[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

181 / GENNAIO 2023 (CCXII)


contemporanea

SUL BORGO DI ANTIGNANO
STORIA E VITA QUOTIDIANA DELL’OTTOCENTO

di Maria Grazia Fontani

 

Il borgo di Antignano, un antico insediamento rurale all’estremo sud della città di Livorno, attualmente fa parte del territorio cittadino, ma si tratta di un villaggio autonomo di origine romana, del quale ci sono tracce medievali in antichi documenti che attestano la presenza di pievi fin dall’anno 1000.

 

Il toponimo del borgo labronico ha origine incerta: per alcuni da un gentilizio romano(Fundus Antonianus per Pietro Vigo); su antiche carte si legge Lantigniano; per altri da ante ignem (analogamente all’altro toponimo della vicina Ardenza) ossia prima dei fuochi di segnalazione posti per le navi. Non è l’unico in Italia: esiste al nord (Asti) e al sud (Napoli). Il nome del borgo del Vomero forse deriva da ante Agnano, l’altro, in provincia di Asti, deriverebbe dal nome dei legionari romani detti “antesignani”, ossia l’avanguardia di una legione romana, che ne presero possesso.

 

Cosimo I dei Medici decise di ampliare il porto di Livorno, dopo l’interramento del porto pisano. Nel 1537 dichiarò Livorno porto franco. Solo però nel 1571 affidò a Bernardo Buontalenti il progetto della costruzione di un centro abitato chiuso all’interno di una cinta muraria pentagonale e circondato da bastioni e canali, che ampliava il già esistente nucleo abitativo. Il progetto vide il suo inizio nel 1577, data di nascita della “città ideale” di Livorno.

 

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Iscrizione sul Forte di Antignano

 

Ma nel 1567, prima di diventare Granduca di Toscana, Cosimo I, ancora Duca di Firenze e Siena, fece erigere da Raffaello Guerrazzi, comandante della Fortezza Vecchia di Livorno, un fortilizio proprio nel borgo di Antignano, per difendere le coste dagli attacchi dei barbareschi. Pietro Vigo ci fa sapere che questo forte racchiuse la vecchia chiesa di Santa Lucia, consacrata nel 1370 da Papa Urbano V che tornava a Roma da Avignone. Sembra che questa circostanza non sia suffragata da conferme, ma è invece certo che il forte fu visitato da grandi personaggi, come Vasari, Michelangelo e Cellini.

 

 

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Mappa seicentesca del Forte di Antignano (Cartografia storica regionale)

 

Nella biografia di Benvenuto Cellini “da lui medesimo scritta” si trovano tracce di questi viaggi ad Antignano: «… me n’andai a Livorno e trovai il mio Duca, che mi fece grandissima accoglienza: e poiché io vi stetti parecchi giorni, io cavalcavo con S.E.,… il Duca usciva fuori di Livorno e andava quattro miglia rasente il mare, dove egli faceva fare un po’ di fortezza».

 

Nelle planimetrie più antiche del forte si vedono i quattro bastioni denominati, in senso orario da nord-est,come Fonte (in direzione di Fonte Vecchia), Giardino (guarda la località Giardino), Campana e Fornace (per la fornace eretta in quella zona), ma non si vede ancora il rivellino latomare, che sarà aggiunto in seguito come base di puntamento dei cannonieri.

 

Nella Guida del forestiere di Pietro Volpi del 1846 si legge testualmente: «Vi è un piccolo castello cinto di alte mura che difendono le interne abitazioni, avendo nel suo centro la chiesa pievania del villaggio… Vi risiede un presidio militare». Nel tempo, il forte perdette il suo aspetto originario in quanto, una volta smilitarizzato, fu ceduto a privati che qui costruirono alcune dimore, stravolgendone gran parte della configurazione originaria.

 

Il fronte rivolto verso il mare, divenuto proprietà della famiglia Cremoni, fu trasformato in albergo a partire dal 1878 ininterrottamente fino al 1942, quando fu ceduto anche a causa delle esigenze belliche.

