[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

175 / LUGLIO 2022 (CCVI)


contemporanea

SUL CONFINE TRA BOTSWANA E ZIMBABWE

STORIA DI UNA BARRIERA

di Lorenzo Bruni

 

Botswana e Zimbabwe sono due Stati, collocati nella parte meridionale del continente africano, la cui storia presenta molte differenze, così come la loro attuale situazione economica, sociale e politica. Entrambi hanno fatto parte dell’impero coloniale britannico, sebbene il primo sia riuscito nel tempo a mantenere rapporti assai più amichevoli con gli inglesi, e si sono affrancati dal dominio europeo negli anni Sessanta del Novecento: il Botswana ha ottenuto l’indipendenza nel 1966, entrando immediatamente nel Commonwealth e concedendo al suo popolo una costituzione e libere elezioni, mentre per lo Zimbabwe il processo fu molto più complesso.

 

Nel 1953 l’Inghilterra aveva infatti accorpato i territori di Zimbabwe, Zambia e Malawi nella “Federazione della Rhodesia e del Nyasaland”, suscitando la rabbia di molte tribù nazionaliste di etnia bantu. L’11 novembre 1965 il primo ministro della Rhodesia meridionale, Ian Smith, dichiarò unilateralmente l’indipendenza in quella che avrebbe dovuto chiamarsi Repubblica della Rhodesia. Il giorno successivo l’ONU disconobbe il nuovo Stato con la Risoluzione 216, invitando tutti i membri a non riconoscerlo e applicando sanzioni economiche.

 

Gli anni successivi della Repubblica della Rhodesia furono caratterizzati da una sanguinosa guerra civile: la politica di Smith andava a privilegiare i bianchi colonizzatori e l’etnia nera ndebele, ma anche a escludere dalle zone d’influenza politica ed economica la maggioranza della popolazione nera, di matrice etnica shona.

 

Uno dei rappresentanti rivoltosi, Robert Mugabe, fondò nel 1963 la ZANU (Unione Nazionale Africana Zimbabwe), composta prevalentemente da shona, scindendosi dalla già esistenze ZAPU (Unione Popolare Africana Zimbabwe), che, nonostante la forte componente ndebele, protestava apertamente nel tentativo di cacciare i bianchi europei; i due gruppi, finanziati rispettivamente da Cina e Unione Sovietica, iniziarono a entrare in conflitto sia con le istituzioni governative che tra loro. Nel 1976 Mugabe, nel tentativo di sbloccare la situazione di apartheid che si era andata radicando nel Paese, propose al leader ZAPU, il più diplomatico Joshua Nkomo, l’unione dei due gruppi antigovernativi in un’unica associazione, chiamata Fronte Popolare.

 

Nel bienno 1979-1980, grazie alla mediazione dell’Inghilterra, lo Zimbabwe ottenne ufficialmente l’indipendenza, venendo riconosciuto anche dall’ONU, e le prime elezioni videro vincitore proprio Mugabe, mentre Nkomo divenne vicepresidente. Dopo aver definitivamente allontanato i bianchi dalla politica del Paese, Mugabe approfittò degli anni seguenti per rafforzare il potere nella sua stessa persona: nel 1982 sciolse il governo e, l’anno successivo, approfittando di una crisi interna al Fronte Popolare, che si stava trascinando dal 1980, ordinò a una sezione armata della Zimbabwe National Army di mettere a tacere ogni tipo di opposizione.

 

Tra il 1983 e il 1988, anno in cui una pace sancì la vittoria di Mugabe e l’allontanamento di Nkomo dal governo, si calcola che circa trentamila cittadini, per la grande maggioranza di origine ndebele, siano stati massacrati dall’esercito regolare: questo genocidio è conosciuto col nome Gukurahundi, che può essere tradotto con “sbarazzarsi di qualcosa”.

