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N. 24 - Maggio 2007

BORBONI, SAVOIA E BRIGANTI (1860-1870)

Intervista a Paolo Zanetov

di Giovanna Canzano

 

“…perché durante il periodo della Restaurazione borbonica il brigantaggio ha continuato ugualmente ad operare, sia pure in forma minore.” …” Il fenomeno, sociale prima che politico, traeva potente spunto dall’occupazione delle terre demaniali da parte degli usurpatori, la nascente borghesia agraria, e dalla conseguente reazione dei contadini che volevano che queste terre ritornassero al demanio per poter usufruire di alcuni diritti che anticamente gli erano concessi…” (Paolo Zanetov)

CANZANO. La politica di oggi, ha collegamenti con la storia di ieri?

ZANETOV. Ci sono dei buchi storici vistosissimi, ancora adesso. Alcuni incartamenti che riguardano il brigantaggio politico del 1860 – 1870 sono ancora dei tabù. Per esempio, l’Arma dei Carabinieri non apre i suoi archivi che riguardano episodi di brigantaggio, mentre l’esercito lo ha permesso solo cinque anni fa. Ci sono archivi ancora secretati come se fossero segreti di stato, in realtà sono cose avvenute nel 1860, quindi, se questo è valido per il 1860, figuriamoci per archivi più recenti.

CANZANO. Come Fondazione ISSE vi occupate di archivi?

ZANETOV. Come fondazione ISSE, abbiamo fatto un lavoro che riguarda questo specifico argomento Due anni fa, abbiamo portato a termine una ricerca negli archivi americani. Abbiamo mandato due nostri ricercatori negli archivi del Nara in America che hanno riportato in Italia una serie di documentazione che era stata sottratta agli archivi italiani dopo la seconda guerra mondiale.
Per il caso Matteotti, per esempio, c’è tutta la documentazione di Dumini, che era considerato il capo degli attentatori. Quella documentazione non l’abbiamo in Italia, è in America. E’ sta ta desecretata e quindi abbiamo potuto raccoglierla in copia. Gli americani sono più attenti di noi, hanno una legge che consente ogni tot anni di desecretare i documenti per metterli a disposizione degli studiosi.

CANZANO. Dopo l’11 settembre…

ZANETOV. E’ ancora una storia troppo recente…. Il Nara è l’equivalente degli Archivi Centrali dello Stato. Se uno fa delle ricerche, si trova davanti spesso e volentieri a queste problematiche, perché alcuni documenti non possono essere visti se non dopo cinquant’anni, e molti non possono essere visti per niente .
La documentazione dell’archivio è molto importante per uno storico ma a volte non così decisiva come alle volte può sembrare.
Recentemente è uscito un libro ‘Storia segreta della Sicilia’ del prof. Casarubbea basato su una ricerca documentale curata da Cereghino, uno dei migliori specialisti italiani, svoltasi al Nara contemporaneamente alla nostra. Però la sua documentazione, per quanto ottima, non basta p er scrivere un libro con i dovuti requisiti scientifici, perché gli agenti segreti o i confidenti che rilasciano la dichiarazione non sempre dicono il vero. La documentazione va sempre comparata con altre fonti, cioè con altri documenti, fonti orali e materiali a stampa. Per cui questa documentazione, per il solo fatto di esistere, non è detto sia la sacrosanta verità, perché un informatore, un agente segreto che vuole fare bella figura con i suoi capi, tende a far vedere di aver lavorato bene e capita spesso che inventa , aggiunge di suo.

CANZANO. E’ facile, quando le fonti non sono consultabili…

ZANETOV. La documentazione è basilare nel criterio storico e va comparata. Nel caso del citato libro sulla Sicilia, l’autore ha inteso invece prendere questi contributi come fossero oro colato. La sua tesi è che la strage di Portella della Ginestra fu eseguita da uomini della Decima Mas. In base a delle informative raccolte da agenti segreti italiani e americani che affer mavano non proprio questo, ma che potevano in qualche modo far capire che una presenza fascista in quel contesto ci fosse stata, ha costruito questo libro a tesi, in cui determina che sicuramente, senza ombra di dubbio, la strage fu eseguita da ex appartenenti alla Decima Mas.
Arriva anche ad affermare che il bandito Giuliano era un fascista travestito, che in realtà aderiva alla RSI. Questo appare un lavoro di assoluta fantasia, fatto sta che il quotidiano Repubblica ha dato ampio spazio a queste “rivelazioni”, del resto recentemente confutate, punto per punto e prove alla mano, da Daniele Lembo, nel suo libro “La guerra del dopoguerra” dell’editrice Maro.