 

 

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Il Castello di Antignano (foto collezione G. Sandonnini)

 

Nel 1898 avvenne purtroppo lo scempio della demolizione del quarto bastione del castello (detto del Giardino) quando una delibera comunale stabilì che si dovesse permettere al Tramway, da poco funzionante, di fare inversione di marcia.

 

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Piazza Bartolommei e il tramway (foto collezione G. Sandonnini)

 

Come per tutte le altre parrocchie cittadine, i registri del censimento granducale del 1841, voluto dal Granduca Leopoldo II di Lorena per censire gli abitanti del Granducato di Toscana, furono redatti personalmente dai parroci nel mese di aprile, forse in occasione della benedizione pasquale. Ad Antignano la Parrocchia di Santa Lucia copre tutto il territorio del borgo, gli abitanti del borgo erano 899, dei quali 165 nel Forte di Antignano, insieme a 14 militari del Presidio della Seconda Compagnia di Cannonieri. Come abbiamo visto, infatti, almeno fino al 1846 il presidio militare era ancora presente nel Forte.

 

La provenienza degli abitanti, diversa dalla Toscana, si limita a qualche nucleo genovese (come ad esempio il cappellano di 47 anni), ad alcuni nuclei familiari da Modena, e a pochi altri dalla Corsica. Il tasso di alfabetizzazione risulta molto basso, avendo riscontrato "LS" (legge e scrive) o solo "L" (legge) in appena 66 abitanti. Le condizioni economiche appaiono piuttosto misere, infatti non si trovano né possidenti né nobili, ma solo artigiani, operanti e coloni affittuari. Solo un abitante risulta proprietario, un certo Gregorio Girac Mirman, di rito armeno.

 

Anche l’età media è molto bassa, sia per l’alto tasso di natalità, sia per le condizioni di vita che non permettevano la longevità in quegli anni. Infatti non si contano più di una decina di ultrasettantenni, e solo Orsolini Antonio ("attende a casa, impotente per età") residente nel Molino di Ardenza, risulta avere 80 anni.

 

Non ho trovato residenti censiti nella bella Villa Gamba, o Villa del Giardino, costruita sui resti di un casino di caccia del tempo di Cosimo I dei Medici, e ancora circondata da antiche mura, in cui nel ‘700 soggiornò forse Carlo Goldoni, ma certamente il romanziere Tobias Smollet che ivi morì. Probabilmente per i proprietari, ricchi commercianti (librai) di origine fiorentina che vivevano nel bel palazzo cittadino sugli Scali San Giovanni Nepomuceno, la villa era una casa per la villeggiatura, e per questo non vi sono censiti. Ma ho trovato la persona a guardia della villa e varie famiglie di coloni che lavoravano le terre circostanti.

 

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Villa Gamba o del Giardino

 

Pur essendo in riva al mare, poche risultano le attività lavorative a esso collegate: qualche marinaro e qualche pescatore, mentre moltissimi sono indicati operanti in modo generico. Molti i coloni, e alta la percentuale di muratori, calcinajuoli e scalpellini. Il motivo di queste attività è che proprio ad Antignano si trovava un calcare da calcina, detto pietra di Antignano. Inoltre risultano censiti 8 scalpellini che vivono direttamente sul lungomare, segno che là si cavava la pietra panchina con la quale sono stati costruiti molti edifici livornesi. Di questi 8, lo scalpellino Rasi Giovanni, vedovo di 59 anni, vive in uno stanzino abbandonato presso la Torre di Calafuria; gli altri, più giovani, nella casa presso il Ponte di Calignaja.

 

Nelle Torri del Boccale e di Calafuria abitano 8 militari della 2° Compagnia di Cannonieri. Sono censiti anche il cappellano militare del Forte del Romito e il Torriere del Romito.

 

 Torre di Calafuria (foto collezione G. Sandonnini)

 

Per quanto riguarda le donne, spesso analfabete, la professione più diffusa è la lavandaja: se ne contano ben 77 in Antignano, il che fa supporre che usufruissero del loro servizio le famiglie benestanti di Livorno.

