[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

169 / GENNAIO 2022 (CC)


contemporanea

30 anni senza URSS
UN BilanciO, per la Russia

e per il mondo

di Gian Marco Boellisi

 

Per quanto inaspettati e poco auspicati, alcuni eventi cambiano il corso della storia dell’umanità. Solamente nel secolo scorso se ne potrebbero enumerare innumerevoli, tuttavia ve ne è uno in particolare che ha cambiato la concezione stessa di come percepiamo il mondo di oggi. Il 25 dicembre 1991, ovvero esattamente 30 anni fa, veniva sciolta ufficialmente senza riserve l’Unione delle Republiche Socialiste Sovietiche, un’entità statale di dimensioni immense che per quasi 50 anni aveva rivaleggiato in tutti i campi con il proprio avversario, ovvero gli Stati Uniti.

 

Benchè siano passate ormai 3 decadi da quella sera di dicembre dove venne ammainata la bandiera sovietica dalla torre del Cremlino per essere sostituita con quella della Federazione Russa, le conseguenze di quegli eventi permeano oggi più che mai gli avvenimenti dello scenario internazionale a cui assistiamo tutti i giorni. È quindi interessante cercare di fare un bilancio di quanto sia cambiato il mondo a seguito di quel giorno e di quanto le valutazioni riguardo al futuro fatte all’epoca fossero completamente sbagliate.

 

Partiamo dal principio. La caduta dell’Unione Sovietica non avvenne in una notte. Erano infatti ormai anni che l’enorme stato socialista coltivava problemi sempre maggiori, sia all’interno dei propri confini sia in quelli dei propri stati satellite e alleati. Per l’Unione Sovietica il colpo mortale che probabilmente sancì la sua fine fu la guerra in Afghanistan, conflitto durato 10 lunghissimi anni e costato decine di migliaia di vite a Mosca.

 

Questo conflitto dall’esito scontato fu un vero e proprio salasso per l’economia sovietica, la quale soffriva già da anni di un fragilissimo equilibrio interno. Fu proprio la situazione economica, unita anche a una voglia diffusa di rinnovamento tra i cittadini sovietici, che fece inaugurare i due grandi cavalli di battaglia del presidente Gorbačëv, eletto nel 1985 segretario del partito comunista a seguito della morte di Konstantin Černenko: Glasnost’ (trasparenza) e Perestrojka (ricostruzione).

 

Nonostante i vari tentativi perpetrati negli anni, il destino dell’Europa socialista era ormai segnato. Uno a uno gli stati socialisti dell’Est, come solo le tessere di un domino sanno fare, caddero sotto le spinte di riforme interne, rimpiazzando i vecchi regimi con nuovi governi di unità nazionale. Anche l’Unione Sovietica infine subì lo stesso destino, con la Russia che prese il suo posto all’interno del concerto degli Stati e con un cambio di governo altrettanto brusco. Tutti gli Stati dell’ormai ex-Unione Sovietica diventarono così indipendenti, formando la traballante Comunità degli Stati Indipendenti e facendo riemergere tutta una serie di problematiche sociali, etniche e politiche che erano rimaste congelate sin dalla formazione dell’Unione Sovietica stessa.

 

Proprio qui ebbe inizio forse il decennio più buio della storia recente russa. Guidata dal liberale e non troppo affidabile Borís Él’cin (celebri sono i video in cui scende dall’aereo ubriaco incapace di mantenersi in piedi), la nuova Russia si avviò all’integrazione economica e sociale all’interno di una comunità internazionale che per larga parte l’aveva considerata una nemica per quasi un secolo intero.

 

Per quanto la promessa di Él’cin di costruire “un’economia di libero mercato in 500 giorni” aveva fatto ben sperare sia i cittadini russi sia gli osservatori internazionali, il tutto si dimostrò essere un buco nell’acqua e nulla più. Con il sistema di voucher istituito dallo stato russo, al posto di dinamizzare l’economia la si rese intrinsecamente debole e in mano a pochi ex-membri del partito diventati oscenamente ricchi nell’arco di poche settimane. E così, cercando di entrare nell’economia globalizzata, venne creato invece un cancro intestino alla nazione russa di difficile eradicazione anche ai giorni nostri: gli oligarchi.

 

Come se non bastasse, disordini tra il parlamento e il presidente e le spinte centrifughe delle regioni meridionali, ovvero Cecenia e Daghestan, portarono lo stato russo e il popolo tutto sull’orlo della frantumazione neanche 10 anni dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica. Vista la disastrosa situazione, nessuno riuscì a prevedere la svolta radicale alla nazione che sarebbe arrivata di lì a pochi anni.

