.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


.

filosofia & religione


N. 95 - Novembre 2015 (CXXVI)

ASCESA E CADUTA DELLA SUPREMAZIA PONTIFICIA
DAL DICTATUS PAPAE AL CONFLITTO CON FILIPPO IL BELLO

di Davide Galluzzi

 

Per meglio comprendere come si arrivò al breve periodo della supremazia papale in Europa bisogna capire le condizioni in cui versava il cattolicesimo fino alla metà dell’XI secolo. Anzitutto è necessario sottolineare che, a seguito della rottura definitiva con Costantinopoli avvenuta nel 1054 a seguito di lunghe e innumerevoli tensioni, il cristianesimo era profondamente diviso.

 

Queste rottura portò il cattolicesimo in una dimensione forzatamente europea. Un altro punto di fondamentale importanza è che il cattolicesimo viveva una profonda crisi morale, preda di una serie di papi incapaci e sottomesso al controllo dei laici. Tutti questi fattori uniti causarono come risposta un vasto movimento di riforma portato avanti dai monasteri e da vari settori del clero, destinato a cambiare la politica della Chiesa nel momento in cui incontrerà dei pontefici disposti a seguire il cammino iniziato da altri.

 

Dagli inizi della riforma al dictatus papae: la nascita della supremazia pontificia

 

Come già accennato i mali della Chiesa erano rappresentati dal controllo laico sull’istituto cattolico e su un forte declino morale, rappresentato efficacemente dalle pratiche della simonia e del concubinato. Mentre con quest’ultima pratica si intendevano la convivenza e la relazione di membri del clero con donne, con la simonia si intendeva la compravendita di cariche ecclesiastiche. I primi segni di riforma si ebbero con Leone IX e Niccolò II.

 

L’azione di questi pontefici portò, oltre alla condanna della simonia e del concubinato, una riforma dell’elezione pontificia. Con la bolla In nomine Domini, emessa durante un sinodo convocato in Laterano nel 1059, sanciva che l’elezione del papa sarebbe avvenuta tramite una votazione cui avrebbero partecipato i cardinali vescovi e, in seguito, i cardinali chierici (esponenti del clero romano e dintorni).

 

Con questa importantissima riforma il papato veniva sottratto al controllo dei laici, fattore determinante per gli esiti della successiva riforma di cui proprio il vertice del cattolicesimo voleva divenire protagonista.

 

Questi primi segni di riforma, tuttavia, non fermarono la proliferazione di movimenti riformatori, molti dei quali nacquero proprio in Italia (i camaldolesi, l’Ordine vallombrosiano, i patarini…).

 

Fu l’elezione di Gregorio VII (al secolo Ildebrando Aldobrandeschi) a dare la svolta definitiva. Il nuovo pontefice, che aveva l’importante appoggio del movimento riformatore e di Matilde di Canossa, inizia la sua opera di sottomissione del cattolicesimo e dell’ordine cristiano all’autorità papale. Gregorio VII, pur di veder trionfare i proprio progetti, non esitò ad usare le maniere forti, come testimonia la pratica della scomunica verso chiunque non si sottometta all’autorità pontificia o alle decisioni prese dal papa (soprattutto in materia di simonia e concubinato).

 

Il papa, comunque, era consapevole che uno dei grandi mali della Chiesa dell’epoca era, come già abbondantemente sottolineato, la sottomissione al potere laico. Con al determinazione e l’energia che caratterizzano tutto il suo pontificato Gregorio VII iniziò una lotta contro questo male, giungendo a promulgare, nel 1075, il cosiddetto Dictatus papae, cioè un documento composto da ventisette enunciazioni che ponevano l’autorità pontificia al di sopra di ogni altra autorità, religiosa o temporale.