 

Nei registri censori del 1841 della parrocchia di Santa Lucia di Antignano sono riportati tre cugini, i Berni: Giovanni aveva solo 10 anni, mentre Alessandro ne aveva 12 e Michele 13, ed erano rispettivamente figli dei fratelli Giuseppe, operante, Agostino, muratore, e Pietro cavalleggere. Il motivo della ricerca di questi nominativi è che essi sono fra i caduti nella difesa di Livorno del 1849. Ci racconta la loro storia Alpinolo Sgarallino, figlio del garibaldino Andrea, nella orazione funebre tenuta in occasione della riesumazione dei loro corpi.

 

Il francese Augusto Michel, Giuseppe Gori, Giovanni Parlanti, Jacopo Crespini e un non identificato modenese, in quei giorni avevano coraggiosamente combattuto presso la Porta Maremmana per la difesa della città dall’armata del Generale Costantino D’Aspre, austriaco, che voleva ripristinare il governo del Granduca. Essi, insieme ai i tre cugini Alessandro, Giovanni e Michele Berni, antignanesi, furono vittime della repressione austriaca nelle giornate della difesa di Livorno del maggio 1849. I Berni, che tornavano a casa ad Antignano, furono uccisi per un puro fraintendimento dato che non fecero alcuna resistenza agli austriaci, anzi fraternizzarono con loro, auspicando la restaurazione del Granduca, anche perché Michele era stato guardiacostiera sotto il regime granducale ed era figlio di un militare, un cavalleggere come già detto. Purtroppo non riuscirono a intendersi con i soldati, e furono imprigionati al Lazzeretto di San Jacopo insieme ad altri sventurati. Poche ore dopo vennero prelevati in due gruppi di quattro e barbaramente fucilati: «I cadaveri, avidamente frugati, vennero quindi sepolti con negligenza, cosicché, anco al cessare dell’occupazione austriaca, vedeasi su piazza detta «dei Passeggeri» ove furono seppelliti, il promontorio formato dalle loro ossa!» (Montazio E., Le stragi di Livorno e il Conte di Crenneville, (1869), p. 68).

 

Questa testimonianza ci dice che furono gettati in una fossa comune, ma nel 1859 vennero sepolti più degnamente nel cimitero del lazzaretto. Quando, nel 1879, il cimitero venne distrutto a causa dei lavori per la costruzione dell'Accademia Navale di Livorno, le spoglie, con una orazione funebre pronunciata appunto da Alpinolo Sgarallino, vennero solennemente scortate per la città per essere collocatevicine a quelle di altri eroi della Patria.

 

 

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Il monumento di Lorenzo Gori al cimitero dei “Lupi”

 

Il Presidente dell’Associazione dei Reduci del 10 e 11 maggio 1849, Andrea Sgarallino, aveva formalmente chiesto al Comune di dare degna sepoltura alle spoglie delle otto vittime degli austriaci. Il Comune in effetti donò uno spazio al cimitero monumentale della città, in località Santo Stefano ai Lupi, vicino al mausoleo dei caduti livornesi a Mentana, ma per la realizzazione del sepolcro, commissionato allo scultore Lorenzo Gori, fu necessario indire una sottoscrizione civica. Finalmente nel 1881 il monumento fu completato e inaugurato solennemente. Piacque molto, tanto che poco dopo Gori si aggiudicò anche l'esecuzione del monumento a Francesco Domenico Guerrazzi, ancora visibile vicino alla centralissima Piazza della Repubblica a Livorno.

 

Nel monumento funebre si rappresenta con realismo un combattente in abiti civili non nell'atto eroico, ma già ferito a morte, con lo sguardo perso nel vuoto e il moschetto ancora in mano. Simbolico lo stemma della città di Livorno vicino al giovane, che appare parzialmente danneggiato, per mostrare le sofferenze subite dalla città. Ai due lati del monumento sono riportati i nomi degli otto popolani barbaramente uccisi.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]