[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 151 / LUGLIO 2020 (CLXXXII)


contemporanea

Inchiesta sul 25 luglio 1943

PARTE I / Le convulse giornate in cui crollò il regime

di Federico Toscano

  

Roma, 24 luglio 1943 XXI E.F.

Palazzo Venezia e dintorni

 

Nella calura estiva la capitale dell’Impero fascista si risveglia frastornata. La città è impaurita dopo il primo bombardamento delle “fortezze volanti”, i grandi bombardieri quadrimotore degli Alleati, che hanno colpito pesantemente il quartiere San Lorenzo il giorno 19, ma non rinuncia almeno nelle strade del centro alla vita, in un fine settimana afoso di luglio.

 

I luoghi di ritrovo su via del Corso sono affollati, in particolare il Caffè Aragno, ai cui tavolini siedono da mezzo secolo artisti, letterati e giornalisti (qualche tempo addietro era frequentato anche da un giovanissimo Galeazzo Ciano, all’epoca immerso nella vita mondana e nel clima bohémien che si respirava nei circoli intellettuali romani), che non fanno che domandarsi cosa accadrà nell’imminente seduta del Gran Consiglio del fascismo convocata per le ore 17:00 a Palazzo Venezia.

 

A poche centinaia di metri da lì, infatti, nella nuova sede (dal 16 settembre 1929) della Presidenza del Consiglio, i 28 maggiorenti del regime si stanno affrettando a raggiungere la Sala del Pappagallo per dare vita all’ultimo atto della dittatura fascista.

 

Il Gran Consiglio del fascismo era stato istituito nel 1923 (la prima seduta era datata 12 gennaio presso le stanze private di Mussolini al Grand Hôtel di Roma) con funzioni inizialmente consultive, fino al 1928, quando gli vennero attribuite delle competenze effettive che lo collocarono tra gli organi di vertice dello stato. Esso infatti deliberava sulla lista dei candidati alla Camera dei Deputati, almeno sino al 1939, quando quest’ultima fu sostituita dalla Camera dei Fasci e delle corporazioni di natura non elettiva e doveva essere sentito per un parere sulle più rilevanti questioni di ordine costituzionale, tra le quali la successione al Trono del Regno e le attribuzioni e le prerogative della Corona.

 

L’ultima seduta di questo organo prima della convocazione del 24 luglio, risaliva però alla notte tra il 7 e l’8 dicembre 1939 (era consuetudine che le riunioni, che dovevano rimanere segrete, iniziassero alle 22 la sera e spesso esse si protraevano fino alle prime luci dell’alba) allorché si confermò la decisione della “non belligeranza” nella guerra mondiale iniziata il 1°settembre con l’attacco tedesco alla Polonia. Da allora, tutte le decisioni più rilevanti, compreso l’ingresso in guerra del 10 giugno 1940, furono assunte dal Duce senza consultare l’organo supremo del regime.

 

Giunti però al luglio 1943 la situazione militare imponeva una seria riflessione sull’andamento del conflitto e sul proseguimento dello sforzo bellico affianco dell’alleato tedesco: il quadro delle operazioni sul campo di mese in mese si faceva sempre più difficile per le forze dell’Asse, sul fronte orientale la VI armata del feldmaresciallo Von Paulus si era arresa nella sacca di Stalingrado il 2 febbraio e da allora l’Armata Rossa aveva ripreso l’iniziativa contrattaccando massicciamente e respingendo verso ovest gli invasori tedeschi e quel poco che rimaneva dell’Armir, mentre nel teatro nordafricano le truppe di occupazione coloniale italiane assieme all’Africa Korps di Rommel venivano sbaragliate e ricacciate in mare nel preludio all’invasione dell’Italia che scattò il 10 luglio con lo sbarco dei primi reparti alleati in Sicilia.

 

Stante così la situazione, venerdì 16 luglio, il segretario del PNF Carlo Scorza assieme a una quindicina di gerarchi si erano recati in udienza dal Duce per sollecitare una convocazione urgente del Gran Consiglio che Mussolini, seppur con qualche mal di pancia, avallò. Effettivamente il 21 luglio, dopo il colloquio bilaterale di Feltre con Hitler, il Duce comunicò la data della riunione fissata per quel sabato 24.

 

L’atmosfera è carica di tensione in una Piazza Venezia deserta: secondo le disposizioni essa non può essere attraversata in bicicletta, né vi si può sostare, a meno che non si voglia essere richiamati da qualche agente in borghese della guardia presidenziale. Per l’occasione non è stato nemmeno esposto il gagliardetto dal celebre balcone, che sta a indicare l’imminenza della riunione della suprema assise, né è prevista la presenza del reparto dei “Moschettieri” del Duce, l’equivalente fascista del corpo dei Corazzieri Reali.

 

Finalmente alle 17:15 Benito Mussolini assieme al segretario del partito Scorza varca la soglia della Sala del Pappagallo e accomodandosi sullo scranno rialzato da inizio ufficialmente alla seduta.

