.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]

RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

medievale


N. 15 - Marzo 2009 (XLVI)

il cammino di santiago
La Guida del pellegrino

di Ilaria Sabbatini

 

Ad limina Sancti Jacobi è l'espressione che definisce il viaggio presso una delle principali mete di pellegrinaggio della cristianità. E poiché gli orizzonti geografici dell'epoca erano molto diversi dagli attuali, per giungere a Santiago occorreva letteralmente andare "in capo al mondo" ossia raggiungere gli estremi confini del mondo conosciuto.

 

Si trattava di percorrere le zone di confine con il mondo musulmano, incontrare popolazioni non sempre ospitali e rischiare di imbattersi in ladri, truffatori o assassini. Senza contare le difficoltà materiali: guadare fiumi, attraversare zone impervie e finanche superare i Pirenei. Per questo motivo la scelta dell'itinerario aveva grande importanza e poteva significare molto sia sul piano della sicurezza che della durata. La consuetudine e l'esperienza avevano permesso, sul finire del secolo XI, di consolidare un itinerario, fermo restando il fatto che – a parte le tappe consigliate per motivi devozionali – è per noi quasi impossibile ricostruire tutte le variazioni apportate al cammino durante il viaggio.

 

Comunque, mano a mano che la fama di Santiago richiamava sempre più pellegrini, la strada veniva dotata di strutture materiali, sia di tipo assistenziale che devozionale. In taluni punti, resi particolarmente difficili dalle condizioni ambientali o dalle contingenze sociali, la via era accudita da ordini preposti a tale servizio. Questa strada equipaggiata prendeva il nome di iter Sancti Jacobi ed era segnalata dalla Guida del pellegrino di Santiago. La cosiddetta Guida costituisce l'ultimo libro del Codex Callistinus, un codice composito in cinque parti dedicate a San Giacomo, al suo culto, alle sue orazioni e al pellegrinaggio presso la sua sepoltura.


«Quatuor vie sunt que ad Sanctum Iacobum tendentes, in unum ad Pontem Regine in horis Yspaniae coadunantur [...]». L'incipit della guida ne definisce immediatamente la natura e lo scopo, ossia descrivere gli itinerari e tutto ciò che il pellegrino poteva incontrare lungo la strada. Questo aspetto del libro è un elemento specifico della letteratura dedicata al pellegrinaggio compostelano.

 

La Guida rientra in quello che può essere definito genere odeporico devozionale, ossia una tipologia letteraria che tratta del viaggio a scopo di culto. Ma rispetto ai testi di pellegrinaggio gerosolimitani o romei, che si soffermano particolarmente sulle descriptiones dei luoghi di culto, qui prevale piuttosto la dimensione dell'itinerarium, poiché è la strada e non già la meta a costituire l'aspetto centrale dell'esperienza Quattro strade dunque: la via tolosana che iniziava da Arlès presso il cimitero di Alyscamps, la via podense che iniziava a Notre-Dame du Puy, la via lemovicense che partiva da Vezelay dove si venerava il corpo di Maria Maddalena, la via turonense che partiva da Parigi. Le tappe dei vari itinerari erano segnalate sulla Guida in base alla percorrenza ma anche in funzione dei luoghi di culto che i pellegrini dovevano visitare durante il viaggio. Si trattava di luoghi che la venerazione delle reliquie aveva reso celebri e che erano diventati punti di riferimento per la devozione cristiana. Ovviamente non sempre le reliquie erano autentiche, basti pensare ai casi di santi di cui si conservavano diversi esemplari delle stesse identiche parti del corpo.

