N. 136 - Aprile 2019 
                          
                          (CLXVII)
																						SULLA BREVE VITA DEL SETTIMANALE
																			
																			
																			
																			
																			SATIRICO 
																			ANTIFASCISTA IL 
																			BECCO 
																			GIALLO
																			
																			
																			
																			LE 
																			GIRAVOLTE 
																			POLITICHE 
																			DELL’INESAURIBILE 
																			ALBERTO 
																			GIANNINI 
																			- 
																			PARTE 
																			II
																			
																			
																			
																			
																			di 
																			Francesco 
																			Cappellani
																						 
																			
																			
																			Le 
																			leggi 
																			sulla 
																			stampa 
																			promulgate 
																			dal 
																			fascismo 
																			e 
																			codificate 
																			nelle 
																			“Disposizioni 
																			sulla 
																			stampa 
																			periodica” 
																			della 
																			legge 
																			del 
																			31 
																			dicembre 
																			1925, 
																			sono 
																			il 
																			naturale 
																			sbocco 
																			della 
																			dittatura 
																			che 
																			Mussolini 
																			intende 
																			imporre 
																			per 
																			depotenziare 
																			lo 
																			stato 
																			democratico.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Dopo 
																			l’assassinio 
																			del 
																			sacerdote 
																			don 
																			Giovanni 
																			Minzoni 
																			nel 
																			1923, 
																			le 
																			aggressioni 
																			ad 
																			Amendola 
																			e 
																			Piero 
																			Gobetti 
																			e 
																			soprattutto 
																			l’uccisione 
																			di 
																			Giacomo 
																			Matteotti 
																			il 
																			10 
																			giugno 
																			1924, 
																			a 
																			seguito 
																			del 
																			suo 
																			violento 
																			discorso 
																			alla 
																			Camera 
																			del 
																			30 
																			maggio 
																			dove, 
																			dopo 
																			avere 
																			tuonato 
																			contro 
																			ogni 
																			illegalità 
																			e 
																			sopraffazione, 
																			aveva 
																			detto 
																			«Mai 
																			tanto, 
																			come 
																			nell’anno 
																			fascista, 
																			l’arbitrio 
																			si è 
																			sostituito 
																			alla 
																			legge, 
																			lo 
																			Stato 
																			asservito 
																			alla 
																			fazione, 
																			e 
																			divisa 
																			la 
																			nazione 
																			in 
																			due 
																			ordini, 
																			dominatori 
																			e 
																			sudditi», 
																			si 
																			alzano 
																			fortissime 
																			le 
																			proteste 
																			dei 
																			giornali 
																			antifascisti.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Il 
																			Becco 
																			Giallo 
																			pubblica 
																			una 
																			vignetta 
																			che 
																			rappresenta 
																			un 
																			Mussolini 
																			animalesco, 
																			seduto 
																			a 
																			gambe 
																			larghe 
																			e 
																			occhi 
																			sgranati 
																			su 
																			una 
																			bara 
																			col 
																			nome 
																			“Matteotti”, 
																			immagine 
																			molto 
																			più 
																			incisiva 
																			e 
																			convincente 
																			nella 
																			sua 
																			feroce 
																			brutalità 
																			di 
																			un 
																			qualsiasi 
																			commento 
																			sui 
																			mandanti 
																			e le 
																			ragioni 
																			del 
																			delitto.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			Duce 
																			domina 
																			a 
																			fatica 
																			la 
																			situazione 
																			supportato 
																			dai 
																			suoi 
																			scherani, 
																			come 
																			il 
																			fascista 
																			Ermanno 
																			Amicucci, 
																			segretario 
																			generale 
																			del 
																			sindacato 
																			fascista 
																			dei 
																			giornalisti 
																			che 
																			scrive: 
																			«le 
																			forze 
																			dell'antifascismo 
																			impegnavano 
																			la 
																			suprema 
																			battaglia 
																			contro 
																			Mussolini, 
																			prendendo 
																			a 
																			pretesto 
																			l'uccisione 
																			del 
																			deputato 
																			socialista 
																			Matteotti: 
																			e fu 
																			soprattutto 
																			una 
																			battaglia 
																			di 
																			stampa, 
																			una 
																			vasta, 
																			imponente, 
																			accanita 
																			battaglia 
																			giornalistica, 
																			in 
																			cui 
																			il 
																			livore, 
																			l'odio, 
																			il 
																			rancore, 
																			l'impotenza 
																			del 
																			vecchio 
																			mondo 
																			ormai 
																			condannato 
																			a 
																			sparire 
																			tentarono 
																			di 
																			seppellire 
																			la 
																			Rivoluzione 
																			sotto 
																			una 
																			valanga 
																			di 
																			carta 
																			stampata 
																			(…) 
																			li 
																			avvenimenti 
																			decidevano 
																			alfine 
																			il 
																			governo 
																			fascista 
																			a 
																			rompere 
																			gli 
																			indugi 
																			e a 
																			risolvere 
																			legalmente 
																			la 
																			situazione 
																			resa 
																			insostenibile 
																			dalla 
																			vergognosa 
																			condotta 
																			dei 
																			giornali 
																			di 
																			opposizione. 
																			La 
																			giusta, 
																			doverosa, 
																			santissima 
																			reazione 
																			comincia 
																			con 
																			il 
																			R. 
																			Decreto 
																			Legge 
																			(…)».
																			
