testimoniato dalla lettera del musicista indirizzata a Benedetto Pamphilj il 9 luglio 1685. 

Il 31 luglio 1766 la tenuta denominata “vecchia”, un tempo appartenuta alla famiglia Cenci, fu eretta in marchesato a favore di Carlo Ambrogio Lepri, come riportato nel saggio di Mario Tosi; nel 1770 la tenuta “nuova” divenne proprietà del Priorato di Roma, ma il cardinale Fabrizio Ruffo volle concederla in enfiteusi ai Sacri Palazzi Apostolici.

 

Lontano da Roma e ormai vecchio, il cardinale Ruffo affidò a uno dei suoi amministratori fidati, il cardinale De Gregori, con una procura del 10 agosto 1821, la direzione dei suoi affari, tra cui quelli delle sue tenute a Roma.

 

L’8 maggio 1823 De Gregori si recò alla Cecchignola, accompagnato dal fattore Venanzio Cruciani, per controllare l’andamento della tenuta nel periodo in cui si faceva la tosa delle pecore. Il cardinale Ruffo era preoccupato per le gravi condizioni economiche in cui versava l’ordine Gerosolimitano, di cui era Gran Priore; in più aveva contratto un debito di ben centomila scudi con il Banco di Santo Spirito.

 

Era perciò di vitale importanza per il cardinale Ruffo, impossibilitato a recarsi di persona a Roma, sapere dai suoi fattori in quali condizioni erano "le sue masserie, le pecore, gli agnelli e la rimessa a una staccionata della Cecchignola", come citato da Mario Casaburi nel suo saggio biografico sul cardinale.

 

La gestione della tenuta della Cecchignola da parte del Gran Priore ha avuto un periodo di pausa con la discesa dell’esercito francese in Italia; il castello, in quel momento in enfiteusi ai Braschi, fu venduto, a seguito della proclamazione della Repubblica romana, per 20.401,87 scudi alla compagnia Sicubert-Valadier-Durel, insieme alle tenute di Pisciarello e Tormarancia.

 

 

Con la sconfitta di Napoleone e il ritorno del potere temporale a Roma, la tenuta passò dal Gran Priore a papa Leone XII, come certificato da un documento autografo del 1824 ritrovato da Dario Del Bufalo nell’Archivio Segreto Vaticano.

 

Nel Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica alla voce dedicata a Leone XII si legge: “Finalmente diremo che Leone XII non fece mai villeggiatura, […]; fu bensì solito talvolta recarsi alla Cecchignola a pranzo, con qualche famigliare o ministro, il perché ne daremo cenno”.

 

Nel 1831 la Camera Apostolica alienò diversi beni tra cui Cecchignola Priorato, che fu acquistato da Alessandro Torlonia l’anno successivo per 35.000 scudi.

 

Di quegli anni è l’aneddoto secondo cui Giuseppe Marafini, capoccio della Cecchignola, sarebbe scampato, per ben diciotto anni, alle epidemie diffuse allora nella campagna romana solo grazie all’accortezza di far chiudere la finestra della sua stanza prima del tramonto e di dormire avvolto tra due pelli di pecora.

 

Durante i primi anni di Roma capitale, dopo l’unità d’Italia, la tenuta era nota come meet di caccia, insieme a Cento Celle, Monte Mario, Cecilia Metella e Torre Nuova. Ugo Pesci racconta che a quei tempi la battuta di caccia della Cecchignola era uno spettacolo anche per chi non vi prendeva parte: “era gradito spettacolo il veder raccogliersi i cavalieri rosso vestiti, con la muta dei fox hunters, intorno al master, e vederli partire al galoppo, seguendoli poi con l’occhio facendo colazione sotto la tenda di Spillmann”.

 

Spillmann era la personificazione del nobile decadente, amico di Gabriele D’Annunzio che, a sua volta cita la tenuta della Cecchignola nei suoi scritti giornalistici tra il 1882 e il 1888 e nelle sue Cronache mondane: “15 dicembre - …Ma, Dio mio, sei ore di equitazione! Il meet era alla Cecchignola; il tempo bellissimo, d’un’immensa dolcezza sulla campagna morta e muta; grande il numero dei cavalieri; vivace il buon umore. Vitlziputzli, a quell’aria e a quel sole, aveva una gran voglia di danzare”.

