[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

191 / NOVEMBRE 2023 (CCXXII)


contemporanea

LA BIBLIOTECA di Aby Warburg
Da labirinto a Istituto

di Alessio Guglielmini

 

Straniamento, smarrimento, perfino disagio. I testimoni, diretti e indiretti, che hanno provato a recuperare l’essenza della Biblioteca di Aby Warburg ne hanno spesso descritto in questi termini il primissimo impatto.

Dobbiamo al Wolfram Eilenberger di Il tempo degli stregoni la ricostruzione dell’esperienza vissuta da Ernst Cassirer nella polimorfica Biblioteca amburghese. Il filosofo si avvicinò per la prima volta a questo insolito regno, nell’inverno del 1920. Fu accolto da Fritz Saxl, intimo collaboratore di Warburg, mentre quest’ultimo era a Kreuzlingen, presso la clinica Bellevue, a curarsi. Ilgiudizio istintivo di Cassirer fu radicale, sebbene appena mormorato: “Non devo tornare mai più in questo luogo, se non voglio perdermi per sempre in questo labirinto” (Saxl 1983, p. 138). Nei dieci anni successivi Cassirer avrebbe trasformato la Biblioteca warburghiana nel campo base dei suoi studi sul pensiero mitico e sulle forme simboliche.

Il labirinto, stando alla testimonianza di Saxl, contava all’epoca del sopralluogo di Cassirer circa 20.000 volumi (Warburg, 1983), contributo pubblicato, tra gli altri, in coda alla biografia intellettuale di Ernst H. Gombrich. Questo patrimonio era organizzato secondo criteri che sfuggivano alla comprensione abituale e i libri si relazionavano tra di loro attraverso la cosiddetta “legge del buon vicino”. Non era detto che l’ospite trovasse ciò che cercava nel titolo che gli era noto, ma possibilmente in uno dei testi posizionati a fianco. Il labirinto della ricerca si sarebbe dipanato, un poco alla volta.

Gradualmente,il visitatore ispirato poteva padroneggiare le quattro chiavi che Warburg aveva scelto di mettergli a disposizione. Eilenberger, seguendo il filo delle indagini di Cassirer, ha riportato le sezioni in cui si articolava il complesso sistema della Biblioteca che dal 1909 era ubicata al 114 di Heilwigstraße. Orientamento - Immagine - Parola - Azione, erano questi gli ingressi che Warburg aveva tracciato all’interno del suo progetto di Kulturwissenschaft (“scienza della cultura”).

Era naturale partire dai principi dell’orientamento, come sottolineaEilenberger (Eilenberger 2018, p. 139): l’uomo viene infatti al mondo senza “istruzioni per l’uso” e necessita pertanto di coordinate. Queste istruzioni, sotto la voce “Orientamento”, venivano classificate da Warburg tramite le opere sulla superstizione, la magia, la religione e la scienza, intese come “forme-base”. Le altre tre categorie andavano a fornire ulteriori segni al ricercatore impegnato a maneggiare la proteiforme materia delle formule adottate dall’uomo per esprimersi nel corso dei secoli. Le opere sull’ornamento, la grafica e la pittura venivano poste da Warburg sotto la sigla “Immagine”, laddove il materiale su preghiere, letteratura epica e scongiuri veniva archiviato sotto “Parola”. “Azione”, per concludere, andava a indagare il “corpo umano come medium della strutturazione simbolica, e dunque i testi sulle feste e la danza, il teatro o l’erotismo” (Eilenberger 2018, p. 139).

Questo“buon vicinato”si atteneva indubbiamente all’approccio corale che Warburg aveva costruito fin dagli anni di formazione con Karl Lamprecht, Hermann Usener, Carl Justi, tra gli altri, rispetto ai problemi della filologia, della storia dell’arte e della rappresentazione, psicologica e iconografica, del sentire umano. I numerosi testi raccolti, prima e dopo l’epifania di Cassirer del 1920, dovevano imprimere una tensione multidisciplinare alla sua elaborata collezione che, sulle prime, veniva percepita quale disposizione labirintica.