 

Purtroppo non fu redatto un processo verbale (validato dalla firma di tutti i partecipanti) di quest’ultima riunione del supremo organo del regime, dunque non disponiamo di una versione univoca dei fatti, bensì degli appunti singolarmente presi dai vari gerarchi e del racconto che della seduta si fece nei memoriali usciti negli anni successivi.

 

Ciò su cui tutti furono concordi è che, in seguito alla relazione iniziale del Capo del Governo, fu presentato nel corso del consueto dibattito, l’ordine del giorno a prima firma Dino Grandi che proponeva di ristabilire la pienezza di funzioni a tutti gli organi dello Stato che erano stati progressivamente svuotati delle loro prerogative nel corso di venti anni di regime: Parlamento, Governo e in special modo la Corona alla quale si richiedeva di assumere il comando supremo ed effettivo delle forze armate e le responsabilità affidategli dall’art. 5 dello Statuto Albertino in ordine alla possibilità di avviare trattative per una pace separata.

 

Evidentemente questo atto, che a tarda notte fu approvato dall’assise di Palazzo Venezia (19 voti favorevoli, 1 astenuto e 8 contrari), costituiva in primo luogo una vera e propria sfiducia politica, almeno nelle intenzioni di Grandi, nei confronti dell’operato del Capo del Governo e della sua linea di stretta intesa con la Germania, vista ormai come deleteria per gli interessi e l’integrità nazionale nonché un pesante affondo nei confronti dell’intera condotta strategica delle operazioni belliche che Mussolini aveva assunto dal giugno 1940.

 

Una volta tolta la riunione a notte inoltrata, il Duce si trattiene nel suo studio con Scorza e i gerarchi a lui più vicini prima di chiudere la giornata di lavoro rientrando a Villa Torlonia, dove una preoccupata donna Rachele, sua moglie, lo attende ancora sveglia.

 

 

Roma, 25 luglio 1943 XXI E.F.

abitazione privata dell’avvocato Mario Zamboni

 

Sono passate le 2:30 del mattino quando giungono in casa del consigliere nazionale e amico fidato di Grandi Mario Zamboni, entrando da due ingressi distinti, il Presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni e il Ministro della Real Casa, duca Pietro Acquarone per un colloquio sugli sviluppi della situazione politica. Grandi inizia con il riferire che ormai il dado è tratto e che Mussolini è stato sfiduciato: è adesso necessario, a sua detta, formare un nuovo esecutivo tecnico-militare che avvii al più presto un negoziato con gli Alleati per lo sganciamento dell’Italia dall’Asse.

 

A tal proposito, Acquarone riportava le intenzione del Sovrano di nominare come nuovo Capo del Governo, il maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, ma Grandi reagiva con preoccupazione indicando nel maresciallo Enrico Caviglia un nome più consono per il ruolo di Primo Ministro, non essendo egli compromesso con il regime e godendo anche della stima di alcuni osservatori internazionali, in particolare britannici e aggiungendo che avrebbe ben visto al ministero degli esteri Alberto Pirelli, noto imprenditore e manager con parecchi contatti nel mondo della finanza internazionale. La riunione infine terminava con l’impegno da parte dei convenuti a tenersi in stretto contatto nei giorni avvenire.

 

 

Roma, 25 luglio 1943 XXI E.F.

Villa Savoia

 

Sono le 17:00 quando l’automobile, guidata dal fido Ercole Boratto, con a bordo Benito Mussolini e il suo segretario particolare Nicolò De Cesare varca l’ingresso della residenza reale sulla via Salaria e si ferma davanti l’ingresso dove il Re Vittorio Emanuele III attende il suo Primo Ministro.

 

Durante la mattina era stata chiesta e accordata un udienza per discutere della situazione militare sempre più compromessa in Sicilia e per riferire circa gli esiti della riunione fiume del Gran Consiglio.

 

Il Sovrano accoglie dunque in una atmosfera tesissima Mussolini e lo fa accomodare, non prima di aver intascato una rivoltella fornitagli per ogni evenienza dal suo aiutante di campo, generale Paolo Puntoni e di aver predisposto una sorveglianza pronta a intervenire al di là della porta.

 

Il colloquio di breve durata serve in realtà solamente per comunicare la decisione di sostituire il Duce con il maresciallo Pietro Badoglio e infatti uno sconsolato Mussolini, dopo appena venti minuti, esce dimissionario e non fa in tempo a scendere gli scalini dell’ingresso della villa, che viene raggiunto da due carabinieri.

 

I due militari, il capitano Paolo Vigneri e il suo collega Raffaele Aversa, con la scusa di sottrarlo ai pericolosi tumulti della popolazione e a possibili aggressioni alla sua persona lo traggono in realtà in arresto e dopo averlo caricato su un autoambulanza, lo traducono in gran segreto nella caserma dei Carabinieri Reali “Podgora”.

 

Qui, alloggiato nel circolo ufficiali, inizia la sua detenzione Benito Mussolini.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

E. Gentile, 25 luglio 1943, Laterza, Bari 2018.

P.L. Vercesi, La notte in cui Mussolini perse la testa, Neri Pozza, Vicenza 2019.

A. Petacco, S. Zavoli, Dal Gran Consiglio al Gran Sasso, Mondadori, Milano 2013. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]