 

Ma ciò che importava non era tanto la veridicità dei trofei quanto il senso della presenza fisica del santo. E in effetti la concretezza del corpo ha un ruolo fondamentale quale cerniera tra mondo materiale e mondo spirituale perché, come ben compendia l'antropologo Favole, i resti erano legati a triplice filo con il santo: come testimonianze della sua vita, segni della sua presenza e garanzie della sua futura resurrezione. La venerazione di quei resti era tutt'altro che una sopravvivenza folclorica di usi precristiani, bensì attingeva direttamente alla tipologia di rapporto che il cristianesimo definiva tra l'essere umano e la divinità. In un fenomeno cultuale che poneva al centro del proprio interesse corpi simbolici, era perfettamente coerente che ogni manifestazione rimandasse a un significato altro, allacciandosi alla modalità interpretativa che da sant'Agostino in poi avrebbe sviluppato il tema delle due città (De civitate Dei, XIV, 28).


Colui che si metteva in viaggio per raggiungere i luoghi santi era accompagnato da due ordini di simboli: l'uno riguardava l'abito e per così dire il corredo del pellegrino, l'altro riguardava i riti di viaggio, liturgici e paraliturgici. Per quel riguarda l'abito, giacché era richiesto di fare vita da mendicanti, consisteva in un abbigliamento piuttosto essenziale: non era previsto che chi si poneva in cammino portasse con sé bagagli di sorta se non poche cose essenziali. Questo sia per necessità, dal momento che il cammino sarebbe divenuto più faticoso, che per ottemperanza alla raccomandazione evangelica: «et ait ad illos nihil tuleritis in via neque virgam neque peram neque panem neque pecuniam neque duas tunicas habeatis» (Lc. 9, 3). Poiché pellegrini non si nasce ma lo si diventa era stata elaborata una pratica liturgica che permetteva di entrare nello stato riconosciuto di homo viator.

 

Fin dal secolo VIII la Chiesa aveva elaborato alcune preghiere pro fratribus in via dirigendis. Il sermone Veneranda Dies, riportato nel primo libro del Codex Callistinus, è un esempio di ciò che implicava la liturgia in questi casi: il nodo centrale consisteva nella benedizione della bisaccia e del bordone che erano il corredo essenziale del pellegrino cui venivano attribuiti significati simbolici ben precisi. La bisaccia era un sacchetto di pelle privo di legacci e di piccole dimensioni. Questa caratteristica, glossava il Veneranda Dies, stava a simboleggiare che il pellegrino riponeva la sua fiducia nel Signore, perciò portava con sé solo una piccola e modica scorta. La pelle dell'animale morto alludeva alla mortificazione dei vizi e delle concupiscenze nelle privazioni che il viaggio comportava.

 

L'assenza di legacci significava infine che il pellegrino era disposto a condividere i propri averi con i fratelli, prima di tutto con i poveri, ed era sempre pronto a dare come a ricevere. Del resto era la chiesa stessa che stabiliva che chi andava in pellegrinaggio dovesse assumere la condizione di pauper, poiché il pellegrinaggio doveva essere a vantaggio dell'anima e quindi supportato con penitenze e sacrifici. Il sermone si occupava poi del bordone, un bastone che accompagnava il pellegrino durante il cammino. Il significato simbolico era quello di fornire al viandante un aiuto che alludeva alla fede nella Trinità capace di sostenere il cammino del cristiano.

 

L'abito consisteva in una veste ruvida all'insegna della mortificazione della carne e il capo era protetto da un largo cappello cui veniva appuntata la conchiglia in segno dell'avvenuto pellegrinaggio. Una volta completati i riti della partenza, che col tempo divennero sempre più elaborati fino a prevedere una vestizione sul modello del costume cavalleresco, ci si metteva in strada e si raggiungeva uno dei capillari che costituivano la rete viaria. Le quattro strade francesi di cui abbiamo parlato convergevano su due punti di passaggio nei Pirenei: Cize vicino a Roncevaux, che dava sostanza alla memoria dei paladini di Carlo, e Somport dove l'ospizio di Sainte Christine offriva rifugio ai viandanti. Riunendosi a Ostabat convergevano su Cize le tre vie settentrionali, mentre su Somport giungeva la via tolosana. Iniziava qui, in terra spagnola, il cammino di Santiago.