 

Ancora una descrizione di D’Annunzio della campagna intorno alla tenuta: “Dove sarà il primo appuntamento? Alla Cecchignola? Quando il tempo è bello, quella campagna morta e muta si copre d’un’immensa dolcezza e assume un colorito mirabile”.

 

Negli anni a venire la tenuta fu progressivamente abbandonata e già negli anni Trenta del XX secolo il tempo e i rampicanti avevano cancellato i fasti di una volta.

 

Oggi il castello è sede di varie fondazioni e dell’Università dei Marmorari, antica corporazione sorta nel 1406, a scopo di mutuo soccorso, in occasione dello spostamento del papa ad Avignone e della conseguente perdita della committenza papale.

 

Qui ha deciso di vivere l’arch. Dario Del Bufalo, che con dedizione e competenza ha progettato e diretto i lavori di restauro del complesso architettonico, facendo scoprire e  rivivere ai Romani un luogo, per troppo tempo dimenticato, e che racchiude in sé il fascino della Roma antica, medievale, rinascimentale, barocca e ottocentesca.

 

Dario Del Bufalo è docente dal 1997 alla Facoltà di Beni culturali dell’Università degli studi di Lecce in Storia delle tecniche architettoniche e dei materiali; direttore dal 2001 del Laboratorio provinciale di restauro di Viterbo; è stato capo di segreteria dell’on. Vittorio Sgarbi, sottosegretario ai Beni culturali nel 2° governo Berlusconi; è autore di numerose pubblicazioni sui marmi antichi e sui materiali naturali; ha partecipato a spedizioni archeologiche in Africa, in Medio ed Estremo Oriente.

 

Lo incontriamo in questa sua peculiare veste di castellano del XXI secolo, quando, dall’isolato parcheggio di via Vera Vassalle, dopo avere costeggiato un campo da calcio disastrato, ci incamminiamo verso l’ingresso del castello e, quasi inconsapevolmente, ci troviamo di fronte a una vaghezza temporale, che solo il contatto con gli oggetti e i luoghi storici, attraverso un’osmosi tra passato e presente e nell’alternanza continua tra prossimità e lontananza, sa ridestare.

 

IN: Ci può parlare del progetto di restauro del Castello?

 

DB: Nasce dalla conoscenza di questi luoghi, da un’assidua frequentazione, dalla disperazione di vedere qualcosa di così bello che si stava deteriorando. Conosco questa zona da quando ero ragazzo, abbiamo una proprietà di famiglia qui vicino. Prima venivo spesso a cavallo fino a qui, (sorride), mi piaceva fare il “foxwatching”; anche adesso mi capita di vedere qualche volta una volpe che si aggira nel cortile e non di notte, ma in pieno mattino, alla luce del sole. L'idea di rimettere a posto il castello sarebbe venuta a chiunque, a qualsiasi romano che conosca l'area, il problema è che non tanti la conoscono. La Roma suburbana è ricca di luoghi come questo; la serie di torri che, in epoca romana, si sviluppava in modo circolare, tra cui anche Tor Carbone e Tor Pilocta, ovvero l’odierna Tor Pagnotta, costituiva la prima cinta turrita di Roma di una serie di torri posizionate a cerchi concentrici sul territorio. Attraverso questo sistema di difesa era possibile far giungere la notizia di un evento velocemente dal perimetro esterno fino al centro della città. Uno dei punti strategici era Torre Astura, sulla costa, a dieci chilometri da Nettuno. Il vero problema è che la Soprintendenza non fa niente; ci sono troppo vincoli burocratici, clientelismi di ditte, sempre le stesse, che, senza un equo sistema meritocratico, ottengono gli appalti con estrema facilità; un’orribile mafia istituzionalizzata.

 

 