Si è molto discusso a proposito di questo dedalo e di come la biografia stessa di Warburg possa rimanere impigliata alle trame insidiose di un così inconsueto sistema. La missione culturale di Warburg, certificata a livello personale dai suoi sforzi per uscire dai gorghi nevrotici che lo avevano costretto al ritiro di Kreuzlingen, consisteva nel dare al genere umano strumenti di chiarezza, lucidità, ispirazione illuminata da opporre alle minacciose forze del caos e della superstizione. La scienza della cultura, per come la concepiva Warburg, era insomma metodo per dominare il labirinto, per guardarlo con olimpico distacco. L’immagine restituita da Ernst H. Gombrich, dopo il rientro di Warburg dalla clinica Bellevue, nella tarda estate del 1924, era quella di un revenant, di un reduce dalla terra dei morti, come amava definirsi lo stesso Warburg (Gombrich 2018, p. 225).

In una recensione del 1984, comparsa originariamente sulle pagine di “il Manifesto” e ripubblicata da La Rivista di Engramma (nn. 34-37,2004, pp. 83-85), Guglielmo Bilancioni faceva i conti proprio con il volume di Gombrich, contestandogli l’insistenza sulla fragilità psichica di Aby Warburg, il suo presentarlo come “uomo perduto nel labirinto”. Dal canto suo Bilancioni rilanciava Warburg come “il gran signore del labirinto” che, di fatto, era il titolo della sua recensione a Gombrich.

Warburg era, senza dubbio, signore di quel labirinto che era la sua Biblioteca, ma durante il suo ritiro a Kreuzlingen il labirinto aveva cominciato a mutare e ad aprirsi. Nel 1924, il revenant aveva infatti trovato ad accoglierlo un nuovo assetto più istituzionalizzato: «(…) Saxl, d’accordo con la famiglia, aveva trasformato la biblioteca privata di uno studioso solitario in una pubblica istituzione di ricerca» (Warburg 2014, p. 225). Un’istituzione che ospitava lezioni pubbliche e che avrebbe anche segnato il ritorno alla vita culturale ufficiale dello stesso Warburg che, il 25 aprile del 1925, tenne una conferenza in memoria di Franz Boll che sarebbe poi stata pubblicata con il titolo di Per Monstra ad Sphaeram.

Questo episodio va collocato nella ricerca del distacco razionale (Denkraum) auspicato dai filoni di ricerca intrapresi da Warburg. L’astrologia volgarizzata, intesa come materia superstiziosa dominata dai mostri, doveva lasciare spazio alla scienza delle sfere, alla disciplina astronomica: gli Dei, liberati dalla gabbia del capriccio irrazionale, potevano tornare a brillare come fari olimpici, quali torce dell’orientamento umano. La polarità tra astrologia e astronomia, investigata attraverso le antiche iconografie, si inseriva del resto nel più generale problema dell’orientamento su cui fondava la sua ragion d’essere la Biblioteca.

Dopo la morte di Warburg, nel 1929, Saxl divenne l’erede del labirinto, insieme a Gertrud Bing, che avrebbe diretto l’Istituto dal 1955 al 1959, prima che l’onore e l’onere toccassero allo stesso Gombrich. Le memorie di Saxl sulla Biblioteca ricostruiscono in maniera lineare le vicende che portarono al trasferimento da Amburgo a Londra. La scalata della NSDAP forzò la ricerca di interlocutori all’estero. Edgar Wind, che dal 1928 era membro dell’Istituto fondato attorno alla Kulturwissenschaftliche Bibliothek Warburg, individuò gli agganci utili in Inghilterra e nel 1933 i libri di Warburg giunsero a Londra, con le movenze di un evento eccezionale: «Un giorno arrivò sul Tamigi una nave con seicento casse di libri, scaffali metallici, leggii, apparecchiature per rilegare, strumenti fotografici, eccetera. La Biblioteca occupava oltre novecento metri quadrati» (Saxl 1983, p. 328). I libri, nel frattempo, erano diventati 60.000.

