[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

179 / NOVEMBRE 2022 (CCX)


attualità

BRASILE REDIVIVO

LULA E LE ELEZIONI DELLA RINASCITA

di Gian Marco Boellisi

 

Caratteristica sempre più permeante dell’era moderna è l’assistere a confronti elettorali estremamente polarizzati e di difficile interpretazione, specie alla luce delle tensioni economiche, sociali e politiche degli ultimi anni. Un esempio recentissimo di quanto scritto si è avuto in Brasile, dove le elezioni hanno portato alla vittoria, dopo numerosi anni, Luiz Inácio da Silva, detto Lula, contro l’avversario Bolsonaro.

 

Definito da alcuni analisi l’appuntamento elettorale più importante del 2022, il risultato ottenuto non solo avrà un’enorme influenza nella vita dei brasiliani nei prossimi anni, ma influenzerà anche numerosi equilibri regionali e mondiali, vista soprattutto l’enorme importanza e il peso che il Brasile ricopre sullo scenario internazionale. È di quindi di grande interesse comprendere come si è arrivati alla vittoria di Lula e dove essa porterà.

 

Partiamo da un’analisi dei risultati. Le elezioni infatti si sono tenute in due turni con esiti molto indicativi sul tessuto politico brasiliano. Il primo turno si è concluso con Lula in vantaggio con un 48,40% dei voti, pari a circa 57 milioni di preferenze, contro il suo avversario Jair Bolsonaro in seconda posizione con il 43,22%, ovvero circa 51 milioni di voti. Tutti gli altri partecipanti, i partiti minori piuttosto che i candidati indipendenti non hanno avuto neanche una speranza di competere con i due grandi favoriti.

 

Dopo circa un mese di campagna elettorale asprissima, alla fine Lula è risultato trionfante al secondo turno, ottendendo il 50,8% dei voti contro il 49,2% di Bolsonaro. Lo scarto di 1,6 punti percentuali può già far notare come la partita si sia combattuta praticamente con un testa a testa durante tutto lo scrutinio. A oggi questo risulta essere il distacco più piccolo nei ballottaggi della storia di tutto il Brasile.

 

Nonostante ora Lula possa dire di essere veramente tornato dopo undici anni di assenza dal soglio presidenziale, chi affermava che Bolsonaro fosse sconfitto in partenza ha dovuto ricredersi concretamente. L’ormai ex presidente del Brasile è stato sempre in piena partita e inoltre ciò dimostra anche che il grande risultato del 2018 non è stata un’eccezione, ma un segnale di scontento molto forte da parte dell’elettorato brasiliano verso la gestione della cosa pubblica perpetrata dai governi precedenti. Inoltre, nonostante la più che discutibile gestione dell’economia brasiliana, delle tensioni sociali interne e soprattutto della pandemia, la quale ha colpito il paese con singolare forza anche a causa del lassismo del governo nell’effettuare restrizioni, un’importante fetta del popolo brasiliano ha voluto confermare la propria fiducia verso Bolsonaro.

 

Giusto per dare una visione più d’insieme, Lula e Bolsonaro rappresentano due anime distinte e inconciliabili del Brasile. Da un lato vi è Lula, classe 1945 proveniente da una famiglia di umilissime origini dello stato di Pernambuco. Costretto a dover lavorare sin dalla tenera età, Lula decise di comprendere sempre più a fondo le dinamiche del lavoro brasiliano, divenendo negli anni ’70 una delle figure di riferimento del sindacalismo nazionale. Nei primi anni ’80 formò il nucleo di quello che sarebbe diventato il Partito dei Lavoratori (Partido dos Trabalhadores, PT), unendo al suo interno varie anime della sinistra carioca, quali intellettuali, sindacalisti, membri della società civile. Da qui Lula iniziò a candidarsi alle varie tornate elettorali dal 1989 in poi, cercando di ottenere la presidenza per attuare i piani di riforma del paese che già in quegli anni erano ben presenti nella sua testa.