Qui nella tenuta della Cecchignola la torre andava degradando, l’edera aveva esploso l’arco disegnato dal Vasanzio e nessuno faceva niente. Da proprietà dei Torlonia era passata negli anni Settanta al consorzio Fonte Meravigliosa. Il castello in quegli anni era diventato una rimessa di cavalli utilizzati nel cinema e addestrati da Alfredo Danesi, una nota controfigura che ha lavorato in produzioni come Quo Vadis e Ben Hur. L’attuale sala convegni era impiegata come stalla; la colonna romana che si trova al suo interno porta ancora i segni degli zoccoli dei cavalli, senza parlare della mangiatoia in cemento costruita nel cortile laterale. Poi è arrivata negli anni Novanta la procedura d’esproprio da parte del Comune, ma per i restauri non era stato previsto nessun investimento. L’iter che ha preceduto la proposta d’acquisto è stato caratterizzato da una serie di incontri con il Comune, la XII Circoscrizione, il Sindaco, gli assessori, le associazioni La vigna e Le città di Roma. Fin dal principio è stata garantita al pubblico la possibilità di accedere alla biblioteca, sono state organizzate feste; è stata data la possibilità alle associazioni di quartiere di utilizzare la sala consiliare per le riunioni, così, alla fine, il Comune ha deciso di far decadere l’esproprio, poi sono seguiti una serie di accordi con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Attualmente, come sede dell’Università dei marmorari, un’ala del castello è stata adibita ad alloggi per accogliere studenti e visiting professor. Intendiamo riportare anche i giardini e la peschiera, costruita ai tempi del cardinal Bessarione, al loro antico splendore. Per quanto riguarda l’apertura al pubblico e le visite guidate, le condizioni che offriamo sono migliori di quanto la legge prescrive. Non posso negare però che, durante i lavori di restauro, sono sorti problemi nei rapporti con la Soprintendenza. Abbiamo scelto di non usufruire dei finanziamenti pubblici per ragioni di buon senso; le ditte convenzionate con la Soprintendenza avevano stimato una spesa di 750.000 euro per il restauro delle coperture, a fronte della restituzione della metà, ovvero 375.000 euro. Senza i finanziamenti pubblici abbiamo realizzato lo stesso un restauro conservativo delle coperture con l’impiego di 250.000 euro.

 

Diamo lo stesso la sala in prestito per le riunioni di quartiere, invece di due visite mensili previste dall’attuale normativa, apriamo il castello almeno quattro volte ogni mese. Abbiamo ricevuto elogi da parte di Fulco Pratesi, Folco Quilici, Vittorio Sgarbi, Adriano La Regina sul modus operandi. Il progetto di restauro è iniziato nel 2004 e si è concluso due anni dopo, nel 2006; non possiamo che essere orgogliosi di aver riportato in vita un posto le cui mura trasudano di storia. Di qui passarono molte armate crociate, perciò il castello fu sede dei Templari, dei Cavalieri dell’Ordine di Malta e dei cavalieri gerosolimitani; fu l’unica villa papale dentro Roma. La torre si stava aprendo in due a causa del peso del serbatoio d’acqua fatto posizionare lì da Alessandro Torlonia nel 1891. Ai primi del ‘900 il castello fu lasciato in uno stato di abbandono, il laghetto era acquitrinoso e abitato da anguille. Con un Decreto del 1938, per altro ancora in vigore, Mussolini ha fatto deviare dal nostro laghetto, essiccandolo, migliaia di litri d’acqua potabile, buona quanto l’acqua Egeria, nel laghetto dell’Eur; nella gestione di questo sistema idrico l’Ente Eur subentrò all’Esposizione universale; l’ente è stato trasformato nel 2000 in società per azioni, l’Eur SPA. A parole il fascismo è stato rinnegato, vietato dalla Costituzione, però nei fatti abbiamo leggi del periodo fascista ancora vigenti. Durante i restauri, ma soprattutto prima, sono stati ritrovati bossoli, cartucce, camice, gavette del periodo della Seconda Guerra Mondiale; fu prima un presidio nazista e poi americano.

 

IN: Nell’architettura e nell’urbanistica della XII Circoscrizione ci sono testimonianze dei Del Bufalo come architetti da tre generazioni, cosa ne pensa dell’attuale sviluppo architettonico e urbanistico della XII?

 

DB: Mio nonno, l’ing. Edmondo Del Bufalo, ha progettato la Cristoforo Colombo e, a tal proposito, mi piace precisare che al tempo mio nonno intendeva operare nel migliore dei modi e, secondo il suo progetto, sostenuto da Giuseppe Bottai, la via doveva tagliare in due la proprietà di un gerarca, che si trovava tra l’attuale Casa del Jazz e l'ex sede dell'Ambasciata tedesca; mio nonno fu minacciato dal gerarca, della questione venne messo al corrente il duce, che convocò mio nonno e gli diede ragione, in base al principio per cui l’interesse del popolo prevale su qualsiasi interesse privato, fosse anche quello di un suo gerarca. Mio padre poi ha progettato i grattacieli vicino al Fungo, la sede della Nato,… Per tornare ai nostri giorni, invece, posso dirti che la viabilità è pessima, ma in termini di espansione, di futuribilità questo municipio lascia spazio alla creatività. Gli amministratori locali gestiscono però il denaro pubblico in modo pessimo, basti pensare ai milioni di euro per oneri di urbanizzazione per ogni metro cubo; in Francia invece tutto funziona in modo diverso: tu costruttore devi versare consistenti somme di denaro al comune, che però si fa carico dell’urbanizzazione e dei servizi e li realizza in tempi rapidi, non come qui da noi, dove non vedi altro che baraccopoli, cantieri perenni e prostituzione, ma delle strade neanche l’ombra.