																			
																			 
																			
																			
																			La
																			
																			
																			“santissima 
																			reazione” 
																			produce 
																			le 
																			leggi 
																			“fascistissime” 
																			per 
																			abolire 
																			i 
																			sindacati 
																			e i 
																			partiti, 
																			la 
																			creazione 
																			della 
																			polizia 
																			politica 
																			segreta 
																			(OVRA) 
																			e 
																			del 
																			Tribunale 
																			Speciale, 
																			il 
																			confino 
																			o il 
																			carcere 
																			per 
																			gli 
																			oppositori, 
																			viene 
																			eliminata 
																			ogni 
																			possibilità 
																			di 
																			dissenso 
																			ponendo 
																			le 
																			basi 
																			per 
																			l’inizio 
																			di 
																			una 
																			dittatura 
																			intesa 
																			a 
																			convincere 
																			gli 
																			italiani 
																			della 
																			bontà 
																			del 
																			regime 
																			e 
																			delle 
																			doti 
																			eccezionali 
																			del 
																			Duce, 
																			che 
																			va 
																			osannato 
																			sempre 
																			e 
																			comunque.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Chiaramente 
																			non 
																			c’è 
																			più 
																			spazio 
																			per 
																			i 
																			giornali 
																			d’opposizione 
																			democratica 
																			e, 
																			grazie 
																			anche 
																			a 
																			una 
																			certa 
																			acquiescenza 
																			delle 
																			classi 
																			operaie 
																			e 
																			imprenditoriali, 
																			negli 
																			anni 
																			successivi 
																			la 
																			presa 
																			di 
																			potere 
																			del 
																			fascismo 
																			diviene 
																			definitiva 
																			e 
																			inattaccabile.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			10 
																			ottobre 
																			1928 
																			Mussolini 
																			si 
																			rivolge 
																			ai 
																			direttori 
																			delle 
																			varie 
																			testate 
																			giornalistiche 
																			sopravvissute 
																			alla 
																			censura 
																			fascista 
																			dicendo: 
																			«Questa 
																			importante 
																			riunione 
																			dei 
																			giornalisti 
																			del 
																			Regime 
																			avviene 
																			soltanto 
																			alla 
																			fine 
																			dell’anno 
																			sesto. 
																			Voi 
																			vi 
																			rendete 
																			conto 
																			che 
																			non 
																			poteva 
																			avvenire 
																			prima, 
																			perché 
																			solo 
																			dal 
																			gennaio 
																			1925, 
																			e 
																			più 
																			specificatamente 
																			in 
																			questi 
																			ultimi 
																			due 
																			anni, 
																			è 
																			stato 
																			affrontato 
																			e 
																			risolto 
																			quasi 
																			completamente 
																			il 
																			problema 
																			della 
																			stampa 
																			fascista. 
																			In 
																			un 
																			regime 
																			totalitario 
																			(…) 
																			la 
																			stampa 
																			è un 
																			elemento 
																			di 
																			questo 
																			regime, 
																			una 
																			forza 
																			al 
																			servizio 
																			di 
																			questo 
																			regime. 
																			(…) 
																			Ecco 
																			perché 
																			tutta 
																			la 
																			stampa 
																			italiana 
																			è 
																			fascista 
																			(…). 
																			La 
																			stampa 
																			più 
																			libera 
																			del 
																			mondo 
																			intero 
																			è la 
																			stampa 
																			fascista 
																			(...). 
																			Il 
																			giornalismo 
																			italiano 
																			è 
																			libero, 
																			perché 
																			serve 
																			soltanto 
																			una 
																			causa 
																			ed 
																			un 
																			Regime
																			