 

Nel 2002 Lula prese una decisione politica molto importante, aprendo il suo partito al centro e cercando di trovare una mediazione con quelle frange politiche del paese insieme alle quali si sarebbe potuto formare un governo. Proprio quest’anno la sua coalizione ottenne il 46% dei voti al primo turno e un 61,3% al ballottaggio contro lo sfidante José Serra. Come gesto più eclatante di questa apertura centrista va ricordata l’assegnazione della vicepresidenza a José Alencar, membro del Partido Liberal.

 

Negli otto anni di governo successivi, tramite programmi sociali quali Bolsa Familia, Lula riuscì a portare circa 30 milioni di persone fuori dalla soglia di povertà, ad aumentare la scolarizzazione fino al 90% dei bambini brasiliani e a ridurre la disoccupazione di 4-5 punti percentuali in pochissimo tempo. Questi programmi tuttavia ebbero un costo non indifferente per le casse dello stato, per le quali i programmi di welfare pesavano a bilancio per circa il 40%. Per ovviare a ciò il governo Lula cercò di puntare sulle risorse naturali, in particolare energetiche, disponibili nel proprio paese, aumentando gli investimenti nel settore petrolifero, puntando sui biofuel da canna da zucchero, ma tenendo anche un importante occhio di riguardo per quelle che erano considerate fonti energetiche green e sostenibili.

 

Terminato il limite dei due mandati, Lula si fece da parte per dare spazio alla collega di partito Dilma Rousseff prima e Michel Temer poi. Proprio in questi anni sembrò che la parabola di Lula fosse ormai al termine. La crisi economica del 2008 infatti mise in forse le politiche sociali attuate dai suoi governi, e inoltre Lula stesso fu coinvolto tra il 2016 e il 2019 in una vera e propria odissea giudiziaria in quella che passerà alla storia come la “mani pulite” brasiliana: l’inchiesta Lava Jato.

 

Presieduta dal super-procuratore Sergio Moro, l’inchiesta accusò e infine condannò Lula per corruzione da parte della ditta petrolifera Petrobas, portando il vecchio presidente al carcere nel 2018 e impedendogli di candidarsi nuovamente alle elezioni. Dopo un anno e mezzo dalla condanna, ovvero nel novembre 2019, Lula uscì dal carcere e ottenne la caduta delle accuse nei suoi confronti, dimostrando altresì la collusione di Moro con il fronte di Bolsonaro e quindi un interesse politico nella sua interdizione.

 

Dall’altro lato invece abbiamo Jair Messias Bolsonaro, esponente della destra nazionalista e militarista del Brasile. Nato nel 1955 nello Stato di San Paolo, Bolsonaro si formò nell’esercito brasiliano degli anni della dittatura. Finita l’esperienza militare, si avvicinò al Partito Cristiano-Democratico, formazione politica dalle idee estremamente conservatrici, grazie al quale riuscì a far carriera fino ad arrivare a essere eletto nel 1991 in Parlamento a Rio de Janiero. Da allora la carriera politica di Bolsonaro è stata fatta da dichiarazioni estreme e da altrettanto estreme proposte di legge, quali ad esempio la risoluzione della povertà tramite la sterilizzazione delle fasce più basse, la militarizzazione delle strade per combattere il crimine e così via. Nei suoi ventisette anni di carriera da parlamentare, solo due delle sue 173 proposte sono state tramutate in legge.

 

Conscio delle tensioni presenti in Brasile, Bolsonaro ha saputo sfruttare il momento propizio per farsi avanti e giocare la sua partita. È riuscito infatti a compattare intere fette di elettorato all’indomani della grande sfiducia nei confronti della classe politica causata dall’inchiesta Lava jato. Nel 2018 decise così di entrare nel Partito Social-Liberale e, tramite una campagna elettorale effettuata con totale mancanza di rispetto nei confronti dei propri avversari, delle minoranze o di chiunque non fosse d’accordo con le sue idee, riuscì a ottenere il seggio della presidenza.

