[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 159 / MARZO 2021 (CXC)


contemporanea

JACOB BURCKHARDT

LA CONCEZIONE DELLA STORIA DELLO STUDIOSO SVIZZERO

di Giovanni Pellegrino & Mariangela Mangieri

 

In questo articolo prenderemo in considerazione la concezione della storia di Jacob Burkhardt, uno dei più importanti filosofi della storia. Per prima cosa dobbiamo evidenziare che il fine di Burckhardt non fu quello di costruire una vera e propria filosofia della storia, bensì quello di elevare a “saggezza” il sapere storico. La storia non era per Burckardt una scienza di fatti neutrali, bensì un resoconto di fatti che un’epoca trova importanti in un’altra. 

 

Per Burckhardt ogni generazione deve continuamente richiamare alla memoria il proprio passato attraverso un processo di interpretazione per non dimenticarlo e per non perdere l’essenza del suo passato. Un’interpretazione del passato di questo tipo implica un processo di selezione e di valutazione.

 

Solo attraverso tale interpretazione selettiva dei fatti storici si può determinare quali siano in generale i fatti storici rilevanti, significativi ed essenziali. Burckhardt afferma a chiare lettere che non vuole e non può costruire una vera e propria filosofia della storia. Egli rifiuta di costruire un sistema che ha come oggetto la storia universale. La filosofia della storia è per lui una contraddizione in termini perché la storia coordina delle osservazioni mentre la filosofia le subordina a un principio di carattere universale.  

 

Allo stesso modo Burckardt rifiuta la teologia della storia, perché egli pensa che per costruire una teologia della storia sia necessaria la fede, cosa che Burckardt non pretende di possedere.

 

Egli cita i tentativi di Hegel e di Agostino come i più rilevanti tra quelli finalizzati a spiegare la storia secondo un principio sistematico sia esso Dio o lo Spirito Assoluto che realizza nella storia i suoi propositi.  

 

In opposizione alla Teodicea di Hegel, Burckardt insiste sul fatto che la razionalità della storia rimane inaccessibile alla nostra conoscenza dal momento che non possiamo comprendere cose che vanno al di là delle nostre capacità cognitive.      Contro l’interpretazione di Agostino egli afferma solamente: ”non ci riguarda”.

 

Ambedue le interpretazioni trascendono le possibilità dell’umana conoscenza.                    La filosofia e la teologia della storia si occupano di principi e di fini ultimi, mentre lo storico profano non può preoccuparsi ne’ degli uni ne’ degli altri.

 

In sintesi lo storico può comprendere solo il centro permanente della storia ossia l’uomo che lotta e agisce, così com’è, come è sempre è stato e come sarà. 

 

Il risultato inevitabile di rifiuto di Burckhardt di occuparsi dei fini ultimi della storia è la rinuncia a trovare un significato ultimo negli avvenimenti storici.

 

Tuttavia per Burckhardt nel fluire stesso della storia vi è una sorta di permanenza e cioè la continuità storica. Per Burckhardt la continuità storica implica lo sforzo cosciente di conservare e rinnovare la nostra eredità storica invece di accettare semplicemente la consuetudine.

 

La continuità storica è quindi un interesse essenziale dell’esistenza umana. Se poi questa continuità storica persiste anche al di fuori dell’esistenza umana di uno spirito divino che si interessa alla storia degli uomini, non siamo in grado ne’ di affermarlo, ne’ di immaginarlo.  

 

Il motivo personale delle ricerche storiche di Burckhardt e del suo attaccamento quasi disperato alla continuità storica era un’appassionata reazione alla tendenza rivoluzionaria della sua epoca.  

 

Burckhardt comprese che la restaurazione avvenuta dal 1815 al 1848 non era che un intermezzo in un’era di rivoluzioni ancora non conclusa iniziatasi con la rivoluzione francese. Burckhardt difendendo la continuità storica cercava di ritardare la dissoluzione sociale dovuta all’era delle rivoluzioni.

 

Burckardt era contrario sia allo spirito rivoluzionario, sia al militarismo dal momento che pensava che entrambi erano dannosi per la cultura. Per Burckhardt le due branche della tenaglia tra le quali veniva stretta la cultura erano la classe rivoluzionaria dei lavoratori dal basso e i militari dall’alto. 