																			(...)».
																			
																			
																			 
																			
																			
																			E il 
																			già 
																			citato 
																			Amicucci 
																			replica 
																			affermando 
																			«(…)
																			
																			solo 
																			nell’Italia 
																			fascista 
																			la 
																			stampa 
																			antepone 
																			recisamente 
																			agli 
																			individui 
																			ed 
																			ai 
																			gruppi 
																			il 
																			Paese 
																			e 
																			serve 
																			unicamente 
																			il 
																			Regime 
																			che 
																			si 
																			identifica 
																			con 
																			lo 
																			Stato 
																			e la 
																			Nazione».
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Giannini 
																			non 
																			si 
																			arrende, 
																			nel 
																			1926 
																			fonda 
																			un 
																			altro 
																			giornale,
																			
																			L’attaccabottoni, 
																			che 
																			viene 
																			chiuso 
																			per 
																			censura 
																			dopo 
																			pochi 
																			numeri 
																			e il 
																			direttore 
																			condannato 
																			a 
																			cinque 
																			anni 
																			di 
																			confino. 
																			Riesce 
																			a 
																			evadere 
																			e 
																			raggiunge 
																			la 
																			Francia 
																			rifugiandosi 
																			a 
																			Parigi 
																			dove 
																			si 
																			aggrega 
																			con 
																			i 
																			tanti 
																			fuoriusciti 
																			italiani, 
																			tra 
																			cui 
																			i 
																			fratelli 
																			Rosselli, 
																			Filippo 
																			Turati, 
																			Claudio 
																			Treves, 
																			Bruno 
																			Buozzi, 
																			Pietro 
																			Nenni, 
																			Giuseppe 
																			Saragat 
																			e 
																			molti 
																			altri, 
																			tra 
																			cui 
																			gli 
																			ex-direttori 
																			dei 
																			giornali 
																			antifascisti 
																			soppressi 
																			come 
																			Cianca 
																			e 
																			Schiavetti.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nell’agosto 
																			del 
																			1927 
																			Giannini 
																			fonda, 
																			o 
																			meglio 
																			rifonda 
																			in 
																			Francia
																			
																			Il 
																			Becco 
																			Giallo 
																			avendo 
																			come 
																			condirettore 
																			Alberto 
																			Cianca, 
																			grazie 
																			anche 
																			all’aiuto 
																			finanziario 
																			di 
																			10.000 
																			franchi 
																			da 
																			parte 
																			di 
																			Turati.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nel 
																			primo 
																			numero, 
																			in 
																			un 
																			aggressivo 
																			editoriale 
																			intitolato 
																			“Ripresa” 
																			spiega 
																			che 
																			“Il 
																			fascismo 
																			ha 
																			paura 
																			della 
																			verità 
																			e 
																			del 
																			controllo. 
																			Esso 
																			ha 
																			bisogno 
																			di 
																			nascondere 
																			i 
																			suoi 
																			errori 
																			e i 
																			suoi 
																			delitti, 
																			per 
																			sfuggire 
																			alle 
																			sanzioni 
																			dell’opinione 
																			pubblica 
																			e 
																			della 
																			legge. 
																			Per 
																			questo 
																			ha 
																			soppresso 
																			violentemente 
																			la 
																			stampa. 
																			Il 
																			popolo 
																			italiano 
																			non 
																			conosce 
																			più 
																			che 
																			la 
																			menzogna 
																			ufficiale: 
																			esso 
																			è 
																			separato 
																			da 
																			se 
																			stesso 
																			e 
																			dal 
																			mondo 
																			(…). 
																			Il 
																			fascismo 
																			si 
																			illude 
																			di 
																			soffocare 
																			la 
																			verità 
																			sotto 
																			il 
																			peso 
																			delle 
																			sue 
																			leggi 
																			faziose, 
																			del 
																			suo 
																			mostruoso 
																			congegno 
																			di 
																			polizia 
																			e 
																			della 
																			milizia 
																			armata, 
																			negli 
																			esili, 
																			nelle 
																			carceri, 
																			nei 
																			domicili 
																			coatti”.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Attraverso 
																			mille 
																			difficoltà 
																			il 
																			nuovo
																			