 

Utente molto attivo sui social come Facebook e Youtube, Bolsonaro ha saputo attrarre a sé l’elettorato conservatore in ricerca di un punto di riferimento. Un esempio fra tutti in questo senso è costituito dalla comunità evangelico-cristiana, nuova forza politica in ascesa negli ultimi anni in tutto il Brasile la quale anno dopo anno sta surclassando la vecchia frangia cattolica dal punto di vista numerico e non solo.

 

Alla fine del primo turno delle elezioni del 2018 Bolsonaro ottenne il 46% dei voti, vincendo poi al ballottaggio con il 55% delle preferenze contro l’avversario di sinistra Fernando Haddad. Oltre al sostegno delle comunità evangeliste è da riportare un supporto importante nei suoi confronti da parte dei grandi proprietari terrieri, i cosiddetti fazendeiros, e dal ceto imprenditoriale in generale, sicuri questi di vedere allentate le limitazioni ambientali imposte sotto Lula e in generale uno scenario di deregolamentazione economica molto più spinto.

 

Nonostante il successo, Bolsonaro ha avuto grandi difficoltà durante il suo governo, specie a causa della mala gestione della pandemia e dei suoi cambiamenti continui della squadra di governo. Come osservazione generale, Bolsonaro non è altri che la punta dell’iceberg di uno scontento ben più ampio e radicato all’interno del Brasile moderno, simbolo delle sue infinite difficoltà nel progresso e delle sue altrettanto complesse contraddizioni.

 

Ora che si è presentato un quadro più specifico sulle forze in campo, è importante osservare un’analogia rispetto alle elezioni del 2018. Infatti se all’epoca ci si era sorpresi che il dibattito fosse diventato troppo polarizzato e senza alcun margine di incontro tra i candidati, questo altro non era che l’antipasto rispetto a quello che si è visto negli scorsi mesi. Prova ne sia che la famosa linea centrista, la possibilità di una terza via tra destra nazionalista e sinistra populista non ha mai avuto una minima speranza di affermarsi. Un esempio chiarificatore può essere il fatto che, oltre a Lula e Bolsonaro, vi fossero altri 11 candidati e che nessuno è mai riuscito a mobilitare gli elettori brasiliani come fatto dai due candidati principali.

 

La polarizzazione è arrivata a tal punto che le parole in alcuni casi sono state sostituite dalla violenza. Un esempio è il caso del Mato Grosso, dove un militante del partito di Lula è stato accoltellato da un sostenitore di Bolsonaro. D’altronde non ci si poteva aspettare molto altro quando si sente Bolsonaro dare del “ladro” al proprio avversario e di contraltare Lula definisce l’ormai ex presidente un “genocida” e un “fascista”. Il Brasile purtroppo non è estraneo alla violenza nel mondo politico, contando che solo nel 2022 ci sono stati 1.209 delitti politici, inclusi quelli di 45 dirigenti.

 

L’estremizzazione del dibattito è dovuta alle condizioni in cui versa il Brasile di oggi, in cui una gran parte della popolazione è disposta a seguire chiunque possa promettere una condizione di vita migliore rispetto a quella attuale. Basti pensare che il paese è uscito dalla pandemia con 685 mila morti, con un tasso di disoccupazione al 9,1% e con una percentuale della popolazione che soffre la fame pari al 15%. Anche per questo motivo Bolsonaro, cercando di tappare i suoi buchi programmatici in ambito di politiche sociali, ha provato ad aumentare il sussidio ai poveri in agosto 2022 e ha cercato di abbassare le tasse. Degli interventi pagliativi sicuramente, ma che hanno aiutato molte famiglie a garantire un pasto in tavola quando la situazione lavorativa del paese non è delle migliori.