Burckhardt disgustato dagli avvenimenti storici contemporanei si rifugiò in Italia dove raccolse materiale e idee per avere un criterio di misura per valutare tali avvenimenti. Burckhardt pensava che ciò che era accaduto nel terzo e nel quarto secolo ai tempi dell’impero romano quando il mondo antico entrò in una crisi profonda poteva verificarsi ancora nel periodo storico nel quale egli viveva.

 

Egli sentiva l’inutilità di riforme dal carattere parziale dal momento che tutta la struttura sociale si trovava nell’anarchia più completa, ragion per cui decise di chiudersi in una sorta di isolamento di tipo storico-epicureo.  

 

Secondo Burckhardt il vero problema era che la massificazione e la standardizzazione della vita di tutti gli individui erano eventi oramai inevitabili. Egli prevedeva che al posto della democrazia liberale si sarebbero instaurati i regimi totalitari governati da terribili tiranni che avrebbero invaso l’intera Europa, dominando i popoli con brutalità assoluta dal momento che disprezzavano il diritto e calpestavano la libertà e la sovranità dei popoli.

 

Per Burckhardt si profilava all’orizzonte una lunga sottomissione dei popoli europei a singoli dittatori e usurpatori dal momento che i popoli europei non credevano più ai principi etici e morali ragion per cui sarebbero caduti sotto il potere di spietati dittatori che sarebbero stati scambiati per salvatori della  patria dai popoli europei.  In tutta questa tragica situazione la continuità e la coscienza storica erano per Burckardt l’ultima spiaggia alla quale fare riferimento, erano altresì l’ultima speranza di sfuggire all’instaurarsi dei regimi dittatoriali.

 

In ultima analisi cosa era per Buckhardt la continuità storica? 

 

Per Burckhardt la continuità storica fu creata essenzialmente dall’unificazione storico- politica e culturale effettuata dall’impero romano e dalla stabilizzazione della cultura occidentale dovuta all’azione della Chiesa cristiana.   

 

L’impero romano e la chiesa cristiana permisero la creazione di una cultura europea che rese possibile anche la diffusione di una religione comune europea ovvero il Cristianesimo. Burckardt afferma che anche se l’impero romano fu fondato con i metodi più terribili ed edificato col sangue dei popoli sottomessi contribuì a creare in maniera determinante la continuità storica e la coscienza storica europee.

 

Dobbiamo mettere in evidenza che Burckhardt esalta al massimo grado il passato e nello stesso tempo disprezza il tempo presente. Difronte alle moderne lotte per la sicurezza sociale egli esalta l’antica grandezza della passione e del sacrificio per la polis greca e di fronte alle moderne aspirazioni ad un più alto tenore di vita apprezza il superamento cristiano di tutto ciò che è terreno. Egli sa bene che lo spirito dell’antichità non appartiene più al suo tempo e che molti secoli dividono il periodo d’oro del Cristianesimo dal tempo in cui Burckhardt visse. Burckhardt rifiutava con fermezza la sua epoca storica al punto tale che si considerava un vero e proprio esule della sua era.

 

Proprio perché Burckhardt rifiutava il suo tempo egli aveva una profonda ammirazione per i cristiani delle origini i quali seppero insorgere contro i piaceri e i vizi che dominavano incontrastati in quel periodo storico.

 

Gli antichi cristiani seppero conquistare gli animi e le menti degli uomini a loro contemporanei. Burckhardt mette in evidenza che mentre i poteri mondani in quel periodo storico erano corrotti, la Chiesa cristiana seppe diffondere la carità, la disciplina e l’ascetismo e perfino uomini e donne della nobiltà romana diedero i loro beni ai poveri decidendo di vivere nel mondo senza appartenervi.

 

Altri cristiani ancor più radicali lasciarono le città per ritirarsi nei deserti o nei chiostri. Per Burckhardt questi uomini erano dei veri e propri eroi del deserto in quanto seppero dopo una terribile lotta interiore rinunciare ai piaceri terreni.

