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N. 23 - Aprile 2007

Quell’inutile canale costato 100.000 vite

226 chilometri di morte

di Stefano De Luca

 

Le contraddizioni del lavoro schiavistico in Urss, celato dietro il nome di “lavoro correzionale”, emergono a volte nitidamente.

 

Ad esempio nella vicenda della costruzione del canale, lungo 226 chilometri, che permise di collegare il Mar Bianco col Mar Baltico (in russo Belomorsko-Baltiyskij kanal).

 

Venne costruito tra il settembre 1931 e l’aprile 1933 per volontà di Stalin, che pretendeva fosse ultimato in soli 20 mesi.

 

La maggior parte degli uomini che vi lavorarono proveniva dal lager delle isole Solovki. Per il regime tutti si erano dedicati all'impresa con passione: studenti, intellettuali, soldati, contadini e perfino donne.

 

Dati confermati dagli storici hanno invece stabilito che per realizzarlo morirono circa 100.000 persone, gli schiavi del Gulag.

 

Attraverso un lavoro durissimo questi uomini avrebbero, secondo l’interpretazione dei burocrati del Cremlino, espiato i loro peccati.

 

Nell’agosto del 1933, a lavori ultimati, Stalin inaugurò il canale andando in gita in piroscafo con Vorosilov e Kirov dopo aver ripulito il canale dai cadaveri, assieme a 120 scrittori che intrapresero analogamente una crociera lungo lo stesso.

 

 

Gor’kij lodò così ‘l’impresa’, rivolgendosi a coloro che lo avevano costruito (ossia ai superstiti): “diavoli di uomini, non vi rendete neppure conto di quello che avete fatto!”.

 

Nessuna parola spesa per le 100.000 vittime. La letteratura ufficiale taceva, era interessata solamente ad esaltare una tale creazione e compiacere Stalin.

 

Già nel 1929 Maksim Gor’kij aveva dimostrato il suo cinismo quando, di ritorno dalla visita compiuta a giugno al campo di concentramento di Solovetcky, affermò che si trattava di “un nuovo tipo di istituzione, un grande esperimento, in cui a dei criminali è data la possibilità di trasformarsi in cittadini sovietici”.

 

A proposito delle baracche dei detenuti, Gor’kij affermò che “non sembrano affatto prigioni […], in alcune stanze ho visto pure dei fiori”. Peccato che lo scrittore non ne portò poi nemmeno uno sulla tomba di una delle 100.000 vittime della follia staliniana.

 

Solzenicyn ha nitidamente sintetizzato i veri motivi che c'erano dietro la costruzione del canale: "a Stalin serviva una grande impresa realizzata da detenuti che assorbisse molta manodopera e molte vite, efficace come una camera della morte ma più a buon mercato di questa, lasciando al tempo stesso un grande monumento, sul tipo delle piramidi, del suo regno".

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Ettore Mo, Gulag e altri inferni, Milano, Bur, 2003

 



 

 

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