 

Sebbene molti analisti abbiano temuto la possibilità di un colpo di stato da parte dello sconfitto Bolsonaro, lasciando da parte i fenomeni di protesta in svariate città all’indomani delle elezioni, simili timori sono stati presto smentiti. Infatti nei mesi passati Bolsonaro stesso aveva detto che avrebbe accettato lo spoglio finale solo se lo avrebbe ritenuto valido, cosa che aveva aumentato i timori dei brasiliani e non solo.

 

Non hanno aiutato di certo a calmare i timori le perquisizioni della polizia nelle case di alcuni imprenditori che nelle chat di WhatsApp paventavano la possibilità di un golpe in caso di sconfitta di Bolsonaro. Sebbene l’esercito abbia guadagnato una notevole importanza sotto l’amministrazione di quest’ultimo, esso si è dimostrato super partes e non intenzionato a farsi coinvolgere (per il momento) nelle lotte di potere politico brasiliano. Specie considerando che le reazioni della comunità internazionali all’indomani del colpo di stato andrebbero a ledere proprio quegli interessi economici che un golpe militare vorrebbe cercare di assicurare.

 

A oggi, anche con la vittoria della sinistra di Lula, il Brasile è ancora ben lontano dall’aver raggiunto una pacificazione politica. La radicalizzazione è ancora forte all’interno della varie anime dei brasiliani e starà al nuovo esecutivo far sì in modo che il paese possa vivere una seconda vita dopo così tanti mesi, se non anni, di divisioni e contrapposizioni.

 

Per avere un elemento in più di analisi è importante capire come si è suddiviso l’elettorato tra i due schieramenti. Gli elettori di Bolsonaro sono per lo più maschi, con un età compresa tra i 40 e i 50 anni, con un grado di istruzione mediamente elevato e con una grande adesione da parte dei fedeli evangelico-protestanti. Gli elettori di Lula invece sono mediamente più giovani, tra i 18 e i 25 anni, appartenenti alla classi più umili con gradi di istruzione che si fermano alle elementari e di orientamento religioso variegato, anche se con una grande presenza di cattolici. Ciò ci può far capire come il Paese, al di là delle ideologie politiche, sia proprio spaccato in due da religione, istruzione e censo, fratture queste non sanabili nell’arco di una o due amministrazioni presidenziali.

 

Da un punto di vista internazionale, con l’elezione di Lula si continua con la scia di vittorie ottenute dalle sinistre sudamericane negli ultimi anni, quali quelle di Boric in Chile e di Petro in Colombia. Altro dato importantissimo è l’affermarsi di una sinistra non più rivoluzionaria, come può essere considerata quella cubana o quella chavista, ma una sinistra progressista, capace di dialogare con le varie anime del paese e di inserirsi allo stesso tempo in un contesto internazionale estremamente esigente e dinamico. Nello specifico caso del Brasile, la vittoria di Lula riporterà a un riposizionamento del Brasile e dell’intero continente sudamericano sullo scacchiere mondiale. Ricordiamo infatti che i due governi Lula dal 2002 al 2010 furono quelli dell’internazionalizzazione del Brasile, dell’ingresso nel G20, della creazione dei BRICS e della costruzione di un ordine “alternativo” a quello instauratosi dopo la fine della Guerra Fredda nel 1991.

 

Ed è proprio per quanto riguarda questo punto che numerosi analisti si sono domandati cosa accadrà nei prossimi mesi ora che Lula è tornato al potere. Questo poiché la posizione internazionale del Brasile è una di quelle cose che può cambiare tranquillamente gli equilibri mondiali di potere, per quanto questo stato possa sembrare tanto lontano dalle cronache di tutti i giorni. Le posizioni terzomondiste di Lula non sono certo un segreto, tuttavia non è ancora chiaro quanto e come cercherà di declinare tali ideologie all’interno del contesto internazionale odierno. Da non sottovalutare poi il fatto che, come riportato da alcune inchieste, il processo Lava Jato sia stato in parte avvallato se non in toto supportato dagli Stati Uniti, i quali volevano un governo di destra in Brasile dopo tanti anni di Lula al potere. Se questo fosse vero, di certo non farebbe partire con un buon inizio le relazioni tra Brasilia e Washington.