CANZANO. Parliamo del 1860 con l’ascesa nel sud dei Savoia.

ZANETOV. Questa è una guerra civile, perché in realtà dal 1860 al 1870 il cosiddetto brigantaggio politico è stata veramente una guerra civile. Mi sono laureato con una tesi su questo argomento e quindi lo studio da anni.
In questa rivolta ci sono de gli aspetti che riguardano il sociale, come nel caso dei contadini che cercavano di opporsi alle prepotenze della classe borghese, dei latifondisti che li opprimevano. E’ una storia vecchia che durava da quando erano arrivati i francesi in Italia, quindi durava dalla fine del ‘700 e si è sviluppata nel lungo periodo. Il brigantaggio nel sud è sempre stato un fenomeno endemico che ha avuto i suoi momenti epidemici nel momento in cui sono intervenute forze estere. Il Brigantaggio trova sviluppo, inizialmente contro i francesi, durante il cosiddetto Decennio ma poi anche contro i Borbone, perché durante il periodo della Restaurazione borbonica il brigantaggio ha continuato ugualmente ad operare, sia pure in forma minore. Poi c’è stato un periodo di tranquillità almeno apparente nel meridione. Il fenomeno, sociale prima che politico, traeva potente spunto dall’occupazione delle terre demaniali da parte degli usurpatori, la nascente borghesia agraria, e dalla conseguente reazione dei contadini che volevano che queste terre ritornassero al demanio per poter usufruire di alcuni diritti che anticamente gli erano concessi, come il diritto di legnatico, di poter spigolare dopo la raccolta etc.. Erano cose semplici, ma su cui l’economia contadina era basata . Quando venne abolita la feudalità si abrogarono di conseguenza tutti questi privilegi. I terreni demaniali o di appartenenza all’Università, furono costantemente usurpati da ricchi proprietari terrieri locali, in pratica dalla borghesia che era in forte sviluppo e naturalmente i contadini rimasero schiacciati da questa operazione. Dopo lo sbarco dei Mille, Garibaldi aveva promesso appunto la restituzione di questi terreni demaniali ed una sorta di riforma agraria, cosa che poi, non fu fatta. Tutto si è complicato, perché, a questo sottofondo di guerra sociale che è stato l’incubatore di lungo periodo a questa rivolta, si aggiunsero altri fatti politici. L’estromissione forzata dei Borboni ha naturalmente accelerato notevolmente gli episodi reazionari. Il fenomeno quindi è più complesso di come potrebbe essere schematizzato a prima vista definendo i briganti come fautori sic et simpliciter dei Borbone contro gli invasori piemontesi .
Dieci anni di autentica rivolta contadina hanno provocato migliaia di morti e danni tremendi. Questo lungo periodo di brigantaggio non fu dovuto esclusivamente al fatto politico immediato, ossia all’invasione piemontese, che pure ebbe un suo peso notevole, quanto ad una lotta politica all’interno della società meridionale che trovò sviluppo nell’invasione stessa. Le borghesie locali sostanzialmente erano in continua guerra fra loro per i posti più importanti, perché essere sindaco di un paese o comandante della guardia nazionale o segretario del paese permetteva di avere posizioni di comando, in tramite questo potere, ottenere il famoso possesso della terra. Queste cariche erano molto ambite. Quando si innesca il meccanismo dell’invasione, per ché di invasione piemontese si trattò, queste borghesie si dividono al loro interno: una parteggia, fittiziamente, per i Borbone, una parteggia, fittiziamente, per i Savoia. La posta in gioco è il potere politico. Di volta in volta queste borghesie si sono appoggiate all’una o all’altra fazione secondo le convenienze momentane e hanno foraggiato il brigantaggio come arma di pressione rivolta contro gli avversari locali di sempre.

CANZANO. Come hanno foraggiato il brigantaggio?