Il Liber Sancti Jacobi giunse alla forma definitiva dopo il 1150 a seguito di un'elaborazione durata alcuni decenni. Facevano parte del progetto iniziale il primo e il secondo libro, ovvero la parte che raccoglie i testi liturgici e il racconto dei ventidue miracoli ottenuti per intercessione del santo. L'intenzione iniziale era quella di esaltare il culto di San Giacomo mentre se ne divulgava la specifica liturgia. Il terzo libro, aggiunto in seguito, aveva lo scopo di mostrare l'antichità del culto insistendo sulla traslazione delle reliquie e sul loro ritrovamento in Galizia. Il quarto libro aveva la funzione di unire la figura di Carlo Magno al santuario compostelano secondo un criterio di reciproca legittimazione. Il quinto libro, l'ultimo ad essere elaborato, rappresentava uno strumento utile a chi volesse intraprendere il pellegrinaggio.


La datazione del Codex Callinistinus si può collocare tra il 1139 e il 1173. Il terminus ante quem è stabilito da una lettera che il benedettino Arnaldo del Monte, del monastero di Ripoll, invia al proprio abata per informarlo di aver completato il lavoro di copiatura affidatogli. La lettera riporta la data del 1173, quindi il codice era già esistente prima di quella data. Mentre il terminus post quem si ricava dalla narrazione di un miracolo del 1139 riportata dal codice che è stato certamente composto dopo quella data. Circa l'attribuzione del Liber Sancti Jacobi secondo un documento apocrifo l'autore è un prete poitevino, Aimery de Picaud.

 

Data la diversa provenienza degli elementi raccolti nel codice, è oggi prevalente la teoria che attribuisce al liber un'origine composita: più che ad un autore si dovrebbe pensare ad un ordinatore e coordinatore di testi di vari autori. Il nome di Codex Callistinus deriva dal fatto che il manoscritto si apre con una lettera apocrifa di papa Callisto II il quale rivendica la paternità dell'opera.

 

L'autore della Guida sembra avere un solo grande interesse: far riconoscere e avallare il Liber Sancti Jacobi dall'autorità ecclesiastica romana, conferendo ad essa carattere ufficiale. Ora, benché la lettera prefatoria Liber Sancti Jacobi sia apocrifa, essa testimonia la realtà storica dell'interesse per Santiago di papa Callisto il cui nome, di certo, è servito per dare prestigio all’intera composizione.

 


Riferimenti bibliografici:


J. Chélini - H. Branthomme, Les chemins de Dieu. Histoire des pèlerinages chrétiens des origins à nos jours, Paris, Hachette, 1995.
M. M. Davy, Initiation à la symbolique romane, XIIe siècle, Paris, Flammarion, 1964.
A. Favole, Resti di umanità. Vita sociale del corpo dopo la morte, Roma, Laterza, 2003.
Guida del pellegrino di Santiago. Libro V del Codex Callistinus, a cura di P. Caucci von Saucken, Milano, Jaca Book, 1995.
C. Iannella, Il pellegrinaggio a Santiago nella predicazione di Giordano da Pisa (XIV sec.), in «Actas del congreso de estudios jacobeos», Santiago de Compostela, 1995, pp. 423-430.
R. Oursel, Pellegrini del medioevo, gli uomini le strade, i santuari, Milano, Jaca Book, 1988 (tit. or. Pèlerins du Moyen Âge, Paris, Fayard, 1978).
Idem, Vie di pellegrinaggio e santuari da Gerusalemme a Fatima, Milano, Jaca Book, 1993.
F. Singull (Xunta de Galicia), Il Cammino di Santiago tra cultura e pellegrinaggio (traduzione italiana di V. Donvio), Centro di Studi Galeghi dell’Università di Padova, www.maldura.unipd.it/romanistica/galizia/cammino_singull.pdf
R. Stopani, Le vie di pellegrinaggio del Medioevo. Gli itinerari per Roma, Gerusalemme,
Compostella, Firenze
, Le Lettere, 1991.
J. Sumption, Monaci santuari e pellegrini, Roma, Editori Riuniti, 1993 (tit. or.: Pilgrimage. An image of medieval religion, London, Faber & Faber, 1975)



 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]

.

.