[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 154 / OTTOBRE 2020 (CLXXXV)


antica

L’ARTE DELLA PROFUMERIA NEL MONDO GRECO
TESTIMONIANZE

di Giulia Freni

 

Le origini dell’arte della profumeria si perdono nella notte dei tempi, anche se bisogna riconoscere che nel mondo antico, proprio come oggi, vi era l’abitudine di prendersi cura del proprio corpo attraverso l’impiego di sostanze profumate: oggi realizzate chimicamente, nell’antichità attraverso elementi naturali, tali sostanze erano usate per ungere e profumare il corpo, spesso con l’intento di ostentare la propria condizione sociale.

 

Le testimonianze più antiche dell’utilizzo di sostanze aromatiche risalgono all’Età del Bronzo, come è emerso dagli scavi archeologici a Pyrgos nell’isola di Cipro, condotti dalla Missione Archeologica Italiana del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) a partire dal 1998. È stata trovata un’area artigianale risalente alla Media Età del Bronzo (2000 - 1600 a.C. circa) che comprendeva, oltre a delle botteghe, anche un frantoio per la produzione di olio.

 

Sono stati rivenuti vari reperti, tra i quali delle macine per schiacciare le sostanze aromatiche e parti di una pressa per la spremitura delle olive, oltre che numerosi contenitori di unguenti e profumi. Rilevante è stata la scoperta di due distillatori, ognuno composto da quattro vasi e utilizzato per l’estrazione degli oli essenziali. Attraverso delle analisi chimiche sui reperti si è notato come le sostanze maggiormente utilizzate a Cipro fossero gli ingredienti del κύπρος, ma sono state rinvenute anche tracce di rosmarino, prezzemolo, alloro, lavanda, cannella.

 

L’interesse per l’arte della profumeria è attestato anche nella civiltà minoica: dal palazzo di Festòs, risalente alla prima fase palaziale (Medio Minoico IB - II, 1900-1700 a.C. circa), provengono delle ceramiche per il filtraggio, la decantazione e l’infusione delle sostanze; nel palazzo di Zakros, della seconda fase palaziale (Medio Minoico III - Tardo Minoico IB, 1700-1450 a.C. circa), sono stati invece rinvenuti bacini, brocchette, bracieri e olle usati per la distillazione.

 

Si ricorda anche un’area per la lavorazione dell’olio d’oliva, scoperta presso il sito di Chamalevri a Creta: attraverso alcune analisi chimiche sui contenitori ritrovati in loco è stato possibile identificare tracce di olio mescolate a foglie di iris, dimostrando come in quest’area l’olio d’oliva fosse utilizzato per preparare unguenti profumati. È rilevante come in queste e in altre strutture palaziali gli spazi per la preparazione dei profumi fossero separati dagli insediamenti, a causa delle esalazioni di odori e vapori.

 

Le testimonianze aumentano con la civiltà micenea (Tardo Elladico, 1600 - 1100 a.C. circa), nella quale oli e profumi erano impiegati sia nell’ambito di rituali in onore delle divinità sia per la cura del corpo femminile; l’olio era inoltre utilizzato per purificare e ridare colore ai corpi dei defunti. Per il trasporto di questi prodotti il contenitore più utilizzato era l’anfora a staffa, caratterizzata da un falso collo collocato tra due anse; il suo ritrovamento anche in altre aree del Mediterraneo testimonia un’intensa attività commerciale volta all’importazione di materie prime e all’esportazione di profumi.

 

Le scoperte risalenti a questo periodo non si limitano ai numerosi recipienti rinvenuti nelle tombe e nelle strutture palaziali: con il ritrovamento e la decifrazione delle tavolette di Lineare B da parte di Michael Ventris e John Chadwick nel 1952, sono stati infatti trovati elenchi di spezie e sostanze odorose, con riferimento agli ingredienti, tu-we-ta (da cui il greco θύεα), utilizzati per le varie preparazioni: tra questi ricordiamo e-ra-wa (da cui λαιον, olio d’oliva) e wo-do-we (da cui όδινον, olio di rosa). In alcune tavolette ritrovate a Pilo è inoltre attestata la figura del profumiere, a-re-pa-zo-o, e si citano alcune persone che svolgevano questo mestiere: Kokalos, Eumedes, Philaios e Thyestes.