 

Di seguito proponiamo le proposizioni contenute nel Dictatus papae per meglio aiutare a comprendere il suo significato e le conseguenze che questo documento avrà, a breve e lungo termine, sulla storia della Chiesa. Il pontefice stabilisce:

 

I. Che la Chiesa Romana è stata fondata unicamente da Dio.

II. Che il Pontefice Romano sia l'unico ad essere di diritto chiamato universale.

III. Che Egli solo può deporre o reinsediare i vescovi.

IV. Che in qualunque concilio il suo legato, anche se minore in grado, ha autorità superiore a quella dei vescovi, e può emanare sentenza di deposizione contro di loro.

V. Che il Papa può deporre gli assenti.

VI. Che, fra le altre cose, non si possa abitare sotto lo stesso tetto con coloro che egli ha scomunicato.

VII. Che ad Egli solo è legittimo, secondo i bisogni del momento, fare nuove leggi, riunire nuove congregazioni, fondare abbazie o canoniche; e, dall'altra parte, dividere le diocesi ricche e unire quelle povere.

VIII. Che Egli solo può usare le insegne imperiali.

IX. Che solo al Papa tutti i principi debbano baciare i piedi.

X. Che solo il Suo nome sia pronunciato nelle chiese.

XI. Che il Suo nome sia il solo in tutto il mondo.

XII. Che ad Egli è permesso di deporre gli imperatori.

XIII. Che ad Egli è permesso di trasferire i vescovi secondo necessità.

XIV. Che Egli ha il potere di ordinare un sacerdote di qualsiasi chiesa, in qualsiasi territorio.

XV. Che colui che Egli ha ordinato può dirigere un'altra chiesa, ma non può muovergli guerra; inoltre non può ricevere un grado superiore da alcun altro vescovo.

XVI. Che nessun sinodo sia definito "generale" senza il Suo ordine.

XVII. Che un testo possa essere dichiarato canonico solamente sotto la Sua autorità.

XVIII. Che una Sua sentenza non possa essere riformata da alcuno; al contrario, Egli può riformare qualsiasi sentenza emanata da altri.

XIX. Che Egli non possa essere giudicato da alcuno.

XX. Che nessuno possa condannare chi si è appellato alla Santa Sede.

XXI. Che tutte le maiores cause, di qualsiasi chiesa, debbano essere portate davanti a Lui.

XXII. Che la Chiesa Romana non ha mai errato; né, secondo la testimonianza delle Scritture, mai errerà per l'eternità.

XXIII. Che il Pontefice Romano eletto canonicamente, è senza dubbio, per i meriti di San Pietro, santificato, secondo quanto detto da sant'Ennodio, vescovo di Pavia, e confermato da molti santi padri a lui favorevoli, come si legge nei decreti di San Simmaco papa.

XXIV. Che, dietro Suo comando e col suo consenso, i vassalli abbiano titolo per presentare accuse.

XXV. Che Egli possa deporre o reinsediare vescovi senza convocare un sinodo.

XXVI. Che colui il quale non è in comunione con la Chiesa Romana non sia da considerare cattolico.

XXVII. Che Egli possa sciogliere dalla fedeltà i sudditi dei principi iniqui.

 

Il conflitto con l’imperatore

 

Questa volontà di porsi al di sopra del controllo laico, queste immense prerogative che il pontefice assegnava a sé stesso, sarebbero state accettate supinamente dagli altri poteri europei? Ovviamente no. La pretesa universalistica del pontefice spinse il papato verso un forte conflitto con l’altra autorità che si definiva universale: l’imperatore. Sul trono di imperiale sedeva allora Enrico IV, non disposto ad accettare la nascente supremazia papale.

 

Convocati i vescovi tedeschi ed italiani a Worms l’imperatore ottenne la deposizione di Gregorio VII, il quale reagì proclamando la decadenza dell’imperatore e sciogliendo i suoi vassalli da ogni obbligo di fedeltà. La pronta manovra del papa sembrò garantirgli la vittoria. I vassalli, sciolti dall’obbligo di fedeltà, iniziarono una attività d’opposizione all’interno dell’Impero, decisi a trarre il maggior profitto dalla situazione. Enrico IV, compresa la gravità della situazione, si recò a Canossa, con la volontà di ottenere il perdono di Gregorio VII. Vestito umilmente, costretto a stare a piedi nudi nella neve, l’imperatore implorò perdono. Dopo tre giorni, finalmente, lo ottenne. Riconosciuto nuovamente imperatore Enrico IV ritornò in Germania, sospendendo il conflitto fino alla sconfitta del rivale Rodolfo di Svevia.

