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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 156 / DICEMBRE 2020 (CLXXXVII)


filosofia & religione

RICORDANDO CARLO MICHELSTAEDTER
LA VERITÀ SULLA prematura MORTE del FILOSOFO E POETA
goriziano

di Giovanna D’Arbitrio

 

Gorizia, 17 ottobre 1910: Carlo Michelstaedter, un filosofo italiano di 23 anni si suicida. Nel corso dei decenni successivi il nome di questo giovane geniale e poliedrico a poco a poco diventa noto in Italia e all’estero. E leggendo varie biografie della sua vita, si notano ben poche differenze sui punti essenziali, ma tutte concordano nell’accettare la tesi del suicidio predeterminato, ben diversa è quella sostenuta nel libro 110. Carlo Michelstaedter e il tempo della Verità, a firma di Chiara Pradella che si pone l’obiettivo di dimostrare l’infinito amore di Carlo per la vita attraverso un’accurata indagine per far luce sulla sua morte.

 

Prima di parlare del suddetto testo, sembra opportuno riassumere in breve la vita del filosofo: nato nel 1887 a Gorizia, allora città dell’impero austro-ungarico, da un’agiata famiglia di origine ebraica, dopo la scuola primaria, s’iscrisse allo Staatsgymnasium e in quegli anni conobbe Enrico Mreule e Nino Paternolli, i suoi più cari amici. Decise poi di iscriversi all’Istituto di Studi Superiori a Firenze dove conobbe Vincenzo Arangio Ruiz e Gaetano Chiavacci, suoi futuri editori e s’innamorò prima della giovane russa, Nadia Baraden, e in seguito di Argia Cassini (che morirà poi in un lager).

 

Strinse molte amicizie, si imbevve della cultura classica e studiò filosofi antichi e moderni, mentre disegnava e scriveva. Per le vacanze tornava sempre a Gorizia e lì s’incontrava con i più cari amici nella soffitta del Palazzo Paternolli. Poi cominciarono i lutti: prima il suicidio di suo fratello negli USA, poi quello di Nadia. Tutto ciò lo indurrà forse a riflettere sempre più sui temi dell’esistenza e per la tesi di laurea scelse il tema della persuasione e della retorica partendo da Socrate e da Platone, la portò a termine ma, dopo un litigio con la madre, si uccise con un colpo della pistola sottratta all’amico amico Enrico Mreule.

 

Tornando a libro di Chiara Pradella, riportiamo la significativa citazione iniziale: «Il canto solenne e dolce mi parlava al cuore. Mi commuoveva e mi diceva che non tutto è ipocrisia, che c’è ancora innocenza e spontaneità e che esiste una tregua per gli uomini, travagliati dalle lotte, e che questa tregua sarà nell’amore che ci circonda e che ci fa dimenticare le amarezze della vita (C. Michelstaedter)». Seguono poi la Prefazione di Andrea Comincini, filosofo e scrittore, e l’introduzione della stessa autrice che cercano di smantellare le precedenti tesi del suicidio predeterminato di Michelstaedter, in un’appassionata ricerca della Verità.

 

Sulla quarta di copertina si legge quanto segue: «Questo libro nasce per celebrare il 110° anno dalla morte del filosofo e poeta goriziano Carlo Michelstaedter, avvenuta il 17 ottobre 1910. Da quella tragica data ne è passata, di acqua sotto i ponti, così come numerose sono state le versioni che si sono succedute sulla sua morte: per il senso comune, e fino a prova contraria, avvenuta per suicidio, con due colpi d’arma da fuoco che il filosofo si è sparato alla tempia; partiti proprio da quella rivoltella sottratta all’amico ‘Rico Mreule prima che salpasse per l’Argentina. Nei testi di Michelstaedter non c’è traccia di predeterminazione al gesto fatale, come invece ha affermato Giovanni Papini parlando di “suicidio metafisico”. Quello che c’era sicuramente era la malattia fisica, venerea: la sifilide, che all’ultimo stadio porta alla pazzia, in un tempo in cui le cure erano forse più dannose della patologia stessa. E Carlo lo sapeva bene, quello che gli stava accadendo. In questo volume si vuole riportare a galla una verità che è stata messa a tacere per troppo tempo; la mancanza della quale ha fatto sì che il giovane Michelstaedter passasse alla storia come “filosofo della morte” o “esistenzialista depresso” e non per la sua accettazione piena del dolore, esperita ed espressa in un altruismo cosmico e radicale. È bene rimettere insieme i tasselli mancanti, dando il quadro completo di un giovane uomo che ha accettato il suo destino fino all’ultimo: fino a che l’allucinazione, la follia, non hanno preso il sopravvento».

 

Rigettando la tesi del suicidio “metafisico”, ma anche l’ipotesi di una tara di famiglia o quella di un litigio con sua madre, l’autrice ci fa rivivere il percorso della sua indagine attraverso documenti, foto, libri e conoscenti ancora in vita, dimostrando come non ci fosse in realtà intenzione di suicidarsi, poiché Carlo amava la vita pur nel dolore. La morte avvenne quindi solo per un incidente causato dalla sifilide (malattia allora piuttosto diffusa) che ne aveva minato la mente. Secondo Chiara Pradella purtroppo la tesi del suicidio per anni ha influenzato in modo fuorviante la valutazione delle sue opere.

 

Davvero lodevole quindi l’indagine dell’autrice che si è anche battuta per salvare dall’incuria la soffitta del palazzo Paternolli di Gorizia dove ai primi del Novecento il giovane filosofo studiava, pensava, scriveva, disegnava e incontrava i suoi amici più cari, Nino e Rico. Come risulta dall’Epistolario, la breve vita del giovane goriziano scorreva con ardente desiderio di vivere sempre illuminata da una “fiamma” che lo portava a esplorare diversi linguaggi e mezzi espressivi, spaziando dalla pittura alla poesia fino alle vette della filosofia.

 

In La Persuasione e la Rettorica per Carlo Persuasione significa giungere al possesso di se stessi, in quanto “persuaso è chi ha in sé la sua vita”, mentre Rettorica è l’apparato di sovrastrutture di vario genere che ostacola la persuasione: un testo ormai è da molti considerata uno dei capolavori della filosofia moderna: quella tesi di laurea diventa un grido di accusa verso la società che ignora le più profonde istanze dei giovani e le loro difficoltà nel dare senso alla loro esistenza in una società corrotta e ipocrita. E in effetti pochi anni dopo la sua morte, ecco arrivare due guerre mondiali, nazismo, Shoa e tutto ciò che la storia registra. Ad Auschwitz vennero sterminati la madre di Carlo, una sorella, due amiche e vari parenti. L’accusa che Michelstaedter muove alla società dei suoi tempi a quanto pare è tuttora valida dopo più di un secolo.

 

Senza dubbio Chiara Pradella, dottore in Scienze dell’Educazione e in Filosofia, che si dedica da diversi anni allo studio di Carlo Michelstaedter, ha il merito di aver ridato luce al suo messaggio positivo: “Lavora su te stesso, fai quanto ti è più possibile per riuscire ad andare avanti in autonomia; però ricorda che la fiamma che riuscirai a sprigionare con il tuo essere non sarà solo utile a te, ma anche a illuminare il cammino di tutti quelli che ancora non sono stati capaci di crearla, la scintilla”.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]