 

IN: Lei è stato capo di segreteria di Vittorio Sgarbi nel II governo Berlusconi, quali interventi dovrebbero essere necessari per la tutela del patrimonio culturale in Italia oggi?

 

DB: In questo mi trovi non statalista, ma stalinista (ride), nel senso che un’efficace funzione di controllo è fondamentale, sia per quanto riguarda i beni demaniali, che i beni privati vincolati. Bisogna che lo Stato eserciti la sua funzione di controllo e obblighi a intervenire ex Legge n.1089/39, senza arrivare a eccessi, come negli anni ’70, quando a Dino De Laurentiis crollò il tetto di Villa Catena per incuria e fu arrestato il suo amministratore. Lo Stato deve imporre la tutela e la conservazione dei beni culturali, anche e soprattutto, quando sono in mano a privati. Hai visto la torre romana a pochi metri da qui, sulla tenuta Torlonia? Sta crollando e nessuno fa nulla, ci passano le pecore, che ogni tanto sferrano dei bei calci, ci passano con il trattore. La soluzione sarebbe una forma di tutela in gemellaggio pubblico e privato. Il privato dovrebbe essere “forzato”, proprio in virtù di tale rapporto con l'amministrazione, a fare. Ề inconcepibile che un privato abbia adibito un sacelletto romano a wc per la figlia a pochi passi dalla Tomba di Cecilia Metella, dovrebbe essere sottoposto a processo penale per aver variato la destinazione d'uso, ma soprattutto per aver vilipeso un monumento antico. Il buon senso dovrebbe essere il principio ispiratore di ogni normativa in materia. La forza dello Stato dovrebbe prevalere sull’arroganza del privato; un altro principio ispiratore dovrebbe essere quello di fare le  cose senza spendere troppo, ma nel miglior modo possibile.

 

IN: Gli abitanti del quartiere hanno accolto in modo favorevole il passaggio di proprietà della tenuta dal consorzio Fonte Meravigliosa alla nuova proprietà, anche in considerazione della riqualificazione del territorio con il restauro del castello e con l’uso pubblico di alcune parti di esso: biblioteca e giardini. Quali sono state le difficoltà incontrate?

 

DB: In primis degrado ambientale e lungaggini burocratiche. Ti racconto un episodio che ti farà capire meglio a cosa mi riferisco: con l’inizio dei restauri nell’area dove si trovava originariamente la peschiera abbiamo trovato delle coltivazioni abusive di ortaggi trattati con i pesticidi della peggior specie; all’ingresso di via della Cecchignoletta erano stanziate alcune prostitute; spesso ritrovavamo carcasse di auto rubate e bruciate. Una volta per farne portare via una ho dovuto, dopo ripetuti solleciti alle autorità pubbliche, piazzarla sopra i cassonetti sulla via, solo allora la polizia si è mossa; gli agenti erano increduli di come i ladri avessero potuto sistemare l’auto sul cassonetto per poi darle fuoco.

 

IN: Della questione degli espropri di beni culturali cosa ne pensa?

 

DB: Nel caso della tenuta della Cecchignola l’esproprio è stato ritirato, ma il vincolo paesaggistico e architettonico è stato mantenuto anche senza imposizioni di legge, così come l’uso civico e la possibilità agli abitanti del quartiere di accedere alla biblioteca o, una volta allestiti, ai giardini. Poi facciamo delle iniziative per rendere il castello anche luogo di aggregazione sociale. In occasione della festa di Halloween abbiamo organizzato una festa di beneficenza in collaborazione con l’AVIS, il Comune di Roma e la Regione Lazio e a cui hanno partecipato più 1.000 bambini. Guarda invece in che stato è ridotta la tenuta della Cervelletta, in particolare il castello di Tor Cervara, l’esproprio è avvenuto da più di dieci anni e da allora è rimasto tutto come era, non è stato fatto nessun restauro, nessuna iniziativa per gli abitanti del quartiere, anche perché non ci sono i fondi per farlo. La particolarità tutta romana di una simile concentricità di torri e presidi, di castra romani andrebbe preservata, bisognerebbe fare tutto il possibile per non lasciare che si cancellino definitivamente le tracce giunte fino a noi.

