L’ARTE DEL LAVORO A MAGLIA
SUI VARIEGATI “INTRECCI” STORICI DI
Un'ANTICA attività
di Matteo
Liberti
In principio serviva semplicemente a
ripararsi dal freddo, poi divenne un
elemento essenziale dell’economia
nonché un efficace supporto in tempo
di guerra, assumendo quindi
connotazioni rivoluzionarie prima di
affermarsi come hobby diffuso a
livello planetario, oggi sempre più
trasversale e non più appannaggio di
dolci “nonnine”. È questa, in
estrema sintesi, la storia del
lavoro a maglia, attività la cui
origine si perde nei meandri del
tempo e la cui evoluzione si è speso
intrecciata con le “maglie” dei
grandi eventi storici.
Origini “proletarie”
La genesi del lavoro a maglia ha
contorni indefiniti, ma sappiamo che
l’uso dei due ferri fu anticipato da
quello di un rudimentale ferro detto
nålebinding, parola danese
traducibile con “legare con un ago”.
«Tale oggetto, simile a un grosso
ago, veniva utilizzato per unire
brevi spezzoni di filati rozzi,
realizzando sia tessuti sia reti da
pesca», spiega in proposito Loretta
Napoleoni, autrice del saggio Sul
filo di lana (Mondadori). «Nello
specifico, il frammento di maglia
più antico mai scoperto,
probabilmente parte di un indumento,
risale al 6500 a.C. ed è stato
trovato in una grotta in Israele,
seguito da un altro del 4200 a.C.,
rinvenuto in un villaggio danese di
pescatori». La transizione dal
nålebinding ai due ferri avvenne
quindi in Medio Oriente,
affermandosi nel corso del I
millennio d.C. e diffondendosi poi
anche in Europa. Nei tempi antichi,
l’arte della maglia, al di là degli
strumenti, era peraltro considerata
come il più umile dei lavori
artigianali, utile a soddisfare
bisogni primari, ma senza
particolare valore estetico, come
avevano invece arazzi, sudari e
tessuti ricamati, le cui lavorazioni
erano prerogativa delle élites (nel
mito, la nobildonna Penelope, moglie
di Ulisse, usava non a caso un
grande telaio, non arnesi da
maglia). Tale aspetto “proletario”
del lavoro a maglia si mantenne per
buona parte del medioevo, durante il
quale a dargli nuovo lustro ci pensò
tuttavia la Chiesa, che dall’epoca
delle crociate (XI-XIII secolo)
iniziò a commissionare guanti
liturgici, paramenti, cuscini e
altri preziosi prodotti provenienti
dal Medio Oriente. I ferri da maglia
fecero quindi la loro comparsa nelle
immagini sacre, come nel caso di una
Madonna dipinta nel 1400 su una pala
d’altare a Buxtehude, in Germania
dal pittore Maestro Bertram, intenta
appunto a sferruzzare.
Boom cinquecentesco
Dopo aver sedotto la Chiesa, dal
Cinquecento i lavori a maglia
entrarono nelle corti europee.
«Molti mercanti iniziarono a
trattare splendidi capi realizzati
ai ferri, apprezzatissimi da tutti
gli aristocratici e reali d’Europa,
in particolare dagli uomini, che
amavano sfoggiare calze di seta
sotto le brache a sbuffo, come
attestano tra l’altro numerosi
ritratti del sovrano inglese Enrico
VIII, sul trono tra il 1509 e il
1547», racconta Napoleoni. Per la
cronaca, i migliori prodotti in seta
venivano all’epoca dall’Italia e
dalla Spagna, lavorati da abilissimi
artigiani (rigorosamente uomini; le
donne continuavano a sferruzzare in
casa) sfruttati dalla nuova élite
mercantile. Fu peraltro in ambito
inglese che i lavori a maglia
riscossero i maggiori successi,
divenendo uno dei motori
dell’economia dell’impero
britannico, grazie anche al
contributo del Nuovo Mondo. Lana e
cotone prodotti nelle colonie
americane venivano importati in
Inghilterra a prezzi stracciati, per
essere poi lavorati e nuovamente
esportati verso le colonie,
generando cospicui profitti. «Fu
però solo una questione di tempo
prima che le colonie si rendessero
conto del potenziale economico della
loro produzione laniera, decidendo
di sfidare chi ne controllava il
mercato mondiale, ossia i mercanti e
gli industriali britannici», avverte
l’esperta.
Magliaie di frontiera
In risposta ai propositi di
autonomia dei coloni, nel 1699 il
parlamento britannico approvò una
legge – il Wool Act – che vietava
loro di esportare altrove la lana,
obbligandoli inoltre a importare
solo tessuti inglesi. I coloni
risposero a loro volta boicottando
tali prodotti, pur non disponendo
ancora di industrie adeguate a
produrseli da soli. «Avevano però la
lana, e stuoli di donne che sapevano
filare e lavorare a maglia», ricorda
l’esperta. «E furono proprio loro a
sfidare la macchina produttiva
inglese, in una lotta tra Davide e
Golia combattuta usando come arma il
nucleo stesso del potere economico e
commerciale dell’impero: filati e
tessuti». Tali donne, solite
riunirsi in gruppi, divennero il
simbolo della disubbidienza delle
colonie all’impero britannico, e
dopo la guerra d’indipendenza
(1775-1783) – durante la quale
rifornirono di vestiario ogni uomo
impegnato al fronte – contribuirono
alla “conquista” dell’Ovest
americano, lavorando senza sosta a
bordo dei carri lungo le piste delle
carovane e utilizzando i prodotti
creati anche come merce di scambio
per accaparrarsi derrate alimentari.