																			Becco 
																			Giallo 
																			arriva 
																			anche 
																			in 
																			Italia 
																			spedito 
																			in 
																			buste 
																			anonime 
																			o 
																			con 
																			finte 
																			intestature 
																			commerciali 
																			e 
																			contribuirà 
																			efficacemente 
																			alla 
																			propaganda 
																			clandestina 
																			in 
																			Italia.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Oltre 
																			all’attività 
																			di 
																			giornalista 
																			in 
																			quegli 
																			anni 
																			Giannini 
																			svolge 
																			anche 
																			inchieste 
																			intese 
																			a 
																			smascherare 
																			elementi 
																			infiltrati 
																			tra 
																			i 
																			fuorusciti 
																			responsabili 
																			di 
																			doppiogiochismo 
																			contro 
																			il 
																			fronte 
																			antifascista.
																			
																			
																			Dopo 
																			due 
																			anni
																			
																			Il 
																			Becco 
																			Giallo 
																			è 
																			costretto 
																			a 
																			chiudere 
																			per 
																			problemi 
																			finanziari 
																			malgrado 
																			l’aiuto 
																			economico 
																			che 
																			nel 
																			1930 
																			gli 
																			viene 
																			dato 
																			da 
																			“Giustizia 
																			e 
																			Libertà”, 
																			il 
																			movimento 
																			antifascista 
																			creato 
																			da 
																			Carlo 
																			Rosselli 
																			nell’ottobre 
																			del 
																			1929, 
																			che 
																			si 
																			riconosce 
																			nelle 
																			linea 
																			politica 
																			del 
																			giornale 
																			almeno 
																			sulla 
																			lotta 
																			per 
																			abbattere 
																			il 
																			fascismo, 
																			anche 
																			se 
																			non 
																			ne 
																			sarebbe 
																			diventato 
																			l’organo 
																			ufficiale.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Ma i 
																			dissensi 
																			crescenti 
																			tra 
																			Rosselli, 
																			in 
																			pratica 
																			il 
																			solo 
																			finanziatore 
																			del 
																			giornale, 
																			e 
																			Giannini 
																			sia 
																			a 
																			livello 
																			redazionale 
																			che 
																			politico 
																			portano 
																			rapidamente 
																			alla 
																			cessazione 
																			delle 
																			pubblicazioni 
																			il 
																			primo 
																			agosto 
																			1931.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			In 
																			realtà 
																			Giannini, 
																			da 
																			un 
																			lato 
																			– 
																			come 
																			scriverà 
																			nel 
																			suo 
																			libro 
																			di 
																			memorie 
																			pubblicate 
																			nel 
																			1934 
																			– 
																			aveva 
																			constatato 
																			che 
																			tra 
																			i 
																			fuorusciti 
																			vi 
																			erano 
																			dei 
																			profondi 
																			dissidi 
																			dovuti 
																			alle 
																			diverse 
																			visioni 
																			politiche 
																			che 
																			andavano 
																			dal 
																			socialismo 
																			Turatiano, 
																			al 
																			socialismo 
																			liberale 
																			non 
																			marxista 
																			di 
																			Rosselli 
																			derivato 
																			dal 
																			laburismo 
																			inglese, 
																			alle 
																			istanze 
																			dei 
																			repubblicani, 
																			dall’altro 
																			stava 
																			probabilmente 
																			già 
																			maturando 
																			un 
																			diverso 
																			atteggiamento 
																			nei 
																			confronti 
																			del 
																			fascismo 
																			“tentato 
																			dal 
																			realismo 
																			di 
																			un 
																			ribaltamento 
																			delle 
																			posizioni 
																			ideologiche 
																			da 
																			cui 
																			sino 
																			ad 
																			allora 
																			gli 
																			era 
																			derivata 
																			un’esistenza 
																			talmente 
																			grama”.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Gaetano 
																			Salvemini, 
																			parlando 
																			del 
																			gruppo 
																			dei 
																			fuoriusciti 
																			a 
																			Parigi, 
																			ricorda 
																			che 
																			«Alberto 
																			Giannini 
																			era 
																			il 
																			più 
																			faceto 
																			della 
																			compagnia, 
																			finché 
																			non 
																			passò, 
																			nel 
																			1934, 
																			dalla 
																			sera 
																			alla 
																			mattina, 
																			armi 
																			e 
																			bagagli, 
																			nel 
																			campo 
																			dei 
																			fascisti, 
																			il 
																			più 
																			svergognato 
																			caso 
																			di 
																			voltafaccia 
																			che 
																			io 
																			abbia 
																			mai 
																			visto 
																			».
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Giudizio 
																			implacabile 
																			e 
																			severo, 
																			ma 
																			occorre 
																			anche 
																			pensare 
																			alla 
																			situazione 
																			familiare 
																			di 
																			Giannini 
																			che, 
																			chiuso 
																			il 
																			suo 
																			giornale, 
																			si 
																			trova 
																			senza 
																			un 
																			soldo 
																			con 
																			moglie 
																			e 
																			tre 
																			figli 
																			da 
																			mantenere 
																			a 
																			cui 
																			si 
																			era 
																			aggiunta 
																			la 
																			vecchia 
																			madre 
																			e 
																			due 
																			sorelle 
																			che, 
																			ridotte 
																			in 
																			miseria 
																			a 
																			Roma, 
																			lo 
																			avevano 
																			raggiunto 
																			in 
																			Francia.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nel 
																			1931 
																			collabora 
																			con 
																			“La 
																			Libertà” 
																			di 
																			Claudio 
																			Treves, 
																			ma 
																			lo 
																			stipendio 
																			è 
																			insufficiente, 
																			poi, 
																			nel 
																			1933, 
																			conosce 
																			il 
																			banchiere 
																			Lorenzo 
																			Lorenzi 
																			che 
																			lo 
																			sollecita 
																			a 
																			finire 
																			il 
																			libro 
																			autobiografico 
																			di 
																			memorie 
																			che 
																			andava 
																			scrivendo 
																			e 
																			che 
																			esce 
																			infatti 
																			nel 
																			1934 
																			grazie 
																			all’aiuto 
																			finanziario 
																			del 