 

IN: Un suo parere invece sul nuovo progetto del Comune di Roma per alloggi in housing sociale che prevede l’edificazione di migliaia di ettari di Agro Romano, tra cui anche Porta Medaglia?

 

DB: Se fossero veramente tutte costruzioni di housing sociale, allora sarei d’accordo, anche se ciò comporterebbe la perdita di ettari di Agro Romano; non possiamo negare che ci sia un’esigenza di edilizia popolare, soprattutto in questo momento, invece, come al solito, si tratta di edilizia convenzionata prevista dalla l.167: il Comune espropria solo il terreno, ma è il costruttore privato a edificare e non si tratta certo di edilizia popolare, ma di livello abbastanza buono al minimo del prezzo, che finisce in mano a persone che non hanno effettivamente necessità, i figli dei soliti noti.

 

IN: Questo castello ha visto passare gran parte della storia d’Italia: antichi romani, crociati, cardinali, addirittura due papi, come ci si sente, da romano, a vivere in un posto così?

 

DB: Da romano è una grande soddisfazione averlo conosciuto distrutto e poterci vivere una volta riportato al suo splendore iniziale. Ề un forte senso di appartenenza e di riscatto; un moto di ribellione che mi ha portato a iniziare un'impresa che sembrava impossibile. Lo ritengo un grande privilegio vivere qui e non solo perché è un castello, anche perché questa è una zona verde, vivibile, (sorride) a parte le partite di pallone. Questa zona è stata “miracolata”, è scampata all'invaso architettonico. Poi qui, nella tenuta, puoi trovare la storia stratificata e “incrostata” , tutto è legato a un filo conduttore, a un unico antico presidio militare romano, che si è trasformato in presidio agricolo familiare nel medioevo per proteggere dalle incursioni saracene, poi c’è stato il periodo dei papi e delle grandi famiglie romane. Questa stratificazione storica è la magia di questo posto e io, da romano che ama architettura e la città, sono orgoglioso di averla scoperta, capita, studiata e poi vissuta.

 

IN: In conclusione ci permette di farle una domanda che ci sta a cuore? Suo padre, l’ing. Luciano Del Bufalo nel 1976 ha costituito una società chiamata “Solar System Construction” per la ricerca sull’energia solare. Ce ne vuole parlare? Perché in Italia è così difficile investire in fonti energetiche alternative, mentre ci sono paesi come la Germania che ha programmato di ricavare in tempi brevi ben il 20% dell’energia dal sole?

 

DB: Non so dare una risposta razionale a questa domanda. Nel 1973 c’era la crisi petrolifera, poi quando si è risolta non c’è stato più nessun interesse a voler investire nel solare. Bisogna fare attenzione però al fotovoltaico dalla Cina, si inquina più per produrlo di quanto beneficio non inquinante per il suo uso si possa trarre. Ề solo una beffa quella dell’adeguamento alla legge; spesso i pannelli sono concepiti solo per il citofono. Invece un effettivo utilizzo del solare per l’acqua calda, non sarebbe solo ecologico, ma un modo per risparmiare soldi. Il boiler è inquinante, consuma elettricità. Passare al solare sarebbe un modo per rendersi autonomi, anche se in minima parte, dalle fonti energetiche che provengono dall’estero. Ề difficile farsene una ragione, proprio come se dovessimo spiegare a un Marziano perché in Italia non si utilizza l’energia solare quando siamo sprovvisti di altre fonti di energia, o perché non valorizziamo i beni culturali, visto che siamo un paese d’arte, cultura e turismo.