 

Di diversa natura invece saranno le relazioni con Russia e soprattutto Cina. Quest’ultima solo nel 2021 ha avuto un commercio con il Brasile per 135 miliardi di dollari e un terzo delle esportazioni carioca sono verso Pechino. Oltre a vedere quindi i BRICS come una piattaforma importante per rilanciare il poprio paese a livello internazionale, Lula sicuramente dovrà interfacciarsi molto con il suo omologo cinese per evitare di essere troppo dipendente dalle esportazioni verso Pechino. Infatti le politiche degli ultimi anni suggeriscono come l’obiettivo della Cina possa essere far diventare il Brasile un bacino di produzione di materie prime a uso e consumo solo del mercato cinese, usando peraltro la sua posizione geografica per strappare influenza agli Stati Uniti nel Sud America. Alcuni analisti addirittura scommettono che Lula sarà tentato, o forse costretto, all’aderire alla Nuova Via della Seta. Per quanto sia ancora presto per dirlo, non è da escludere che la voglia di rivalsa e di rilancio del proprio paese possano portare il nuovo presidente ancora più tra le braccia del dragone cinese.

 

In un’ottica d’insieme il Brasile, sia durante l’amministrazione Lula sia durante quella Bolsonaro anche se più modestamente, aderisce a pieno titolo alla visione multipolare portata avanti negli ultimi anni con grande vigore da Russia e Cina. Questo soprattutto perché Brasilia vede in queste organizzazioni internazionali “alternative”, quali i BRICS, delle piattaforme per proiettare oltre il continente sudamericano la propria influenza e la propria economia. Ed è proprio per questo che anche sotto Bolsonaro si è fatta molta fatica a prendere posizione contro la Russia nella vicenda ucraina. Basti pensare che l’85% dei fertilizzanti importati dal Brasile proviene dalla Russia, i quali vengono utilizzati nei grandi campi brasiliani per produrre una grande varietà di prodotti agricoli, per la maggior parte soia, la quale poi viene esportata in Cina. Altro fattore da non dimenticare è come il Brasile abbia usato l’India per importare greggio russo scavalcando le sanzioni internazionali. Da qui si può capire come il Brasile dovrà decidere a breve da che parte della scacchiera stare, per le sfide internazionali di oggi ma soprattutto per quelle di domani.

 

In conclusione, la vittoria di Lula è stata salutata dalla maggior parte degli osservatori internazionali come una ventata d’aria fresca dopo i quattro anni molto tormentati e controversi di Bolsonaro. Per quanto la vittoria sia stata innegabile, essa è arrivata a un carissimo prezzo, con un Brasile ancora estremamente diviso e polarizzato, e con uno scarto minimo, simbolo ancora maggiore di una divisione che vivrà ancora a lungo nel paese sudamericano.

 

Il lavoro che il governo dovrà fare sarà molto difficile, specie perché dovrà cercare di includere nelle proprie politiche tutti i brasiliani che alle elezioni hanno votato per gli avversari. Per quanto Lula si sia sempre un po' sentito il leader del Sud del mondo, il contesto internazionale odierno è cambiato enormemente rispetto all’ultima volta in cui Lula stesso fu presidente, motivo per il quale le sue politiche estere dovranno essere molto più diversificate e incentrate all’equilibrismo. Infatti vista l’epoca di enorme transizione che stiamo vivendo, il Brasile dovrà assolutamente pacificare le numerose anime che vivono al suo interno: solo così riuscirà a emergere e a sfruttare l’immenso patrimonio naturale, politico e soprattutto umano di cui solo lui è detentore tra tutti gli stati al mondo.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]