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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 158 / FEBBRAIO 2021 (CLXXXIX)


medievale

LA BATTAGLIA DI POITIERS

IL TRIONFO DI CARLO MARTELLO FRA MITO E STORIA

di Francesco Biscardi

 

Nel passato hanno avuto luogo scontri divenuti così celebri da essere stati assurti a tappe fondamentali nel processo di sviluppo della nostra società occidentale. Uno di questi è sicuramente quello avvenuto a Poitiers nel 732 o, come alcuni studiosi suggeriscono, nel 733, in cui il “maggiordomo” o “maestro di palazzo” dell’Austrasia Carlo Martello, avo del celeberrimo Carlomagno, sconfisse gli arabi iberici in una battaglia che, nel tempo, si è circondata di un alone leggendario come poche altre nella storia. Tuttavia, in fatto d’armi, fu in realtà poco più che una semplice scaramuccia e il suo mito è stato costruito a posteriori.

 

Oggi la storiografia è praticamente concorde nel ritenere che quello condotto dagli arabi non fu un tentativo di “invasione” delle terre dell’attuale Francia come a lungo si è sostenuto, ma nulla più che una scorreria a fini di bottino diretta verso il ricco monastero di Tours: in quella circostanza un gruppo arabo-iberico, rafforzato da un contingente di aquitani e guidato dall’emiro Abd ar-Rahmàn, passati i Pirenei e compiuti saccheggi nel tragitto, fu affrontato e sconfitto da Carlo Martello fra Tours e Poitiers, non lontano dal punto di confluenza della Vienne con la Creuse.

 

Inizialmente è probabile che la battaglia non avesse avuto una grande risonanza nel mondo franco: fu semplicemente una delle varie vittorie che consentirono al maestro di palazzo di guadagnare fama e consenso, innalzando il prestigio della sua casata, quella dei Pipinidi-Carolingi, che grande successo conoscerà con i suoi successori, al punto che, a partire dal figlio Pipino il Breve, maggiordomo in Neustria, la sua genìa governerà le terre dei franchi senza più la “finzione” di un sovrano merovingio.

 

Il primo ad aver alzato la voce per esaltare i fatti di Poitiers fu uno sconosciuto cristiano di Cordova, il quale, una ventina di anni dopo la battaglia, lodò il trionfo “europeo” degli austrasiani. Si trattò probabilmente della voce isolata di un fanatico sottoposto al giogo musulmano e incline a inveire contro i propri dominatori.

 

Fu in Età moderna che venne “riscoperto” e rinverdito il trionfo di Poitiers fino a trasformarlo in un mito: già a partire dall’epoca della Controriforma, ma ancor più fra Sei e Settecento, e in particolar modo nella Francia di Luigi XIV, si prese a esaltare la passata gloria del popolo franco e si scorse in Carlo Martello uno dei grandi antesignani dei francesi e un fulgido esempio di servator Europae.

 

Durante il Secolo dei Lumi si continuò a enfatizzare il ruolo di questa battaglia, decantandola come una delle tappe fondamentali nello sviluppo dell’Occidente cristiano. Persino un illustre filosofo come Voltaire rimase soggiogato dal suo fascino e arrivò a ribadire come senza Carlo Martello la Francia sarebbe divenuta una “provincia maomettana”.

 

Fu poi il grande storico inglese Gibbon, fra Sette e Ottocento, a calcare ancora di più la mano, affermando addirittura che senza il maggiordomo franco l’Europa non sarebbe potuta esistere e “il Corano sarebbe stato insegnato ad Oxford”. Mito che perdurò per tutto il XIX secolo e oltre: Alphonse de Châteaubriant, ad esempio, giunse a dire che a Poitiers il maestro di palazzo avrebbe annientato il surreale numero di trecentomila islamici. Inoltre si puntualizzò come, nello sconfiggere gli arabi, Carlo Martello si sarebbe trovato contro una opposizione così tenace da rendere necessaria una radicale riforma dell’esercito e l’adozione programmatica della cavalleria (riforma militare che sarebbe a sua volta all’origine del feudalesimo).

 

Ancora nel Novecento si è continuato a ingigantire la portata storica di questo trionfo. Ricordo qui due personaggi chiave del secolo scorso anche loro ammaliati da Poitiers, ma con due opposte vedute. Il primo è il presidente americano Theodore Roosevelt, il quale proseguì sulla scia “canonica” di amplificare il ruolo della battaglia, elevandola a salvifico episodio senza la quale la Cristianità sarebbe stata fagocitata dall’Islam.