 

La fine della civiltà micenea ha sicuramente determinato dei mutamenti dal punto vista economico, dal momento che l’aspetto principale dei palazzi micenei era legato a questo ambito. I successivi “secoli bui” costituiscono anche per l’arte della profumeria un’età oscura, nonostante siano stati ritrovati alcuni contenitori già utilizzati durante l’età micenea quali l’anfora a staffa, evidenziando una certa continuità rispetto al periodo precedente. All’VIII secolo a.C. risalgono ρύβαλλοι e λήκυθοι decorati con stile geometrico, trovati a Rodi, Kos e altre isole del Dodecaneso; degni di nota sono gli ρύβαλλοι della tipologia Spaghetti style, definiti così per la decorazione composta da numerose linee lungo il corpo del vaso.

 

Dal VII-VI secolo a.C. il commercio di oli e profumi risulta ormai ben consolidato, come emerge da numerosi frammenti di poeti quali Saffo e Alceo nei quali si evidenzia come le élites si servissero di questi prodotti per sottolineare il proprio status symbol. Questo generò un eccesso nell’ostentazione del lusso da parte della classe aristocratica, tanto che Solone e altri legislatori emanarono leggi contro lo spreco dei profumi per ridurre le differenze tra le varie classi sociali.

 

Le sostanze aromatiche erano utilizzate anche in ambiti specifici della vita quotidiana, quali le nozze, i riti funebri, gli agoni sportivi e il simposio. Riguardo all’ambito simposiale, si ricorda in modo particolare la testimonianza del poeta e filosofo Senofane di Colofone: come si può leggere nel frammento 21 B1 Diels-Kranz, durante i banchetti i commensali indossavano corone di fiori e ricevevano olio profumato in delle coppe, mentre dal centro della sala si diffondeva l’odore dell’incenso e tutto era accompagnato da cibo e vino posti su una mensa.

 

Come molte altre attività, anche l’arte della profumeria aveva una terminologia propria e specifica per indicare oli, profumi e sostanze aromatiche. In primo luogo, l’arte di prendersi cura del proprio corpo era definita κοσμητικ, dal verbo κοσμέω “ornare, mettere in ordine”.

 

Come evidenzia Galeno, la κοσμητικ aveva come scopo il preservare quello che nel corpo è conforme a natura; a questa arte medica era contrapposta la κομμωτική, la quale mirava invece a procurare e accrescere la bellezza. Il sostantivo che il greco antico utilizza maggiormente per indicare un profumo è σμ, in Omero ed Esiodo presente nella forma ionica δμ; il termine è riconducibile alla radice indoeuropea *od- “sentire”, dalla quale derivano anche il verbo ζω “profumare, odorare” e gli aggettivi εὐώδης “profumato” e δυσώδης “fetido”. Alternativo a σμ per indicare il profumo è δωδή, frequente nel dialetto eolico e dal quale deriva l’aggettivo δωδς “odoroso”. Dalla radice *od- deriva anche il latino odor.

 

Un’altra radice indoeuropea legata alla sfera degli odori è *dhu “fumare”, che in greco antico dà origine al sostantivo τφος “vapore, fumo” e ai verbi τυφω e τφω “mandare fumo o vapore”. A questa radice si può ricondurre anche il verbo θυμιάω “profumare”, dal quale derivano θυμίαμα “incenso, profumo” e θυδης “profumato”. Il verbo θυμιάω potrebbe essere inoltre legato a θω “sacrificare” e quindi a “sacrificio”, per il fatto che durante i sacrifici si era soliti fare uso di sostanze odorose. Alla radice *dhu si può ricondurre anche il sostantivo fumum, dal quale deriva il termine italiano profumo in riferimento al fumo delle offerte alle divinità.