 

Uscito vincitore alle elezioni del 2000, Vladimir Putin era un completo outsider, con pochi vincoli politici, ma con forti legami nei servizi segreti, per i quali vantava una lunga e onorata carriera nella Germania Est. Nell’arco di pochi anni il nuovo presidente si mosse per riportare la Russia tra i potenti nel concerto delle potenze internazionali.

 

Dalla rinnovata politica estera alla maggiore azione di governo in investimenti pubblici, dalla fine della guerra in Cecenia alle nuove politiche energetiche europee e mondiali, Putin ha saputo ridare l’orgoglio perduto ai russi, orgoglio che non pensavano di recuperare più dopo quella notte di Natale del 1991.

 

Descrivere nel dettaglio l’intera presidenza (o presidenze) di Putin sarebbe eccessivamente lungo, tuttavia è innegabile che molte delle sue opere di governo siano state quanto meno controverse e ottenute con mezzi non del tutto canonici.

 

Basti pensare alle contraddizioni vigenti oggi in Russia. Da un lato abbiamo un paese che in ambito internazionale cerca di espandere la propria influenza in tutto il globo cercando di guadagnare lentamente dalla crisi dell’Occidente, e degli Stati Uniti in particolare, mettendo in difficoltà questi ultimi in svariati scenari. Dall’altro lato vi è un paese al cui interno il tenore di vita risulta essere bassissimo, dove l’inflazione ormai galoppa a ritmi mai visti prima e l’ultimo adeguamento concreto degli stipendi rispetto all’inflazione risale a svariati anni fa. Complice di tutto ciò è anche una mancata serie di investimenti perpetrata negli anni che ha contribuito a non ammodernare economicamente il paese, ma a lasciarlo sopravvivere sulle ceneri dell’Unione Sovietica ancora oggi. Come molti poeti e intellettuali hanno sottolineato nell’arco della storia, la Russia è sempre stata terra di grandi bellezze e di altrettanto grandi contraddizioni.

 

Il merito tuttavia che non si può negare a Putin è quello di aver tenuto a galla la Russia in uno scenario internazionale tra i più complessi mai presentatisi nella storia dell’umanità. Basti pensare infatti la cardinalità di quanto successo nel 1991 con la caduta dell’Unione Sovietica. Se infatti dal 1945 al 1991 il mondo aveva ragionato per schemi bipolari, o per dirla in termini più accademici secondo un equilibrio di potenza, dopo la caduta del blocco comunista rimase solo una super-potenza a fare da padre-padrone-guardiano al mondo intero. Prova ne sia che gli anni ‘90 sono considerati il decennio per eccellenza del positivismo americano.

 

A testimonianza della superbia statunitense di quegli anni, e anche in parte arroganza, nel 1992 fu pubblicato un saggio politico scritto dal politologo Francis Fukuyama dal titolo “La fine della storia e l’ultimo uomo”, dove si asseriva che la vittoria del capitalismo, unito alla democrazia liberale come forma di governo, e più in generale dello stile di vita occidentale altro non era che il capolinea dello sviluppo socioculturale dell’umanità e pertanto la forma di governo definitiva per l’intera specie umana. Indi per cui la vittoria sul socialismo russo aveva i tratti di una vera e propria fine della storia.

 

Gli ultimi 20 anni di avvenimenti hanno testimoniato quanto Fukuyama avesse torto e di quanto gli Stati Uniti, nei confronti della storia, non fossero altro che un altro impero anch’esso destinato un giorno a una prematura caduta.

 

Con il passare degli anni si è passati da un sistema bipolare a uno egemonico unipolare negli anni ’90 a uno scenario multipolare. Al giorni d’oggi infatti lo scenario internazionale è caratterizzato da tutta una serie di attori proiettati globalmente con l’intenzione di massimizzare la propria influenza al meglio delle proprie capacità. È anche innegabile tuttavia che gli Stati Uniti mantengano uno status molto elevato all’interno della comunità internazionale. Basti pensare che la stragrande maggioranza delle istituzioni internazionali e finanziarie nate all’indomani del Secondo Conflitto Mondiale hanno sede ancora oggi negli Stati Uniti. Per non parlare del fatto che una delle due valute su cui si basano gli scambi internazionali è ancora il dollaro americano.