 

Il secondo è Adolf Hitler, che, di contro, arrivò a inveire pubblicamente, il 28 agosto del 1942, contro Carlo Martello, formulando la non meno assurda tesi che la sua vittoria permise al giudaismo di prosperare: rimpianse così la mancata vittoria araba che, a suo giudizio, avrebbe consentito all’Europa di essere plasmata da una religione gloriosa e combattiva come quella di Maometto (verso cui il führer non nascondeva la sua ammirazione), evitando così che il prode popolo germanico cadesse in quella perdizione e fiacchezza cui invece lo ridussero il cristianesimo e l’ebraismo, sviandolo dalla sua missione di dominare il mondo.

 

Non accadde nulla di tutto ciò: innanzitutto, gli arabi avevano impiantato le loro radici in terra iberica in tempi troppo recenti da poter escogitare una “invasione” delle terre franche così minacciosa da rendere necessaria l’introduzione della cavalleria (la loro penetrazione era iniziata nel 711, quando Tariq ibn Zayàd conquistò l’avamposto che da lui prese il nome di Gibilterra, mentre le progressive vittorie furono rese possibili dallo stato di confusione e debolezza in cui versava la penisola, dilaniata dalla rivalità fra regno visigoto e aristocrazia ispano-gotica).

 

Il contingente islamico, come si è detto, era in realtà di modesta entità e a determinare l’uso sistematico dei cavalieri fu più l’introduzione della staffa di provenienza orientale, la quale permise l’adozione di una scherma della lancia che, a sua volta, contribuì a garantire ai combattenti un miglior equilibrio in sella, presupposto indispensabile per tenere saldamente in pugno l’arma e colpire frontalmente i nemici sfruttando la corsa del cavallo.

 

Questo mito di Poitiers ha poi, per così dire, offuscato altre vicende storiche decisamente più significative. Primo, che nell’VIII secolo vi fu uno scontro fra islamici e cristiani ben più importante: mi riferisco alla vittoria riportata nel 740 dal basileus Leone III ad Amorium, in Anatolia, battaglia in cui forse davvero venne arrestata l’avanzata islamica nel cuore dell’Europa (in questo caso nel fronte sudorientale). Ma i cattivi rapporti fra Chiesa orientale e Chiesa occidentale, dove il sovrano costantinopolitano era visto come un eretico iconoclasta, spinsero i latini a ridimensionare i successi dei bizantini.

 

Il secondo elemento “dimenticato” riguarda gli aiuti ricevuti nella circostanza da Carlo Martello: a sostenerlo contro le incursioni islamiche vi erano anche i longobardi di Liutprando, il quale, in precedenza, tramite il rituale del taglio dei capelli, ne aveva persino adottato il figlio. Dobbiamo allo storico Paolo Diacono il merito di averci raccontato come venne formalizzata questa alleanza fra i due popoli, la quale si tradusse nell’invio di rinforzi al sovrano d’oltralpe nelle lotte intestine in cui era coinvolto. Furono le fonti franche successive ad aver cercato di adombrare questi fatti: la sintonia che legò prima Pipino il Breve e poi Carlomagno alla Chiesa di Roma in funzione anti-longobarda produsse un obnubilamento di questa passata intesa.

 

Infine, la vittoria di Carlo Martello ha fatto cadere nell’oblio del dimenticatoio alcuni raid arabi che invece andarono in porto, quasi a costituire una revanche di Poitiers: nel 734 fu saccheggiata Arles, nel 737 fu occupata Avignone e venne razziata parte della Borgogna, dove un gran numero di cristiani finirono schiavizzati e deportati nella penisola iberica.

 

Episodi che confermano come la celeberrima battaglia di Poitiers fu un evento di poca importanza sia nelle vicende dell’epoca e sia nella complessa storia dei rapporti fra Cristianità e Islam. È quindi assai probabile che nulla sarebbe cambiato se nella circostanza Carlo Martello fosse stato sconfitto: la storia dell’Europa non sarebbe mutata e il Corano non sarebbe stato insegnato a Oxford come prefigurava Gibbon.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Bargigia F., Teoria e cultura della guerra, in Guerre ed eserciti nel Medioevo, a cura di Grillo P. e Settia A., Il Mulino, Bologna 2018, pp. 193-219.

Cardini F., Alle radici della cavalleria medievale, Il Mulino, Bologna 2014.

Gasparri S., Italia longobarda. Il regno, i Franchi, il papato, Laterza, Roma-Bari 2012.

Guglielmotti P., I franchi e l’Europa carolingia, in Storia medievale, AA.VV., Donzelli, Roma 2017, pp. 175-201.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]