ZANETOV. Attraverso un meccanismo abbastanza semplice. Il grande errore dei piemontesi dal punto di vista tecnico, non mi riferisco ne a contenuti morali ne a contenuti politici, ma esclusivamente ai termini operativi, è stato quello di richiamare alle armi tutti i soldati borbonici che erano stati sbandati. Riarruolare gente che era stata magari sei o sette anni nell’esercito, e comunque era affezionata al precedente sovrano, è stato un errore clamoroso dal punto di vista piemontese. Logicamente , questa gente si era data alla campagna, ma ancora non erano diventati briganti; stavano vicino ai villaggi e non erano neanche armati, facevano opposizione agli occupanti piemontesi ed alla borghesia loro alleata, ma in termini molto vaghi. Nel 1861 avviene il momento culminante della rivolta. Durante un auspicato convegno internazionale, doveva venire alla luce il fatto che i Savoia erano nell’impossibilità di controllare il territorio in preda al brigantaggio e quindi il regno doveva essere restituito a suoi legittimi sovrani.
In questa strategia bisognava che il territorio ampliasse i fenomeni di rivolta. Gli agenti borbonici fornirono di armi e denaro i contadini in rivolta e i soldati che erano allo sbando, facendo si che, soprattutto in Lucania, fiorissero tutte una serie di iniziative di rivolta popolare, di reazioni, di occupazioni di comuni etc. E’ interessante osservare che i fautori di queste rivolte non erano esclusivamente i borbonici puri, ma, come dimostrano irrefutabilmente i documenti puntualmente analizzati dal prof. Pedio in lunghi anni di ricerca, il fronte di opposizione ai Piemontesi rispondeva ad una strategia molto più complessa. I documenti hanno dimostrato che la Lucania costituiva l’epicentro della rivolta contro i Savoia. In realtà, i locali comitati segreti borbonici erano gestiti per la maggior parte da ex murattiani, da liberali moderati che avevano poco a che vedere con lo schieramento legittimista borbonico. Ma qui c’è uno scenario internazionale che si apre.

CANZANO. Questo è una storia molto complessa .

ZANETOV. L’operazione di sbarco dei garibaldini in Sicilia era stata molto favorita, come è noto, dai britannici, che avevano un piano: praticamente tendevano a far si che la Sicilia si rendesse indipendente e gravitasse nella loro area di influenza nel Mediterraneo. Questa era l’idea degli inglesi quando appoggiarono l’impresa di Garibaldi. Non è andata così. Entrano in scena i francesi, che, con un’occupazione, che di fatto era militare, dello Stato Pontificio impedivano ai piemontesi di impadronirsi di Roma. I francesi, forti di questa situazione di stallo in cui erano egemoni, entrano quindi in un gioco più vasto, finanziando e gestendo le reazioni attraverso i comitati segreti borbonici, gestiti come abbiamo visto, dagli ex Murattiani. Con l’organizzazione del già ricordato convegno internazionale l’intenzione era quella di riassegnare il regno al Borbone. I Francesi, invece, intendevano in quel contesto giocare le loro carte, e far restituire il regno non ai borbonici ma all’ultimo dei Murat, impadronendosi del Regno delle due Sicilie attraverso questa operazione. Ciò è comprovato dal fatto che la rivolta avviene in Basilicata, che era la roccaforte dei murattiani. Crocco che era il capo delle bande legittimiste, quindi filo borboniche, in realtà fino a pochi giorni prima era stato con i garibaldini ed aveva combattuto con essi. Subito dopo la presa di Gaeta, era poi diventato l’uomo di fiducia del prefetto piemontese. Ma, siccome prima era stato un volgare brigante di strada e aveva molti nemici personali, fu riconosciuto per strada da uno di coloro al quale aveva teso un agguato e quest’ultimo pretese la sua immediata carcerazione. Il profilo liberale che Crocco si era costruito militando con i garibaldini a questo punto crolla. Mentre è in carcere, viene avvicinato da agenti legittimisti che lo convincono a prestarsi alla rivolta diventandone il capo. Così inizia il fenomeno della guerriglia che viene poi denominato brigantaggio politico e si tramuta strada facendo in un cul de sac che coinvolge ferocemente tutte le parti in causa e si conclude, gattopardescamente, con il definito annientamento delle speranze contadine: con la forzata emigrazione, la nascita della questione meridionale, il potere “mafioso”.

CANZANO. Come si finanziavano i briganti?