 

Nel frattempo, l’economia del Botswana stava vivendo una rapida ascesa, impensabile per un Paese che al momento dell’indipendenza si trovava sull’orlo del collasso, annichilito dal debito fiscale dovuto all’Inghilterra. Il merito di questo miracolo economico è dovuto alla grande opera riformatrice del primo presidente, Seretse Khama, che, dopo aver attuato durissime norme per combattere la corruzion, vagliò una serie di riforme volte a trasformare il Botswana in uno Stato orientato al commercio d’esportazione: prima lo rese uno dei principali rifornitori di carni bovine dell’Europa; poi, grazie alla scoperta del giacimento diamantifero di Orapa, divenne il principale esportatore mondiale di diamanti grezzi, ruolo che il Botswana riveste tutt’oggi, arrivando a ricoprire circa il 33% dell’attività diamantifera mondiale.

 

Se il piano economico proposto da Seretse Khama stava riscuotendo un successo eccezionale, non sarebbe stato possibile dire lo stesso dello Zimbabwe. Negli anni successivi al repressivo accentramento del potere su Mugabe, in realtà, non soltanto l’economia, ma anche le condizioni sociali degli abitanti dello Zimbabwe subirono dei notevoli miglioramenti: in quegli anni vennero costruiti circa cinquecento centri sanitari, cosa che comportò un innalzamento delle aspettative di vita da 55 a 59 anni, aumentò il numero dei vaccini disponibili per ogni bambino, il sistema scolastico venne riformato e reso più accessibile, tanto che lo Zimbabwe divenne uno dei Paesi africani con il tasso di analfabetismo più basso; inoltre Mugabe cercò con alcuni interventi economici di appianare le differenze salariali tra gli abitanti, che rimasero comunque marcate, e nel 1988 promulgò una legge che, almeno sulla carta, stabiliva parità di diritti tra uomini e donne.

 

Tutti questi miglioramenti andarono in fumo negli anni Novanta, quando, seguendo la propria politica personale di odio nei confronti della popolazione bianca, Mugabe diede iniziò a una serie di riforme agricole che sarebbero continuate fino agli anni 2000, volte a espropriare le terre coltivate ai bianchi, sfruttando anche l’intervento dell’esercito. La popolazione bianca, che iniziò a emigrare verso il Sudafrica, possedeva negli anni Novanta circa il 75% delle terre coltivabili: espropriando loro le coltivazioni, venne a mancare la spina dorsale dell’economia zimbabwese che, andando a sommarsi alle ingenti spese militari dovute alla partecipazione alla Seconda guerra del Congo, portarono lo Zimbabwe al tracollo finanziario.

 

In poco tempo le scuole iniziarono a chiudere, i generi alimentari a mancare, l’inflazione a impennarsi e una grave epidemia di AIDS a falcidiare la popolazione, diminuendo drasticamente le aspettative di vita. È in questo contesto economico e politico che, nel 2003, è stata costruita una barriera di filo spinato elettrificato, posto sul confine tra i due Stati africani. Lungo circa 482 km, su un totale di confine comune di 813 km, e alto per una media di 2.4 m, lo sbarramento è stato completato nel 2008 ed è venuto a costare circa 3.5 milioni di euro; tale somma, comunque, sembra sia stata fornita in buona parte dall’Unione Europea per proteggere i propri interessi.

 

Il motivo ufficiale per il quale questa barriera è stata costruita deve essere fatto risalire al 2001: in quell’anno una terribile epidemia di Afta Epizooica ha colpito gli allevamenti botswani, causando la morte di circa tredicimila capi tra bovini e caprini, con gravi ripercussioni sull’economia del Paese. Il governo del Botswana ha attaccato quello dello Zimbabwe, accusandolo di non prestare abbastanza attenzione alla pericolosità del morbo e di non vaccinare a sufficienza i propri animali e la popolazione. La costruzione della barriera di filo spinato è quindi stata giustificata al fine di proteggere il bestiame da un’altra eventuale epidemia di Afta Epizooica.

