[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

166 / OTTOBRE 2021 (CXCVII)


contemporanea

LA CADUTA DI ALBERT CAMUS

PARTE II / UNA DIFFICILE INTERPRETAZIONE

di Raffaele Pisani

 

Avevamo accennato nel precedente numero dello sconcerto da parte dei critici riguardo l’interpretazione di quest’opera. Cos’è dunque La caduta per Camus?

 

Un momento di sconforto per il quale basta una spiegazione psicologica? Una ripresa dei temi classici dell’autore, come l’assurdità del mondo che trova una risposta nell’impegno sociale, per i quali si richiede una maggiore radicalità? Oppure la presa d’atto di una colpa e dell’impossibilità dell’uomo di redimersi o di essere redento?

 

Afferma Roger Grenier: «La caduta si presenta come un libro a parte nell’opera di Camus. Una rottura. Questo testo non ha mai cessato di costituire un problema per i suoi lettori, tanto più che, nello stesso momento, lo stile dello scrittore sembrava raggiungere un livello di perfezione. Camus non aveva mai scritto così bene».

 

Anche Stelio Zeppi rimarca il valore artistico dell’opera, vista peraltro insieme ad altre scritte da Camus in quegli anni: L’esilio e il regno, Riflessioni sulla pena di morte, Lettere ad un amico tedesco, Discorsi di Svezia, ma precisa altresì che esse «non aggiungono nulla disignificativo alla sua consolidata Weltanschauung».

 

Pierre Nguyen-Van-Huy vede invece ne La caduta l’opera di ricapitolazione per eccellenza, che riprenderebbe sotto una forma umoristica il problema fondamentale delle soluzioni fin qui date: «Fino ad ora Clamence, sull’esempio dei suoi predecessori nella rivolta negativa, non fa che negare per affermarsi e opporsi per porsi. Egli ha ugualmente superato i suoi antenati con le sue imprese e il suo “colpo di genio”. Ma ha capito ben presto che questo stato di cose è una contraddizione continua e un vicolo cieco, e la felicità ci è impossibile».

 

Clamence è posto di fronte ad un bivio: se vuole andare fino in fondo egli deve accettare l’atto tradizionale delle rivolte negative, che consiste nel negare tutti gli altri con la morte e negare se stesso con il suicidio, oppure rinnegare i suoi antenati e la loro falsa soluzione per tentare un metodo nuovo. Il suo merito consiste nell’aver attuato la scelta decisiva; egli non ha esitato a realizzare il suo secondo colpo di genio che consiste questa volta nel capovolgere per trionfare. Lo fa distaccandosi dai suoi antenati e confidando nell’amore come ancora di salvezza.

 

Nguyen-Van-Huy a sostegno della sua tesi cita il passo emblematico, che avevamo riportato per intero nella prima parte del nostro articolo: «Fanciulla, gettati ancora nell’acqua perché io abbia una seconda volta la possibilità di salvare entrambi». Peccato che il prosieguo del discorso muti completamente il significato.

 

Un’interpretazione completamente opposta sembra essere quella che scaturisce da un saggio di Eva Carlota Rava, questa vede ne La caduta la coscienza lucida e disperata di Camus per un’umanità irrimediabilmente compromessa: «Il nostro autore evolve verso una conoscenza sempre più approfondita dell’uomo, ma questa conoscenza gli si rivela disperante nella sua negatività».

 

Abbiamo visto nella ricerca, pur modesta, che abbiamo compiuto una diversità di posizioni al riguardo, esse vanno da una visione pessimistica che riguarda la storia (questa non sarebbe una novità) e la stessa natura umana (qui starebbe il cambio di posizione) a una visione che riconosce invece il Camus della rivolta, più che mai fiducioso dell’umanità.

 

Da parte nostra ci sembra che La caduta indichi proprio il significato usuale del termine: un precipitare, uno staccarsi dall’armonia originaria, o meglio, la presa d’atto di una situazione già presente che si celava in quel senso d’inquietudine che pervadeva le esperienze, anche più gratificanti del protagonista.

 

Notiamo un’opposizione simmetrica fra certe figure ed eventi narrati nella Bibbia e quelli de La caduta: le acque salvifiche del Mar Rosso e del Giordano fanno da contrappunto a quelle della Senna e dei canali di Amsterdam, rispettivamente portatrici di morte e odoranti di morte.

 

Quanto alla simmetria contrapposta tra Giovanni Battista e Clamence notiamo che entrambi sono portatori di un annuncio e consapevoli della colpevolezza dell’uomo, tuttavia mentre per il Battista la redenzione ormai imminente toglierà ogni colpa per opera di Cristo, Clamence non pare scorgere alcuna prospettiva in tal senso per l’umanità.

 

Ci pare di vedere in questo giudice-penitente, il più nordico dei personaggi camusiani, un certo spirito luterano quanto al modo di concepire l’agire morale. A nulla valgono le buone azioni, la difesa della vedova e dell’orfano, l’aiuto al cieco che deve attraversare la strada o la cortesia nel dare la precedenza a chi va di fretta; sono tutte azioni che lasciano immutata la profonda colpevolezza dell’uomo. Egoismo e volontà di prevalere si accompagnano e guastano le azioni più virtuose, questa è l’amara verità che Clamence ha colto nei momenti cruciali della sua esistenza.

 

Si diceva di un certo spirito luterano in relazione alla constatazione della inefficacia delle azioni umane per la salvezza, il discorso comunque non trova ulteriori sviluppi. Chi si aspettava che a questo punto Camus facesse una professione di fede cristiana, cattolica o luterana che fosse, è andato deluso.

 

Egli stesso in un’intervista al quotidiano Le monde pone in chiaro la sua posizione, che è pure quella di Clamence nei riguardi del cristianesimo. Afferma a proposito di coloro che lo vorrebbero cristiano: «Nulla, veramente, li autorizza ad una simile speranza. Il mio giudice-penitente non dice forse chiaramente di essere Siciliano o Giavanese? Non dice affatto di essere cristiano. Come lui (Clamence) provo molta amicizia per il primo di loro (Cristo). Ammiro la maniera in cui è vissuto ed è morto. La mia mancanza di fantasia mi vieta di seguirlo più in là».

 

Il persistere della concezione immanentistica porta Camus a escludere ogni intervento divino, sia di salvezza che di punizione. L’uomo, incapace di autoredenzione, basta a se stesso nel produrre colpe e punizioni: «Dio non è necessario per creare la colpevolezza né per punire. Bastano i nostri simili, aiutati da noi».

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Camus A., La caduta, traduzione di Sergio Morando, Opere, Romanzi, racconti, saggi, a cura e con introduzione di Roger Grenier, Bompiani, Milano 2000.

Grenier R., Note ai testi di Camus, in A. Camus, Opere, Romanzi, racconti, saggi, Bompiani, Milano 2000.

Nguyen-Van-Huy, La métaphysiquedubonheurchez Albert Camus, Langages à la Baconièrre, Neuchâtel 1968.

Rava E.C., Il paradosso della rivolta. Saggio su Albert Camus, Vita e pensiero, Milano 1980.

Zeppi S., Camus, un uomo in rivolta, Nuova Accademia Editrice, Milano 1961. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]