																			Lorenzi.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			In 
																			quelle 
																			pagine 
																			scarica 
																			tutta 
																			la 
																			sua 
																			frustrazione 
																			per 
																			le 
																			tante 
																			sconfitte 
																			che 
																			riteneva 
																			in 
																			buona 
																			fede 
																			di 
																			non 
																			meritare 
																			e 
																			spiega 
																			anche 
																			“sbandierata 
																			con 
																			sorpresa, 
																			rancore, 
																			aggressività, 
																			una 
																			metamorfosi 
																			politica 
																			culminante 
																			in 
																			un 
																			voluto 
																			distacco 
																			dall’antitesi 
																			fascismo-antifascismo”, 
																			cioè, 
																			in 
																			termini 
																			più 
																			immediati, 
																			un 
																			cambio 
																			di 
																			casacca 
																			in 
																			forza 
																			del 
																			quale 
																			non 
																			risparmia 
																			neanche 
																			i 
																			suoi 
																			compagni 
																			di 
																			lotta 
																			che 
																			per 
																			tanti 
																			anni 
																			gli 
																			erano 
																			stati 
																			accanto 
																			guidati 
																			dallo 
																			stesso 
																			ideale 
																			di 
																			democrazia.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Sicuramente, 
																			al 
																			di 
																			là 
																			delle 
																			spesso 
																			fumose 
																			giustificazioni, 
																			determinante 
																			sulla 
																			decisione 
																			dovette 
																			essere 
																			la 
																			dura 
																			condizione 
																			di 
																			esule 
																			senza 
																			mezzi 
																			che 
																			lo 
																			aveva 
																			reso 
																			facile 
																			preda 
																			delle 
																			spie 
																			dell’OVRA 
																			che 
																			operavano 
																			in 
																			Francia 
																			per 
																			corrompere 
																			anche 
																			col 
																			denaro 
																			i 
																			fuorusciti.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Acquisitosi 
																			così 
																			al 
																			fascismo, 
																			Giannini 
																			fonda 
																			nel 
																			luglio 
																			del 
																			1934 
																			a 
																			Parigi 
																			“Il 
																			Merlo” 
																			col 
																			sottotitolo 
																			“Fischia 
																			e se 
																			ne 
																			infischia 
																			una 
																			volta 
																			a 
																			settimana”, 
																			dove, 
																			nell’editoriale 
																			del 
																			primo 
																			numero, 
																			abbozza 
																			un 
																			tentativo 
																			di 
																			giustificazione 
																			per 
																			la 
																			sua 
																			inversione 
																			di 
																			rotta 
																			dichiarando: 
																			«Il 
																			regime 
																			che 
																			governa 
																			l'Italia 
																			da 
																			oltre 
																			dieci 
																			anni, 
																			e 
																			che 
																			rappresenta 
																			nei 
																			consessi 
																			internazionali 
																			il 
																			nostro 
																			Paese, 
																			non 
																			può 
																			oggi 
																			essere 
																			valutato 
																			con 
																			gli 
																			stessi 
																			criteri 
																			adottati 
																			allora 
																			che 
																			esso 
																			era 
																			nel 
																			periodo 
																			iniziale 
																			di 
																			conquista 
																			del 
																			potere 
																			e di 
																			assestamento 
																			alla 
																			vita 
																			nazionale. 
																			Oggi 
																			che 
																			l'Italia 
																			sta 
																			entrando 
																			in 
																			pieno 
																			nell'attività 
																			internazionale, 
																			animata 
																			sembra 
																			da 
																			spirito 
																			di 
																			pace, 
																			mentre 
																			all'interno 
																			del 
																			Paese 
																			il 
																			governo 
																			cerca 
																			una 
																			diversa, 
																			forse 
																			ardita 
																			soluzione 
																			alle 
																			concezioni 
																			economiche 
																			e 
																			sociali 
																			(soluzione 
																			che 
																			non 
																			potrà 
																			non 
																			influire 
																			anche 
																			sull'indirizzo 
																			politico 
																			generale) 
																			sarebbe 
																			sterile 
																			e 
																			puerile 
																			continuare 
																			ad 
																			esaminare, 
																			criticare 
																			e 
																			giudicare 
																			il 
																			fascismo, 
																			ponendosi 
																			in 
																			una 
																			attitudine 
																			di 
																			pura 
																			negazione 
																			(…) 
																			Obbedendo 
																			a 
																			tale 
																			imperativo 
																			categorico, 
																			sappiamo 
																			bene 
																			che 
																			questo 
																			nostro 
																			atteggiamento 
																			ci 
																			alienerà 
																			la 
																			simpatia 
																			di 
																			persone 
																			con 
																			le 
																			quali 
																			abbiamo 
																			fatto 
																			in 
																			comune 
																			gran 
																			parte 
																			del 
																			nostro 
																			cammino. 
																			Il 
																			distacco 
																			è 
																			per 
																			noi 
																			doloroso, 
																			ma 
																			riterremmo 
																			di 
																			venir 
																			meno 
																			ad 
																			un 
																			alto 
																			dovere 
																			morale 
																			e 
																			civile 
																			se, 
																			per 
																			cedere 
																			a 
																			preoccupazioni 
																			d'indole 
																			personale 
																			e 
																			sentimentale, 
																			ci 
																			rifiutassimo 
																			di 
																			assumere 
																			intera 
																			la 
																			nostra 
																			responsabilità».
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Con 
																			lo 
																			stesso 
																			accanimento 
																			con 
																			cui 
																			aveva 
																			denigrato 
																			il 
																			fascismo, 
																			ora 
																			Giannini 
																			attacca 
																			il 
																			mondo 
																			e i 
																			personaggi 
																			del 
																			fuoriuscitismo 
																			antifascista 
																			anche 
																			con 
																			calunnie 
																			e 
																			documenti 
																			falsi, 
																			seguendo 
																			direttive 
																			che 
																			arrivano 
																			da 
																			Roma.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			La 
																			triste 
																			perdita 
																			di 
																			ogni 
																			obbiettività 
																			e 
																			correttezza 
																			giornalistica 
																			appare 
																			palese 
																			nei 
																			commenti 
																			de
																			