La collezione Warburg fu collocata in Thames House, in una sede di grandi uffici a Millbank che nel 1933 presentava ancora degli spazi vuoti. I fondi furono assicurati, come ricordava Saxl, da Samuel Courtauld e dal ramo americano della famiglia Warburg. Nel 1936 la London University accolse l’Istituto Warburg, insieme al suo ciclopico ensemble di libri e attrezzature, impegnandosi a ospitarlo fino al 1943. L’inglobamento ufficiale da parte dell’Ateneo londinese, aggiunse Gombrich, fu decretato il 28 novembre 1944: la Biblioteca Warburg, che aveva sopportato i colpi dei bombardamenti tedeschi, trovò la sua nuova identità.

Un’identità necessaria, pur considerando la natura assolutamente incerta di Aby Warburg nel consesso degli ambienti culturali, come ha ribadito Kurt W. Forster in Il metodo di Aby Warburg: «Anziché intraprendere la carriera universitaria, aveva scelto coerentemente di ritirarsi a una vita da studioso indipendente, forse perché la sua idea di una scienza delle immagini trovava accoglienza assai più nell’ambito delle sue intuizioni che nella storia dell’arte ufficiale, per come egli l’aveva conosciuta in accademia» (Forster 2022, p. 20).

La mancanza di una specifica pressione accademica faceva inoltre sì che i suoi pensierisi manifestassero attraverso frammenti, dal momento che egli non era costretto a dare una rappresentazione omogenea della sua visione e del suo impianto metodologico. Warburg esitava a dare una forma risolta, a concludere ciò che aveva iniziato, come sarebbe fatalmente accaduto con l’Atlante Mnemosyne, impresa rimasta incompiuta per la sua scomparsa.
 
Proprio il suo esprimersi per frammenti sembra essere ancillare dello sguardo di Warburg sull’insieme delle discipline culturali. Uno sguardo che, nel bilancio operato da Forster, diventa metodo, pur rinunciando a tale incombenza, nel presentarsi come “formidabile incompiuto, i cui fili strappati possono intrecciarsi sempre in nessi ulteriori”.

Non solo nell’opera, ma anche nella stesura della Biblioteca Warburg, torna l’idea di un intreccio fervido, incline a procreare nessi ulteriori, a totale appannaggio del visitatore, ben oltre le quattro categorie principali attorno alle quali s’imperniava la “legge del buon vicino”. Mnemosyne era del resto il motto che campeggiava all’ingresso della Biblioteca Warburg, un filo della memoria esito innanzitutto dell’unicità della concezione di Warburg, destinato tuttavia a perpetuarsi e incrociarsi con il mondo accademico ufficiale, perfino nella genesi di un Istituto.
 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Wolfram Eilenberger, Il tempo degli stregoni. 1919-1929. Le vite straordinarie di quattro filosofi e l’ultima rivoluzione del pensiero, Feltrinelli, Milano 2018.

Ernst H. Gombrich, Aby Warburg. Una biografia intellettuale, Abscondita, Milano 2018.

Fritz Saxl, La storia della Biblioteca Warburg (1886-1944) in Aby Warburg. Una biografia intellettuale, Feltrinelli, Milano 1983, pp. 315-329.

Guglielmo Bilancioni, Aby Warburg, il gran signore del labirinto. A proposito dell’edizione italiana di Ernst Gombrich, Aby Warburg. Una biografia intellettuale (da “il Manifesto”, 15 gennaio 1984) in La Rivista di Engramma Raccolta, nn. 34-37, anno 2004, pp. 83-85, Edizioni Engramma, Venezia 2019.

Aby Warburg, Per Monstra ad Sphaeram, Abscondita, Milano 2014.

Kurt W. Forster, Il metodo di Aby Warburg. L’antico dei gesti, il futuro della memoria, Engramma Saggi, Ronzani Editore, Venezia 2022.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]