 

Burckhardt afferma che senza l’esempio straordinario di questi monaci ed eremiti la Chiesa non sarebbe diventata l’unica istituzione spirituale che coltivò e trasmise ogni forma di cultura superiore. Burckhardt non dimentica che il mondo riuscì a conservare in quell’oscuro periodo storico quel sapere sopramondano e privo di utilità pratica grazie all’azione della Chiesa cristiana.  

 

Egli era molto preoccupato a causa del progredire dell’industrializzazione e della massificazione che dominavano il suo periodo storico. Per opporsi a tale massificazione e industrializzazione sfrenata egli pensava che solo la religione sarebbe stata in grado di salvare il mondo opponendosi al desiderio di potere e di denaro che dominavano incontrastati nella sua epoca.

 

Egli pensava che il modello storico a cui la religione cristiana doveva fare riferimento per svolgere la propria missione ultramondana era il Cristianesimo delle origini. Burckhardt ribadisce con forza che il vero Cristianesimo è essenzialmente ascetico e trascende la mondanità dal momento che le sue speranze e le sue aspettative sono rivolte a un altro mondo.

 

In rapporto a questo mondo il Cristianesimo è la religione della sofferenza, della rinuncia e dell’ascesi, per mezzo delle quali i cristiani delle origini giunsero alla libertà spirituale. Se da un lato Burckhardt esalta il Cristianesimo delle origini dall’altro rifiuta il Cristianesimo moderno che per rimanere accettabile alla moltitudine accetta ogni forma di compromesso con il mondo.

 

Burckardt sentiva che il Cristianesimo moderno diluito fino a diventare un umanitarismo generico non poteva fare appello agli uomini come religione beatificante e salvifica.   

 

In estrema sintesi per Burckhardt il Cristianesimo si era ormai lasciato alle spalle la sua epoca d’oro cosicché la Chiesa del suo tempo faticava molto a svolgere la sua missione proprio perché non aveva il coraggio di entrare in contrasto con i valori di questo mondo. Al contrario il Cristianesimo primitivo non aveva nessun problema a porsi in assoluto contrasto con questi valori. Esso era più rigoroso e poneva delle esigenze più elevate di quanto il Cristianesimo dei giorni di Burckhardt era in grado di fare. Burckhardt mette in evidenza che i cristiani del suo tempo volevano salvaguardare la propria posizione sociale e volevano pensare a guadagnare danaro ragion per cui non erano disposti a fare sacrifici per difendere l’integrità del Cristianesimo e non volevano entrare in conflitto con il mondo.

 

Per dirla in altro modo i cristiani contemporanei di Burckhardt non volevano rinunciare ai privilegi della civiltà moderna. Egli mette in evidenza che il Cristianesimo a lui contemporaneo aveva dimenticato che la religione cristiana ebbe il suo periodo d’oro quando riaffermava con forza la sua autonomia ed estraneità di fronte alla cultura mondana.   

 

In pratica la forza morale dei primi cristiani consisteva in buona parte nella loro indifferenza di fronte ai valori della società di quel tempo cosicché i primi cristiani rivolgevano le spalle al mondo e ai suoi piaceri essendo convinti che la fine del mondo era vicina.

 

Burchardt era assolutamente contrario alla concezione ottimistica dei protestanti del suo tempo al punto tale che egli definì empio l’ottimismo dei suoi contemporanei. Burckhardt tuttavia era convinto che sarebbe esistita una piccola minoranza di cristiani che si sarebbe messa contro il mondo sebbene la grandissima maggioranza dei cristiani si sarebbe piegata dinanzi al potere mondano. 

 

Per Burchardt tale fatto era un gravissimo problema anche se egli pensava che non esisteva nessuna soluzione a tale problema, anzi era importante denunciarne l’esistenza.

 

Concludiamo tale articolo mettendo in evidenza che Burckhardt individuò nel Cristianesimo dei suoi tempi una contraddizione interna che consisteva nel fatto che la brama di potere e la venalità dei cristiani moderni erano assolutamente agli antipodi della dedizione assoluta e del sacrificio totalizzante che caratterizzarono il comportamento dei primi cristiani che riuscirono a compiere l’impresa di sconfiggere il paganesimo.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]