ZANETOV. C’è un problema fondamentale in questa lunga lotta sociale gestit a dalle borghesie che finanziavano il brigantaggio. Non bisogna mai dimenticare che il brigante non è un atomo sperso nel territorio. Il brigante ha bisogno di mangiare, quindi ha bisogno di qualcuno che gli fornisca i viveri; ha bisogno di armarsi, e quindi ha bisogno di qualcuno che gli fornisca i proiettili; ha bisogno di informazioni, deve sapere quando la forza pubblica lo sta braccando. Deve sapere chi può rapire e chi no. il brigante vive in un territorio come un pesce nell’acqua. Vive in un contesto ampio e ha bisogno di protettori, da solo non c’è la può fare. Non c’è la può fare soltanto con l’aiuto dei contadini, che non possono fare molto. Stare in campagna, come si diceva allora, in centinaia, o in questi casi migliaia di uomini, è una cosa molto difficoltosa e molto cara da sostenere. Quando si pensa a questo, bisogna vedere a chi conveniva tenere i briganti in campagna. Le bande, sono state utilizzate, come un’arma di pressione nei confronti dei nuovi governanti, per riottenere quel potere politico che a qualcuno era sfuggito di mano. E’ stata giocata la carta del brigantaggio, da una parte foraggiandolo e dall’altra, contemporaneamente, fingendosi liberali. Trattare con il governo i posti di potere che avrebbero garantito la fine del brigantaggio, perché i loro stessi fautori avrebbero fatto arrestare i briganti, ha ingranato un meccanismo perverso, che ha fatto si che questo fenomeno durasse ben dieci anni, se no si sarebbe risolto molto prima. Fino a che pian piano, chi di dovere, ha fatto i suoi conti con i piemontesi, che si sono prestati a delegare questo potere locale e tutto è tornato come prima, con buona pace dei tanti legittimisti in buona fede costretti a fare buon viso alla situazione.

CANZANO. Le colpe sono quindi da entrambe le parti…

ZANETOV. E’ vero che i piemontesi hanno una enorme responsabilità in questo frangente, tramutatosi per i loro metodi spregiudicati, quando non addirittura criminali (massacri, in cendi di paesi, fucilazioni sommarie, etc) in una drammatica situazione di sottosviluppo “coloniale”, ma queste colpe le hanno anche i borbonici, perché hanno sfruttato la popolazione e l’hanno mandata allo sbaraglio per ottenere dei fini politici che difficilmente avrebbero potuto ottenere in altri modi. Soprattutto, c’è l’hanno le classi politiche locali, in particolare la borghesia meridionale, che ha giocato molte parti in commedia, incitati i cosiddetti “ briganti”, li ha sfruttati e, al termine del gioco, se li è venduti. E’ una storia amara.

Febbraio 2007

Note su Paolo Zanetov:

Paolo Zanetov, laureatosi in lettere all’Università di Magistero di Roma con una tesi sul brigantaggio politico post-unitario, si interessa da altre un ventennio ai problemi della “devianza” criminale ed ai suoi rapporti con la politica.


Già direttore editoriale e responsabile delle pagine culturali del quotidiano indipendente “L’Umanità”, opera attualmente nel campo della comunicazione, dell’organizzazione di eventi culturali, della consulenza editoriale in campo storico.


In qualità di membro del consiglio d’indirizzo della Fondazione Istituto di studi Storici Europei (Isse) di Roma, di cui è stato tra i fondatori, ha organizzato e partecipato a numerosi convegni e mostre riguardanti il brigantaggio post-unitario e la storia contemporanea. Autore di numerosi saggi su questi argomenti, collabora alla rivista “Storia in Rete” ed è responsabile della segreteria scientifica di “ArkeoMed”, associazione culturale che si occupa delle strategie di tutela e sviluppo del “Paesaggio Culturale”, progettando Distretti Culturali, Musei Diffusi ed Ecomusei su tutto il territorio nazionale.


Nel 2006 ha prodotto per la Collana Novecento dell’Istituto Luce il documentario: “Italia-Islam dalla guerra di Libia a Nassirya”; sta ultimando la lavorazione, del documentario: “Enrico Mattei fra modernizzazione italiana e sfida energetica”, anch’esso cooprodotto con l’Istituto Luce e sta collaborando, come autore e consulente storico, all’imminente realizzazione di un documentario dell’Istituto Luce sulle vicende della Decima Mas durante la II guerra mondiale: “Gli astronauti del mare”.

 



 

 

 

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