																			Il 
																			Merlo 
																			sull’assassinio 
																			dei 
																			fratelli 
																			Rosselli 
																			presentato 
																			prima 
																			come 
																			una 
																			azione 
																			comunista 
																			originata 
																			da 
																			litigi 
																			con 
																			“Giustizia 
																			e 
																			Libertà”, 
																			poi 
																			da 
																			una 
																			vendetta 
																			per 
																			un 
																			patto 
																			non 
																			mantenuto 
																			con 
																			contrabbandieri 
																			di 
																			armi, 
																			negando 
																			in 
																			ogni 
																			caso 
																			una 
																			qualsiasi 
																			partecipazione 
																			diretta 
																			o 
																			indiretta 
																			del 
																			fascismo.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Il 
																			Merlo 
																			sospende 
																			le 
																			pubblicazioni 
																			nel 
																			1937. 
																			Il 
																			nome 
																			di 
																			Giannini 
																			comparirà 
																			nell’elenco 
																			dei 
																			collaboratori 
																			tenuto 
																			dal 
																			capo 
																			della 
																			polizia 
																			del 
																			regime 
																			Arturo 
																			Bocchini, 
																			e 
																			poi, 
																			nel 
																			1940, 
																			dal 
																			suo 
																			successore 
																			Carmine 
																			Senise. 
																			A 
																			libro 
																			paga 
																			figuravano 
																			Giannini 
																			e la 
																			sua 
																			convivente, 
																			a 
																			partire 
																			da 
																			quando 
																			il 
																			giornalista 
																			aveva 
																			mutato, 
																			in 
																			Francia, 
																			il 
																			suo 
																			orientamento 
																			politico.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nel 
																			gennaio 
																			del 
																			1938 
																			Giannini, 
																			con 
																			l’aiuto 
																			finanziario 
																			del 
																			partito 
																			fascista, 
																			come 
																			riconosce 
																			lo 
																			stesso 
																			Giannini 
																			nell’editoriale 
																			d’apertura, 
																			fonda
																			
