Camillo Benso conte di Cavour, 
							uno dei padri dell’unità nazionale italiana, nacque 
							a Torino nel 1810. Studiò alcuni anni all’estero e 
							subì l’influenza dei principi economici e 
							sociopolitici del sistema liberale di ispirazione 
							britannica. 
							
							 
							
							
							Rientrato in Piemonte nel 1835 si dedicò prima a 
							sviluppare la tenuta di Leri, al punto da farne 
							un’azienda modello, per poi fondare nel 1847 il 
							quotidiano Il Risorgimento, che segnò anche i primi 
							avvicinamenti al mondo politico.
							
							 
							
							I 
							cardini del suo pensiero erano il liberalismo 
							interno e l’avvio di un mutamento degli equilibri 
							internazionali in senso anti-austriaco che favorisse 
							la creazione di uno Stato unitario nella penisola 
							attorno alla corona sabauda.
							
							 
							
							
							Messosi in luce nel 1851 come Ministro 
							dell’agricoltura e del commercio, divenne Primo 
							Ministro a seguito dell’accordo con Urbano Rattazzi 
							del 1852, noto come “il connubio”, che unì gli 
							elementi più progressisti della destra con i 
							moderati della sinistra in un grande raggruppamento 
							di centro.
							
							 
							
							
							Sul piano interno il primo decennio di governo 
							cavouriano si caratterizzò per la vastità delle 
							riforme. Sviluppò la rete ferroviaria, promosse 
							nuovi sistemi di coltivazione, canali di irrigazione 
							e avviò una politica doganale fortemente liberista 
							che inserì pienamente il Piemonte nel commercio 
							internazionale. 
							
							 
							
							
							Nel 1855, nonostante l’opposizione del clero e del 
							Re Vittorio Emanuele II, il Piemonte venne 
							laicizzato in base alla formula “libera Chiesa in 
							libero Stato”, fornendo uno degli elementi 
							fondamentali che spinsero repubblicani del calibro 
							di Manin e Garibaldi ad aderire al programma di 
							unità nazionale sabaudo nell’ambito della Società 
							nazionale italiana.
							
							 
							
							In 
							politica estera decise di intervenire nella guerra 
							di Crimea inserendo di fatto il Piemonte nel gioco 
							delle diplomazie europee. Così riuscì, nel corso del 
							congresso di Parigi del 1856, a portare 
							all’attenzione internazionale la causa dell’unità 
							italiana.
							
							 
							
							
							Facendo leva sul comune interesse di Francia, 
							Prussia e Gran Bretagna a ridimensionare la potenza 
							austriaca, principale ostacolo sulla via 
							dell’unificazione nazionale, Cavour riuscì ad 
							ottenere il sostegno militare francese a seguito 
							degli accordi di Plombiers con Napoleone III nel 
							1858 per la creazione di uno stato unitario nel Nord 
							della Penisola: Roma e il Lazio, aveva garantito lo 
							statista sabaudo, sarebbero rimaste indipendenti.
							
							 
							
							
							Nel 1859, nel corso della II guerra d’indipendenza, 
							gli alleati franco-piemontesi sconfissero le truppe 
							austriache a Solforino e San Martino e, con 
							l’appoggio dei garibaldini, riuscirono a controllare 
							la Lombadia. 
							
							 
							
							
							L’estendersi del movimento democratico nazionale in 
							Italia e le richieste di annessione al Piemonte 
							provenienti da varie regioni spaventarono i 
							francesi, che temevano la creazione di uno Stato 
							nazionale unitario troppo esteso e potente ai propri 
							confini. 
							
							 
							
							
							L’armistizio di Villafranca voluto da Napoleone III 
							congelò i moti e spinse Cavour a rassegnare le 
							dimissioni dalla carica di Primo Ministro in segno 
							di protesta. Tornato alla guida del governo nel 
							1860, Cavour decise allora di affidare l’iniziativa 
							unitaria a Garibaldi, favorendo la spedizione dei 
							Mille e la liberazione dell’Italia meridionale.
							
							
							 
							
							La 
							fedeltà garibaldina al motto “Italia e Vittorio 
							Emanuele” portarono così, nel 1861, alla 
							proclamazione del Regno d’Italia che, ad eccezione 
							del Veneto e del Lazio, copriva quasi interamente 
							quelli che erano i confini “naturali” della nazione 
							italiana. 
							
							 
							
							
							Cavour morì tre mesi dopo e dedicò l’ultima fase del 
							suo  impegno politico a quella che sarebbe diventata 
							la “questione romana”, favorendo un voto 
							parlamentare che rivendicasse Roma capitale. L’opera 
							di Cavour,  la sua tenacia e la sua lucidità 
							d’azione ne fanno uno dei massimi statisti della 
							storia della nostra penisola.
										 
																			
																			
																			
																			
																							
																			 
																			
																			