Sì, mio padre si è interessato della faccenda. Aveva fatto delle ricerche sul solare. Perché in Italia non hanno investito nel solare? Beh, è una delle questioni senza risposta è come se ti chiedessi perché lo Stato italiano non recupera e investe nei beni culturali, che è la nostra unica risorsa naturale. Non so risponderti come non saprei risponderti sulla strage di Ustica o sulla strage di Bologna. Nel recupero del castello non ho potuto mettere i pannelli per una questione di vincolo architettonico, ma ho adoperato un approccio che guarda all'ecologia. Ho passato le serpentine a basso calore sotto il pavimento per riscaldare rispettando il più possibile il luogo, senza entrare nelle stupidaggini della demotica, che consumano molto e avrebbero snaturato il posto. Ritornando a mio padre, si è interessato della faccenda nel ‘73 perché c'era la crisi del petrolio e la paura di rimanere senza energia, aveva fatto diventare di moda parlare del solare; diceva sempre che anche un pannello di plastica o di rame, con un vetro sopra, in Italia avrebbe potuto riscaldare l'acqua di cui necessita una casa, ma ancora oggi non viene fatto. In seguito è sceso il prezzo del petrolio e non se n'è fatto più niente. Ề vero, la Germania, che ha meno giorni di sole l'anno dell'Italia, ha più energia solare. Pensa che in Germania quando arriveranno al 20% estrarranno in realtà solo il 10% di energia, in Italia invece se si installassero i pannelli il 20% sarebbe effettivo proprio per la quantità di sole che possiamo permetterci. Negli Stati Uniti alcuni paesi sono autosufficienti grazie al sole; in alcune zone, il solare ha preso molto piede, con un notevole risparmio di energia; alcuni paesi del Nevada ci fanno tutto, in Arizona esiste un villaggio, chiamato Arcosanti, che è completamente solare.

 

IN: Poi non c'è nemmeno la sensibilità di costruire le nuove case con la giusta esposizione.

 

DB: Aspetta. Noi stiamo parlando di energia ricavata, ma se parliamo di energia passiva è diverso. La casa può essere usata come collettore naturale, se giustamente orientata. Ma in Italia non prende piede e il perché è sempre un mistero. Mio padre costruì una casa che andava ad energia solare bella e funzionale, si trova ancora oggi all’interno dell’Università degli studi dell’Aquila, ma a parte questo prototipo non se n'è fatto più niente. In Italia è un’assurdità che più dell'80% delle persone fa l'acqua calda con il boiler elettrico. Per produrre energia si usano motori che producono calore, che viene disperso e con esso viene dispersa anche parte dell'energia prodotta e che arriva sotto forma di corrente nelle nostre case e noi la ritrasformiamo in calore, con un ulteriore perdita dovuta alla resistenza. Alla fine ci costa tanto. Poi l'Italia vuole buttarsi nel fotovoltaico. In realtà il fotovoltaico è una farsa. Le celle in silicio amorfo producono poca energia con un rendimento massimo del 12% e ci vogliono grandi superfici per avere un ricavo apprezzabile. In più non è chiaro quanto durino le celle, se sia necessario cambiarle già dopo pochi anni o, comunque, se la loro capacità produttiva si impoverisca con il passare del tempo. Ma questo non è importante per coloro che producono energia e che hanno stipulato contratti di esclusiva con aziende di produzione di pannelli fotovoltaici; queste aziende hanno fatto sì che gli incentivi e gli obblighi statali fossero impiegati in quella spesa che poi, a lungo termine, porterà ad un non funzionamento dell'impianto e, nel frattempo, il vantaggio che ne possiamo ricavare è minimo in quanto a produzione di energia in surplus; la legge vigente obbliga il costruttore a un impianto sottodimensionato rispetto a qualsiasi esigenza del condominio: al massimo avremo il citofono, l’apricancello e la lucetta per il guardiano notturno alimentati a energia solare. Se non hai luce diurna, poi i pannelli al tramonto non possono essere utilizzati, proprio quando tutti rientrano in casa e accendono gli elettrodomestici; con un solare così concepito non si ha un guadagno enorme e il risultato è ridicolo. Dovremmo puntare sul solare seriamente e su ciò che è possibile reperire dalla natura. Non possiamo dipendere dal gas prima algerino, attraverso Hammamet, e poi russo o dal petrolio degli sceicchi arabi. Se dicono tagliamo il petrolio, allora rispondo: “Torniamo al medioevo” e qui ho tutto ciò che mi occorre: il sole per l'acqua calda, la luce con il giusto orientamento della casa, l'orto e gli alberi da frutto. Ho quasi tutto in questo castello.

 

Foto di: Pierluigi De Santis

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

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Anna Lia Bonella, Augusto Pompeo, Manola Ida Venzo [a cura di], Roma fra la Restaurazione e l'elezione di Pio IX. Amministrazione, economia, società e cultura, Roma-Friburgo-Vienna, Herder, 1997

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