 

Sconfitta l’opposizione interna l’imperatore accese di nuovo la fiamma del conflitto scendendo in Italia e ottenendo, dai vescovi dell’Italia settentrionale, l’elezione dell’antipapa Clemente III (al secolo Guiberto di Ravenna). Le truppe imperiali non si fermarono e, conquistata Roma, assediarono il papa a Castel Sant’Angelo. L’assedio verrà rotto solo grazie all’intervento delle armate normanne di Roberto il Guiscardo, poco disposto a vedere la scomoda presenza imperiale ai confini del suo dominio. Gregorio VII, che ormai non godeva più dell’appoggio del popolo romano, si ritirò presso Montecassino, per morire poi a Salerno nel 1085.

 

Il Concordato di Worms e il consolidamento dello Stato pontificio

 

La situazione nata con l’elezione di un antipapa era veramente esplosiva. L’Italia centro-settentrionale era lacerata, divisa tra i sostenitori dell’una o dell’altra fazione. I vescovi, che detenevano anche poteri civili, videro sfilacciarsi la propria autorità in favore dei Comuni. La scomparsa dei principali contendenti portò ad una ricomposizione della frattura, avvenuta col cosiddetto Concordato di Worms stipulato tra l’imperatore Enrico V e il papa Callisto II.

 

Secondo tale accordo l’investitura spirituale dei vescovi spettava al papa, mentre l’investitura temporale da parte dell’imperatore poteva avvenire solo in seguito. Una importantissima variazione era prevista per i paesi germanici: qui l’investitura temporale avrebbe preceduto quella spirituale (che doveva comunque avvenire alla presenza dell’imperatore). Insomma, una battuta d’arresto per le pretese di supremazia del papato, ma questo passo indietro può comunque essere considerato una vittoria se si considera il fatto che ormai la Chiesa non era più sottoposta al controllo laico come un tempo.

 

Nel 1123 il Concilio ecumenico Lateranense ratificò i decreti gregoriani e fornì le basi per una maggior strutturazione dello Stato pontificio. Fu da quel momento, infatti, che il papa cominciò ad assumere comportamenti da sovrano, come l’utilizzo della tiara e la formazione di una corte. Contemporaneamente con la nascita della Curia si strutturò maggiormente il sistema fiscale. Da sottolineare poi che, mentre da un lato lo Stato pontificio si strutturava e consolidava, dall’altro aumentava il proprio territorio grazie alla conquista di Spoleto e di Ancona.

 

La supremazia pontificia si consolida

 

I conflitti con l’impero erano comunque destinati a rinascere. I piani di supremazia universale del papato, infatti, si scontravano inevitabilmente con l’analogo programma imperiale. Con la dichiarazione, espressa nel 1139, secondo la quale “Roma è alla testa del mondo” la Chiesa entrò nel mirino di Federico Barbarossa. La disputa si inserì nel più ampio conflitto della Lega lombarda contro l’imperatore, il quale venne sconfitto.

 

Siccome durante il conflitto il Barbarossa, come i suoi predecessori, fece eleggere un antipapa, il III Concilio ecumenico lateranense del 1179 decretò che l’elezione papale dovesse avvenire con una maggioranza dei due terzi del collegio cardinalizio. Questa mossa garantì al papato una ulteriore solidità. In ogni caso lo snodo fondamentale per la consolidazione della supremazia pontificia avviene con l’elezione di Innocenzo III nel 1198. Il neo-eletto papa elabora una nuova linea secondo la quale, avendo il Cristo dato a Pietro le chiavi del regno dei Cieli, i pontefici, eredi di Pietro, sono i soli a godere della pienezza del potere spirituale.