 

Nonostante questo dato di fatto, è altrettanto importante osservare che da un decennio a questa parte la leadership internazionale statunitense sta iniziando a essere sfidata in maniera importante dalla Republica Popolare Cinese, la quale ha conosciuto uno sviluppo esponenziale negli ultimi anni e che ora ambisce a ricoprire un ruolo di primo piano all’interno dellla comunità internazionale. Che sia dal punto di vista economico, militare o del soft power, la Cina ha sfruttato la sua posizione chiave all’interno delle filiere produttive dell’industria globale per lanciare progetti economici ad ampio respiro che coinvolgono direttamente o indirettamente un terzo delle economie del mondo. Il riferimento qui alla Nuova Via della Seta è più che palese.

 

Per quanto il confronto per il podio di prima potenza mondiale sia tra Cina e Stati Uniti, innumerevoli altri attori competono sullo scacchiere internazionale per ottenere maggiore influenza. La Russia è senz’altro uno di questi. Con il suo intervento in Siria e innumerevoli collaborazioni con gli stati africani in materia di difesa e trattati commerciali, Mosca ha colmato spesso i vuoti lasciati dall’influenza europea e statunitense in quegli stati ritenuti ingiustamente di secondaria importanza.

 

In particolare Putin ha mostrato a questi nuovi partner come la Russia possa essere un alleato affidabile nel breve e nel medio termine, soprattutto se confrontato con i vecchi partner coloniali o più in generale con le agende occidentali, le quali si sono dimostrate negli ultimi decenni mirate solo al profitto nel breve termine senza alcuna prospettiva politica di lungo corso. Gli esempi che si possono fare sono virtualmente infiniti: Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Mali e Republica Centrafricana sono solamente alcuni di recente memoria.

 

Al di là della Russia, la quale cerca di competere ancora a livello globale nonostante le difficoltà economiche intrinseche al suo sistema e una tecnologia non sempre tra le più moderne, vi sono sempre più Stati a livello regionale che lottano per avere maggiore peso nello scenario locale nel quale si ritrovano proiettati. Un esempio può essere l’Iran, il quale da decenni cerca di espandere la propria influenza agli stati arabi limitrofi, sempre constrastato dalle azioni di Israele e Arabia Saudita. Un altro caso d’interesse è l’India, una della maggiori economie mondiali in lotta sia con il Pakistan che con la Cina per il mantenimento dei propri confini senza nessuna di queste due potenze eroda gli interessi indiani nella zona.

 

Un altro esempio importante è l’Egitto, Stato di primaria importanza sia dal punto di vista politico sia da quello economico (ricordiamo tutti le vicende dello stretto di Suez di qualche mese fa) che gioca un ruolo di rilevanza vitale per gli equilibri medio-orientali. Vi è anche la Turchia, la quale grazie a una guida sempre più autoritaria unita a delle politiche sempre più aggressive nei confronti dei propri vicini sta aumentando il proprio peso su entrambe le sponde del Mediterraneo. Infine una menzione a parte va fatta per l’Unione Europea, la quale ancora oggi risulta essere frammentata in una serie di interessi nazionali senza coesione dal punto di vista della politica estera e mossa per lo più dall’emergenza del momento piuttosto che da una visione di lungo e ampio respiro.

 

In conclusione, la caduta dell’Unione Sovietica 30 anni fa ha cambiato la storia per sempre. Non solo la storia della Russia, ma anche quella del mondo intero. Non più vincolato alla logica di due uniche superpotenze, il mondo si è evoluto in maniera estramente imprevedibile, con l’emergere di potenze regionali, attori non statali e grandi corporazioni che determinano l’agire politico ed economico della vita di tutti i giorni.

 

Il cambiamento che ha subito la Russia nel passaggio da un sistema socialista a uno di stampo capitalista è stato traumatico e violento, specialmente per la popolazione russa, la quale ha visto crollare le proprie certezze coltivate per oltre 70 anni nell’arco di poche settimane. Per quanto oggi Mosca non ricopra neanche lontanamente il ruolo predominante a livello internazionale rispetto ai tempi dell’U.R.S.S., non si può negare che la Russia oggi occupi una posizione non indifferente all’interno dello scacchiere globale.

 

Sebbene le sfide da affrontare per i russi siano ancora tante e i miglioramenti che la macchina statale russa possa effettuare siano ancora di più, dopo 30 anni dalla caduta dello stato che Lenin aveva fondato si può tranquillamente asserire che Fukuyama aveva torto: la storia non è finita con la caduta dell’Unione Sovietica, anzi è appena arrivata al suo punto di svolta più rivoluzionario.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]