 

Dobbiamo poi ricordare il sostantivo e-ra-wa che nelle tavolette micenee indicava l’olio d’oliva; da questo sono derivati λαιον “olio d’oliva”, λαιος “olivo selvatico” e λα “oliva”, oltre al latino oleum. Degni di nota sono anche altri termini tecnici quali: διάπασμα, una polvere profumata che le persone si spargevano addosso; ρωμα, erba aromatica o spezia, che al plurale indicava le sostanze con un buon odore; μρον, sostantivo che indicava sia la mirra che l’essenza di un profumo; χρσμα, olio per ungere il corpo.

 

Per definire invece il profumo ricavato da un determinato fiore, si tende a utilizzare il genere neutro e il suffisso -inon­: parliamo infatti di ρινον per indicare il profumo prodotto dall’iris, di οδνον per indicare quello prodotto dalla rosa, di σούσινον per indicare quello prodotto dal giglio… Per designare il mestiere del profumiere in greco si utilizzava il sostantivo ιζοτόμος, letteralmente “tagliatore di radici” da ίζα “radice” e τέμνω “tagliare”.

 

In Teofrasto, nel De odoribus, per indicare colui che svolgeva questa attività sono attestati anche i termini μυρεψοί e μυροπλαι: in particolare i μυρεψοί, da μρον “profumo” e ψω “lessare”, si occupavano di “cucinare i profumi”, ovvero di aggiungere materie grasse agli oli essenziali. In latino, invece, il profumiere era chiamato in molti modi, tra i quali ricordiamo aromatarius, unguentarius, herbarius e myrobrecharius. Rilevanti sono infine le figure dei φαρμακοπλαι, coloro che si occupavano di vendere i prodotti lavorati dai ιζοτόμοι; spesso erano considerati ciarlatani perché vendevano anche veleni e prodotti pericolosi.

 

Nell’antichità il mestiere di profumiere non godeva di buona considerazione sociale, essendo svolto in Grecia dagli stranieri e a Roma dagli schiavi. Sono numerose le testimonianze letterarie che esprimono disprezzo verso questa professione: si ricorda in modo particolare come Platone ritenesse l’utilizzo di oli e profumi contrario alla virtù o come Cicerone in De officiis, I, 150 definisse quest’attività indegna di un uomo libero. Un interesse per l’arte della profumeria è manifestato da Teofrasto e Plinio il Vecchio, che nelle loro opere trattano a lungo delle tecniche e dei segreti per realizzare le fragranze.

 

Ci sono numerose testimonianze letterarie di alcuni profumieri attivi sia in Grecia che a Roma. Il poeta Anacreonte cita Strattide, dicendo di avergli chiesto se portasse i capelli lunghi: “τν μυροποιν ρμην Στρττιν ε κομσει” (Page, fr. 42). Il commediografo Strattide e il filosofo Eraclide Pontico citano invece Dinia, proveniente dall’Egitto e trasferitosi ad Atene per svolgere il mestiere di ιζοτόμος (Kassel-Austin, fr. 34; Wehrli, fr. 61). Lisia racconta di Eschine, un uomo che aveva provato a vendere profumi senza successo e che finse di essere innamorato della moglie di un profumiere per poter pagare i creditori con i quali si era indebitato (Carey, fr. 1.5).

 

Tra i profumieri più conosciuti ad Atene del V-IV secolo vi era Megallo, citato da Aristofane e altri commediografi come l’inventore del megalleion (Kassel-Austin, fr. 549). Nelle loro commedie Anassandride e Teopompo ricordavano Perone, noto per i suoi profumi molto costosi. Particolare è il caso di Atenogene di Atene, citato solo dall’oratore Iperide nell’orazione Contro Atenogene: si dice che la sua famiglia svolgesse l’attività della profumeria da varie generazioni e che avesse venduto a poco prezzo uno dei suoi schiavi per cederne anche i debiti. In alcuni frammenti di Polemone di Ilio e Sosibio di Sparta c’è anche la testimonianza di una profumiera, Plangone, che avrebbe inventato il plangonion. Per quanto riguarda i profumieri romani, Marziale nei suoi epigrammi cita spesso Cosmo e Nicerote, attivi nel I secolo d.C.