 

Il Botswana, di fatto, è al momento tra i principali rifornitori di carni bovine per l’Unione Europea, ma in base agli accordi di contratto la merce fornita deve rispondere di certi requisiti, così come le tecniche di allevamento: se un solo capo bovino fosse trovato positivo all’Afta Epizooica, il governo botswano sarebbe obbligato a chiudere l’intera area d’allevamento per un lungo periodo di tempo, perdendo una notevole quantità di introiti anche nel caso in cui l’epidemia fosse contenuta. Il governo zimbabwese non ha accettato questa spiegazione, ritenuta poco plausibile per il fatto che i roditori di piccola taglia, probabili portatori attivi del morbo, sono comunque in grado di attraversare la recinzione, e ne ha fornita un’altra: secondo loro la barriera è stata costruita per impedire il passaggio di immigrati clandestini dallo Zimbabwe al Botswana.

 

In effetti, la migliore situazione economica del Botswana ha da sempre richiamato un gran numero di emigrati da altri Stati; ma se in passato il processo migratorio veniva favorito per la continua ricerca di forza lavoro, oggi viene considerato un problema e apertamente osteggiato.

 

Le cause principali sono di tipo economico e sociale. Infatti, negli ultimi anni è andato aumentando un sentimento di odio e diffidenza nei confronti della popolazione zimbabwese, accusata di essere più incline al furto e al crimine: nel 2006 è stato calcolato che circa il 50% dei crimini in Botswana è stato compiuto da immigrati zimbabwesi; a preoccupare sono soprattutto le violenze sessuali, dato che nello Zimbabwe continua a diffondersi l’AIDS.

 

Particolare astio è stato creato dai furti di bestiame di pastori zimbabwesi, che si introducono di notte in territorio botswano per rapire gli animali e trasportarli nel proprio Paese: al di là del loro valore economico, infatti, i bovini sono considerati animali sacri nella cultura dell’etnia Tswana. Questo dilagante razzismo ha portato negli ultimi anni a un aumento della violenza interna verso gli zimbabwesi, con l’aumento dell’ostilità della popolazione e della stampa locale.

 

Inoltre, il rimpatrio degli immigrati clandestini costa ogni anno 1.700.000 pula, circa 130.363 euro, al governo locale, tra le operazioni di cattura e ridistribuzione e per il mantenimento dei centri di accoglienza, dove vengono smistati prima di essere ricondotti in patria: nel 2003 il numero di zimbabwesi arrestati e riportati oltre il confine era di circa 200 persone al giorno, mentre nel 2006 il numero corrispondeva a circa 5.000 individui al mese.

 

A questa spesa deve essere anche aggiunta quella inerente al mantenimento della barriera: capita spesso che, per transitare da una parte all’altra, i migrati, ma anche gli animali, causino danni al filo spinato, che deve essere continuamente revisionato; in alcuni casi sono stati addirittura sfruttati degli elefani, lanciati a gran velocità contro la recinzione, della quale ovviamente sono state abbattute larghe porzioni.

 

Esistono inoltre altre complicazioni dovute all’esistenza della barriera, sia di carattere sociale che ecologico: al momento della costruzione del muro spinato molte tribù zimbabwesi si sono trovate separate dalle zone nelle quali in precedenza cacciavano o addirittura dai corsi d’acqua necessari al proprio sostentamento. Spesso l’intervento della polizia è stato necessario non per impedire il passaggio clandestino, bensì per sedare le proteste dell’inferocita popolazione limitrofa che, armata di bastoni e pietre, ha più volte cercato di abbattere quell’ostacolo alla propria sopravvivenza.

 

Oltre a questo devono essere considerati anche i danni ambientali: al di là di come il paesaggio ne risulti deturpato, la migrazione naturale degli animali non è più libera come un tempo, con il risultato che la fauna del posto ha dovuto modificare i propri itinerari, spesso necessari per procacciarsi il cibo o per abbeverarsi alle fonti, con risultati anche fatali.

 

Nonostante la fine della longeva dittatura di Mugabe, che, al termine del colpo di Stato del 14 novembre 2017, è stato sostituito da Emmerson Mnangagwa, il rapporto tra i due Paesi non è andato migliorando: il recinto spinato continua a essere riparato in quei punti dove la struttura minaccia di cedere e aumentano le forze di controllo poste alla supervisione dello stesso.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]