																			Tribuna 
																			d’Italia 
																			che 
																			ha 
																			breve 
																			durata 
																			e 
																			verrà 
																			chiuso 
																			a 
																			settembre 
																			dello 
																			stesso 
																			anno, 
																			mentre 
																			Giannini 
																			è 
																			espulso 
																			dalla 
																			Francia 
																			come 
																			elemento 
																			pericoloso 
																			e 
																			dopo 
																			varie 
																			peripezie 
																			rientra 
																			a 
																			dicembre 
																			in 
																			Italia.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Qui 
																			dal 
																			1941 
																			collabora 
																			al 
																			settimanale
																			
																			Regime 
																			Fascista 
																			con 
																			uno 
																			pseudonimo 
																			e 
																			lavora 
																			per 
																			il 
																			Ministero 
																			della 
																			Cultura 
																			Popolare, 
																			il 
																			Minculpop, 
																			per 
																			l’allestimento 
																			di 
																			programmi 
																			di 
																			propaganda 
																			radiofonici 
																			per 
																			l’EIAR, 
																			la 
																			RAI 
																			di 
																			allora.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Dopo 
																			il 
																			Gran 
																			Consiglio 
																			del 
																			25 
																			luglio 
																			e la 
																			“deposizione” 
																			di 
																			Mussolini, 
																			con 
																			un 
																			classico 
																			salto 
																			della 
																			quaglia, 
																			diviene 
																			antifascista 
																			badogliano, 
																			ma 
																			nel 
																			luglio 
																			1944 
																			viene 
																			arrestato 
																			dagli 
																			alleati 
																			e 
																			incarcerato 
																			a 
																			Regina 
																			Coeli 
																			per 
																			collaborazionismo, 
																			e 
																			poi 
																			internato 
																			in 
																			un 
																			campo 
																			di 
																			concentramento 
																			italiano 
																			da 
																			cui 
																			uscirà 
																			nell’agosto 
																			del 
																			1945.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			In 
																			un 
																			successivo 
																			libro 
																			di 
																			memorie,
																			