 

I profumieri si occupavano di raccogliere le sostanze e di lavorarle, per poterne poi ricavare dei prodotti finiti che dovevano essere conservati in vasetti di piombo, alabastro e terracotta. Teofrasto fa riferimento ai ιζοτμοι in Historia Plantarum, IX, 8, evidenziando come la raccolta dovesse seguire delle regole ben precise, spesso legate alla superstizione: alcune piante devono essere raccolte durante la notte, mentre altre durante il giorno. Le botteghe dei ιζοτόμοι, definite da Teofrasto μυροπώλια, erano collocate nell’γορά come quelle delle altre attività commerciali. È inoltre rilevante come Aristofane e altri autori comici parlassero di un quartiere dedicato alla vendita di oli profumati e sostanze aromatiche, definendolo μύρον.

 

I ιζοτόμοι, oltre alla lavorazione delle sostanze, si occupavano della loro conservazione attraverso vasetti di piombo, alabastro e terracotta. A riguardo, uno dei contenitori tipici del mondo greco era l’λάβαστρον, la cui tipologia corinzia era caratterizzata da una bocca a disco spesso, un collo stretto e una forma a sacco; quella attica aveva invece ventre ovoide o cilindrico con fondo arrotondato, labbro largo e piatto e spesso due anse. Si ricordano poi l’ρύβαλλος, caratterizzato da un’imboccatura e un collo stretti che permettevano di far uscire l’olio lentamente; il λήκυθος, un recipiente con un collo alto e stretto, una bocca tonda e un’unica ansa; la πελίκη, un vaso con labbro arrotondato e corpo con profilo a sacco, usato sia per conservare i liquidi in generale che gli oli profumati.

 

Questi recipienti erano spesso decorati a favore di un commercio di lusso a cui si rivolgevano le classi più elevate per ostentare la loro ricchezza. Teofrasto in De odoribus, 9 evidenzia inoltre che il miglior materiale per la conservazione dei profumi era l’alabastro a causa della sua freddezza; si nota anche che i contenitori dovevano essere conservati i luoghi freschi e poco esposti alla luce del sole, in modo tale da non far evaporare le essenze e da non permettere agli odori estranei di penetrare all’interno.

 

L’utilizzo di contenitori di aromata è testimoniato infine in riferimento alla vita quotidiana, come emerge da due epistole tramandate rispettivamente da un papiro e da un στρακον. La prima di queste attestazioni è rappresentata dal PSI XV 1558, risalente al III secolo d.C. In questo papiro è contenuta una lettera con la quale un certo Calleas chiede a Flavius di ricevere le merci del battelliere Peruan per consegnarle alla moglie di Spartas; si aggiunge che il carico è contenuto in un canestro, definito σφυρίδιον, e che comprende varie sostanze, delle quali si fa poi un elenco dettagliato, sottolineando che solo il croco non è stato riposto nel contenitore affinché non si sbricioli. Nell’O.Claud. I 171, uno degli στρακα ritrovati nella fortezza di Mons Claudianus in Egitto, si può leggere invece l’epistola di un certo Menelaos che chiede a un certo Menelaos di inviargli un’ampolla di olio di rosa, dal momento che quello che possedeva gli è stato rubato.

 

Tutte queste testimonianze, letterarie e archeologiche, mostrano le origini di un aspetto peculiare della cultura antica, quello di prendersi cura del proprio corpo, che è ancora presente nella società di oggi seppure con diverse modalità dovute all’avanzamento delle scoperte scientifiche. Sono proprio le peculiarità, infatti, a farci apprezzare la bellezza del mondo antico e a farci comprendere che in fondo esso non sia poi così diverso dal nostro.

 

 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]