 

Queste enunciazioni sono di grandissima portata poiché di fatto sottomettono le chiese nazionali a Roma e danno via libera all’intervento del papa negli affari temporali, qualora sia in gioco il rispetto della legge cattolica. Il re e gli imperatori, secondo questa elaborazione, godono del potere pubblico solo per delega. Il IV Concilio Laterano ratificò, nel 1215, le decisioni del papa.

 

Tra le enunciazioni di Innocenzo III ed il Concilio Laterano si pone l’azione politica del pontefice, destinata a portare la supremazia del vertice della Chiesa all’apogeo.

 

Possiamo notare principalmente due direttrici dell’azione politica di Innocenzo III: la Germania e l’Inghilterra. In Germania il papa divenne arbitro nella contesa per il trono imperiale, favorendo Ottone di Brunswick ai danni dell’altro pretendente, Filippo di Svevia. Da notare che, in seguito, il papa abbandonerà Ottone favorendo l’ascesa al trono di Federico II, lo stupor mundi.

 

In Inghilterra, invece, il monarca Giovanni Senzaterra venne scomunicato a seguito della sua volontà di non riconoscere Langton quale arcivescovo di Canterbury. Il perdono costerà caro a Giovanni, il quale dovrà sottomettersi al papa trasformando l’Inghilterra in un vassallo della Chiesa. L’Inghilterra, ad ogni modo, si trovava in compagnia di Danimarca, Polonia, Portogallo, Aragona…

 

Ulteriore, sebbene apparente, rafforzamento del papato derivò dalla vittoria su Federico II e dalla presunta riunificazione delle Chiese d’Occidente e d’Oriente.

 

Dalle prime sconfitte al conflitto con Filippo il Bello: la fine della supremazia pontificia

 

Come scritto poco sopra la vittoria su Federico II e la presunta riunificazione del cristianesimo furono due vittorie apparenti. È necessario, infatti, sottolineare le la riunificazione delle due Chiese avvenne su pressione dell’imperatore bizantino desideroso di trovare appoggi politici contro le mire di Carlo d’Angiò in Oriente.

 

L’ostilità del clero ortodosso, unito alla mancanza del forte sostegno che Michele VIII Paleologo si aspettava, portarono alla rottura dell’unità appena sette anni dopo la decisione conciliare. Inoltre lo scoppio dei Vespri siciliani e la relativa cessione della Sicilia al re d’Aragona interruppero i sogni di egemonia nel meridione d’Italia iniziati con l’incoronazione di Carlo d’Angiò.

 

Ma non fu questo a dare un colpo mortale alla supremazia pontificia. In Inghilterra e in Francia iniziava a formarsi l’idea secondo la quale solo la monarchia dovrebbe avere il monopolio della giustizia temporale.

 

Questo progetto si scontrava direttamente con i disegni del papato e portò alla forte contestazione dei privilegi di cui godeva il clero (per esempio Filippo III l’Ardito, re di Francia, limitò i privilegi del foro ecclesiastico). Lo scontro più aspro, in ogni caso, si ebbe su questioni finanziarie. Durante il suo regno Filippo il Bello, re di Francia, decise di far pagare una imposta al clero, precedentemente immune, al fine di sostenere la monarchia nella guerra contro l’Inghilterra.

 

Nonostante il richiamo all’ordine fatto da Bonifacio VIII il re di Francia continua la sua opera, bloccando il trasferimento di fondi verso Roma. Il culmine del conflitto si raggiunge nel 1303, quando re Filippo, stanco dei continui inviti alla sottomissione, invia Guglielmo di Nogaret ad Anagni, dove risiedeva il papa.

 

Con la complicità dell’opposizione locale Bonifacio VIII viene schiaffeggiato e imprigionato dall’emissario francese. La liberazione del pontefice arriverà dopo due mesi, ma l’episodio dimostrò comunque il reale rapporto di forza nell’Europa del XIV secolo e sancì la fine della supremazia pontificia.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.