																			Io 
																			spia 
																			dell’OVRA, 
																			romanzo 
																			politico 
																			dal 
																			taccuino 
																			di 
																			un 
																			fesso”, 
																			stampato 
																			a 
																			Roma 
																			nel 
																			1946, 
																			tenterà 
																			nuovamente 
																			di 
																			giustificare 
																			con 
																			abili 
																			e 
																			artificiosi 
																			argomenti 
																			i 
																			suoi 
																			ambigui 
																			comportamenti 
																			forse 
																			anche 
																			per 
																			celare 
																			al 
																			meglio 
																			i 
																			legami 
																			occulti 
																			che 
																			aveva 
																			intrattenuto 
																			con 
																			gli 
																			apparati 
																			riservati 
																			del 
																			regime 
																			fascista.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nel 
																			dopoguerra 
																			si 
																			porta 
																			su 
																			posizioni 
																			monarchiche 
																			di 
																			destra 
																			e 
																			fonda 
																			nell’aprile 
																			del 
																			1946 
																			l’ennesimo 
																			settimanale 
																			che 
																			ricorda 
																			nel 
																			titolo 
																			il 
																			periodo 
																			più 
																			glorioso 
																			del 
																			suo 
																			passato 
																			di 
																			giornalista:
																			
																			Il 
																			Merlo 
																			giallo 
																			col 
																			sottotitolo 
																			“Disintegratore 
																			del 
																			malcostume 
																			politico”.
																			
																			
																			
																			
																			Muore 
																			a 67 
																			anni 
																			nel 
																			1952, 
																			il 
																			suo 
																			ultimo 
																			giornale 
																			gli 
																			sopravvivrà 
																			fino 
																			agli 
																			inizi 
																			del 
																			1957.
																			 
																			 
																			
																			
																			Riferimenti 
																			bibliografici:
																			
																			
																			 
																			
																			
																			R. 
																			Ferruzzi, 
																			N. 
																			Pastina: 
																			“Ai 
																			tempi 
																			del 
																			Becco 
																			Giallo, 
																			la 
																			rievocazione 
																			di 
																			due 
																			redattori 
																			sopravvissuti”,
																			
																			La 
																			Stampa 
																			13/08/1974;
																			
																			
																			P. 
																			Treves: 
																			“Dalla 
																			memoria: 
																			Becco 
																			Giallo 
																			e 
																			anni 
																			venti”,
																			
																			La 
																			Stampa, 
																			27/07/1974;
																			
																			
																			O. 
																			Del 
																			Buono:
																			
																			Poco 
																			da 
																			ridere. 
																			Storia 
																			privata 
																			della 
																			satira 
																			politica 
																			dall’Asino 
																			a 
																			Linus,
																			
																			De 
																			Donato, 
																			Bari 
																			1976;
																			
																			
																			O. 
																			Del 
																			Buono, 
																			L. 
																			Tornabuoni:
																			
																			Il 
																			Becco 
																			Giallo. 
																			1924/1931, 
																			Feltrinelli, 
																			Milano 
																			1972;
																			
																			
																			A. 
																			Giannini,
																			
																			Le 
																			memorie 
																			di 
																			un 
																			fesso. 
																			Parla 
																			Gennarino 
																			fuoriuscito 
																			con 
																			l’amaro 
																			in 
																			bocca. 
																			L’anteguerra, 
																			la 
																			guerra, 
																			l’esilio”, 
																			Imprimerie 
																			Crété, 
																			Levallois-Perrette 
																			(Seine) 
																			1934.
																							
																							
																			 
																			
																			
																			