In passato molto mi sono occupato
dell’opera di Calvino e del suo
rapporto con le tecnologie e la
globalizzazione. Il mondo
contemporaneo per lo Scrittore è fin
troppo cangiante e spesso risulta
complicato e complesso. Lo scrittore
in risposta alla violenza del mondo
contemporaneo trova un suo modo di
fare letteratura: non commette
l’errore di molti suoi
contemporanei, quello di illustrare
solo i pericoli di quell’evoluzione
irrefrenabile e inarrestabile, ma
cerca e offre anche soluzioni.
Quello che effettua Calvino,
utilizzando proprio le sue parole, è
un passaggio dalla «letteratura
dell’oggettività alla letteratura
della coscienza» (Calvino 1995,
pp. 46-48).
Questo passaggio risulta essere
fondamentale per comprendere la
totalità dell’opera di Calvino, il
passaggio dalla mera segnalazione a
una elaborazione cosciente delle
storture del mondo contemporaneo. La
letteratura può essere concepita
come tale solo se analizzata nella
sua pluralità, che sottende un
obbligato ampliamento dei propri
orizzonti.
Tutto ciò è ampliamento dimostrato
dalla sua amplia produzione
letteraria. Calvino attraversò,
infatti, diverse fasi. Come la
maggior parte degli scrittori del
Novecento, Calvino passò per la fase
neorealista a cui appartiene il suo
romanzo d’esordio,
Il
sentiero dei nidi di ragno
(Calvino 2020).
Il neorealismo è un movimento
all’interno del quale gli scrittori
raccontano l’esistenza umana, dando
voce ai racconti, al folklore, alle
tradizioni e alle storie delle
persone, documentando quanto
successo negli anni della guerra e
nell’immediato dopoguerra. Nella
prefazione alla seconda edizione
dell’opera, Calvino descrive con
queste parole la corrente
neorealista: «Non fu una scuola, ma
un insieme di voci, in gran parte
periferiche, una molteplice scoperta
delle diverse Italie, specialmente
delle Italie fino allora più
sconosciute dalla letteratura»
(Calvino 1947, p. 4).
A
tal proposito è però assai
interessante esaminare il meccanismo
di identificazione dell’io e la
suggestione che in esso è provocata
dal “simbolo”. L’opera in cui ciò lo
si evince maggiormente è sicuramente
Il
Castello dei destini incrociati.
Nella nota finale della edizione del
1973 egli spiega come l’idea di
utilizzare i tarocchi come macchina
narrativa combinatoria, dove ogni
“io” corrisponde a una carta, nasca
da una relazione di Paolo Fabbri,
dal titolo Il racconto della
cartomanzia e il linguaggio degli
emblemi (Calvino 1994, p. VI).
Lo slancio narrativo è dato però
dalla suggestione dei tarocchi
stessi che provoca sull’io stesso.
Calvino è attratto soprattutto dai
tarocchi storici, dai mazzi
rinascimentali, Le miniature
quattrocentesche richiamano
immediatamente il lui i ricordi
sull’Orlando furioso. È
proprio da qui che origina il
complesso gioco combinatorio,
l’ispirazione giunge proprio dal
poema ariostesco. Non bisogna
sorprendersi di tale ispirazione,
Calvino fu sempre molto legato
all’opera di Ariosto. Orlando
abbandonati i campi di battaglia,
mondo a lui naturale, per inseguire
l’amata Angelica, venuto a contatto
con un mondo diverso da sé,
impazzisce e si ritrova al centro
del punto di intersezione di tutti
gli ordini possibili. L’allusione
alle soluzioni possibili mediante la
combinazione di carte è evidente.
Interessante è anche la battuta di
chiusura del racconto: «Il mondo
si legge all’incontrario. Tutto è
chiaro». Questa si collega
perfettamente al secondo racconto,
ove Astolfo rovescia perfettamente
il mito di Ariosto della luna (Calvino
1994, p. 5).
Insolito è il valore che viene dato
alla figura della giustizia definita
come: «la Ragione che cova sotto
il Caso combinatorio».
Sicuramente Calvino con tale
affermazione allude alla struttura
stessa del testo. La ragione
dell’autore costruisce un ordine
combinatorio all’interno del caos e
il castello stesso delimita l’ordine
dal caos.
Un altro elemento di interesse è il
fatto che l’opera calviniana
inizialmente recava un titolo
differente Taverna dei destini
incrociati. La scelta non è
ovviamente casuale. Tale titolo
allude sia al ruolo edificante della
Taverna come logo d’incontro
tra viandanti, luogo ove si
incrociano i destini, sia alla
scrittura come elemento generatore
di mondi e destini. Il modello della
rete dei possibili, già ampiamente
sperimentato da Calvino, diviene in
Il Castello dei destini
incrociati struttura portante, e
allo stesso punto esperimento e
riflessione sul ruolo generativo
della narrazione stessa.
Potenzialità e limiti che nell’opera
vanno sempre di pari passo.
Alla compita, intricata e complessa
macchina narrativa calviniana
corrisponde il profondo dubbio
sull’interpretazione corretta di ciò
che si narra: «Il quadrato è
ormai interamente ricoperto di
tarocchi e di racconti. Le carte del
mazzo sono tutte spiattellate sul
tavolo. E la mia storia non c’è? Non
riesco a riconoscerla in mezzo alle
altre, tanto fitto è stato il loro
intrecciarsi simultaneo. Infatti, il
compito di decifrare le storie una
per una m’ha fatto trascurare finora
la peculiarità più saliente del
nostro modo di narrare, e cioè che
ogni racconto corre intorno a un
altro racconto, e mentre un
commensale avanza la sua striscia un
altro dall’altro estremo avanza in
senso opposto, perché le storie
raccontate da sinistra a destra o
dal basso in alto possono pure
essere lette da destra a sinistra o
dall’alto in basso, e viceversa,
tenendo conto che le stesse carte
presentandosi in ordine diverso
spesso cambiano significato, e il
medesimo tarocco serve nello stesso
tempo a narratori che partono dai
quattro punti cardinali»
(Calvino 1994, p. 75).
In questo passo il senso è da
intendersi come significato profondo
della storia stessa. La medesima
carta può rappresentare sia il
Diavolo che Dio. È ora che emerge il
ruolo fondamentale del lettore nel
giusto discernimento, perché il
mazzo di tarocchi si configura come
una guida dalle molteplici
interpretazioni, una sorta di
dépliant dei mondi possibili da
ricostruire attraverso
l’immaginazione.
«Ed è il simbolismo, di conseguenza,
a conquistare le pagine di questo
libro, poiché la polivalenza che
ogni carta porta con sé rende la
narrazione praticamente
personalizzata, suscettibile, cioè,
alla capacità di discernimento del
narratore principale».
Riferimenti bibliografici