Il loro impegno garantì così la
sopravvivenza di gran parte dei
pionieri impegnati nella storica
corsa verso il “Far West”.
Sferruzzate “rivoluzionarie”
Mentre oltreoceano i ferri da
maglia divenivano uno dei motori
della società americana, nel vecchio
continente il lavoro delle magliaie
s’intrecciò con la rivoluzione
francese del 1789, grazie alle
celebri le tricoteuses,
gruppi di donne politicizzate che
usavano sferruzzare davanti al
patibolo dei condannati a morte.
«Circondate da una crescente
popolarità, costoro scelsero quale
luogo prediletto d’incontro Place de
la Révolution (oggi de la Concorde),
dove avvenivano appunto le
esecuzioni, e qui lavoravano a
maglia dal mattino alla sera
realizzando calze, guanti e sciarpe
che smerciavano alla fine del
macabro spettacolo», ricorda
l’esperta. «A spopolare erano
soprattutto i berretti frigi, i
rossi “cappelli della libertà”, che
divennero uno dei simboli della
Rivoluzione e che tutti i parigini
presero a indossare». Spentisi gli
echi rivoluzionari, nei decenni
seguenti, a tutte le latitudini, il
lavoro delle magliaie continuò a
risultare imprescindibile per la
collettività, sia in tempo di pace
sia, soprattutto, in tempo di
guerra.
Spie coi ferri
Un contributo decisivo ai soldati
impegnati al fronte fu dato dalle
magliaie soprattutto nei due
conflitti mondiali che
insanguinarono la prima parte del
Novecento. Sia nel primo sia nel
secondo conflitto, su pressoché
tutti i fronti, le magliaie
rifornirono infatti i soldati di
calze, maglie, sciarpe, coperte e
cappelli (realizzati spesso
disfacendo vecchi abiti), ma alcune
fecero ancora di più, entrando
addirittura nel mondo dello
spionaggio. «Su un capo
d’abbigliamento si possono celare
messaggi in codice, riguardanti
magari – in caso di guerra –
informazioni cruciali sul nemico,
come posizione delle truppe, numero
delle armi e itinerari dei convogli,
e sulla base di tale presupposto
moltissime magliaie si tramutarono
appunto in spie, usando i punti a
maglia per realizzare cifrari
segreti utili a far circolare
informazioni preziose», spiega
Napoleoni». A usare tale escamotage
fu soprattutto l’intelligence
britannica nel corso della seconda
guerra mondiale.
Nuovi successi
Finita la guerra, il lavoro a maglia
tornò a conoscere nuovi successi in
ambito civile, con la crescita delle
industrie dei filati e la diffusione
di libri, periodici e giornali
dedicati al tema. Tra gli anni
Cinquanta e Sessanta, la moda scoprì
così il valore dei prodotti con i
ferri da maglia, grazie ai quali le
donne potevano creare ex novo il
proprio guardaroba, finalmente per
diletto e non più per necessità. A
offrire nuova pubblicità a tali
lavori fai-da-te fu tra l’altro il
movimento hippie, che vi intravide
connotati rivoluzionari. «Molti
giovani iniziarono a farsi da soli i
vestiti come presa di posizione
contro il capitalismo e il
consumismo occidentali, e così il
lavoro a maglia tornò a essere uno
strumento politico ed economico di
lotta», conferma Napoleoni. I ferri
da maglia suscitarono invece
amore-odio nel movimento femminista,
venendo additati da alcune donne
come simbolo della sottomissione
all’uomo e da altre come strumenti
d’indipendenza. Con l’arrivo del
nuovo millennio, il lavoro a maglia
ha peraltro continuato a fare
proseliti, tornando a coinvolgere
anche molti uomini. Non solo: i
ferri da maglia sono divenuti uno
strumento di provocazione artistica
nota come guerrilla knitting
(“guerriglia di maglieria”) o
yarn bombing (“bombardamento di
filati”), consistente nella
decorazione di spazi pubblici con
variopinti tessuti lavorati a
maglia, applicati su panchine, pali
della luce, staccionate, ponti e
altri elementi, urbani e non. E oggi
a benedire il lavoro a maglia sono
persino medici e scienziati, pronti
a evidenziare i benefici che tale
attività ha sulla nostra salute.
Essa aiuta infatti a migliorare le
capacità di coordinazione e, al pari
dello yoga, abbassa i livelli di
stress, facendoci sentire rilassati,
come in fondo già ben sapevano le
nostre nonne e, prima di loro, la
moltitudine di donne che ha
tramandato i segreti di tale antica
arte.