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> Filosofia e religione

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N. 14 - Luglio 2006

ANNO NUOVO, VITA NUOVA!

Riti e credenze russe sull'inizio dell'anno

di Aldo Marturano

 

Prima di parlare dei cambiamenti “cristiani”, noi, senza abbandonare i ritmi naturali della campagna, cercheremo di seguire il nostro smierd nei suoi riti pagani, come essi ci sono stati tramandati, lungo l’arco del giorno, dell’anno e della vita. E da dove iniziare? Sicuramente dall’inizio del ciclo vitale naturale: Il nuovo anno!

 

Al tempo di Pietro I il Grande (XVIII sec.) più o meno, l’anno cominciava con il 1° di settembre, benché in realtà la data fosse stata un aggiustamento cristiano-bizantino rispetto al tradizionale inizio dell’anno slavo con l’equinozio di primavera.

 

D’altronde è giusto questo fenomeno astronomico quello al quale tutti gli esseri viventi sono sensibilissimi poiché corrisponde ad una variazione della luce solare (angolazione sull’orizzonte locale e intensità) dalla quale dipende poi la vita sulla terra. Quando questa variazione comincia, e qui parliamo dell’emisfero nord, si accorciano le notti ed ecco che tutto si risveglia nella natura circostante. Il contadino, oggi come ieri sensibile anche lui al fenomeno, interpreta questo aumento di luce non solo fisiologicamente, ma persino attraverso le proprie credenze scientifico-religiose: la luce del giorno quale origine del bene, della fortuna, della salute.

 

Il problema che si pose al tempo di Giulio Cesare con un anno che cominciava con l’equinozio di primavera anche per il calendario romano, fu che, con la piccola differenza che si accumulava fra l’anno religioso e quello astronomico, l’inizio dell’anno civile cominciò a cadere sempre più presto rispetto alla primavera.

 

Con l’introduzione del Cristianesimo e il computo della la Pasqua fissata dopo la prima luna piena dell’equinozio stesso, ci si accorse dell’esistenza di questa “precessione” poiché l’inizio dell’anno al 1° marzo ormai vedeva l’equinozio, col tempo in più accumulatosi col passar degli anni, verificarsi sempre più giorni dopo! Per queste ragioni ci fu un’ulteriore riforma del calendario al tempo del Papa Gregorio VII, alla quale però la Chiesa Ortodossa non aderì.

 

Tuttavia per altre comodità (e dopo circa un secolo di litigi interni) la Chiesa Russa spostò la data dell’inizio dell’anno “civile” al 1° di settembre dell’anno bizantino-russo 7000, ossia del 1492 d.C., quando si chiudevano in pratica i lavori in campagna, ma si dovette attendere la Riforma di Pietro I affinché il 1° gennaio 1700 diventasse l’inizio dell’anno russo in modo simile al resto d’Europa, una data convenzionale che ormai restava staccata dal fenomeno equinoziale. Successivamente al tempo della Rivoluzione d’Ottobre furono aggiunti i 13 giorni di cui Pietro I non aveva tenuto conto rispetto al calendario Gregoriano e il calendario russo finalmente coincise pienamente con quello convenzionale universale!

 

Noi, a nostra volta, abbiamo mantenuto le date “gregoriane” delle feste cristiane per non causare confusione nel nostro lettore, ma in realtà questo si chiama in russo “vecchio stile (di datazione)” poiché con i 13 giorni aggiunti nel 1918 in realtà le feste cristiane (ortodosse, questa volta) risultano spostate in avanti.

 

Gli Slavi inoltre possedevano un proprio calendario che, ricostruito da B. A. Rybakov sulla base di reperti archeologici caratteristici e importanti rinvenuti anche in area sovietica, era diviso in quattro grandi periodi “solari”. Il primo era intorno al Solstizio d’Inverno, il secondo all’Equinozio di Primavera, il terzo al Solstizio d’Estate e l’ultimo intorno all’Equinozio d’Autunno. Perché diciamo “intorno”? I mesi slavi erano basati infatti sul ciclo lunare e quindi i periodi oscillavano intorno ai quattro fenomeni astronomici appena elencati.

 

I nomi ai mesi erano dati proprio in relazione alle operazioni agricole che si effettuavano sui campi. Così, ad esempio, il primo mese si chiamava Secen’ da sec’ che significa tagliare, riferendosi all’operazione di taglio delle erbacce quando si preparava la semina. Il terzo mese si chiamava Berezozol indicando la bruciatura delle betulle inutili nel campo messo a riposo. Quello della mietitura era Serpen’ ossia riferito alla falce, in russo serp, e infine, quando arrivavano i primi segni della quiescenza autunnale e cadevano le foglie degli alberi, il mese relativo prendeva il nome romantico di Listopad ossia caduta delle foglie… Per la curiosità del lettore possiamo aggiungere che questi nomi, mentre in quasi tutta l’area slava furono sostituiti da derivati dal latino (Septembris lat. corrisponde al rus. Sentjabr’, ad esempio), in polacco (adattati però al ciclo solare) conservano ancora la loro dicitura slava!

 

Tutto quanto sopra detto, che noi abbiamo condensato in poche parole, non impedì allo smierd di continuare a celebrare la grande gioia quando rivedeva la natura rinascere al giorno dell’equinozio. Come sappiamo dal folclore e da qualche accenno nelle Cronache, i primi giorni dell’anno erano, e sono rimasti, quelli in cui si facevano i grandi progetti e si esprimevano i grandi sogni che ciascuno aveva incubato durante l’inverno e che ora sperava si avverassero. Questi giorni, fissati tradizionalmente nel numero di sette, erano detti Semik.

 

E’ logico quindi che, prima del Cristianesimo, ci fossero molte cerimonie destinate a volgere la volontà benevola degli dèi verso la propria persona e il proprio lavoro. Soprattutto si invocava la divinità affinché i campi dessero il meglio dei frutti e delle messi e, se c’erano da espiare eventuali colpe per peccati commessi nell’anno appena passato, tutti erano pronti a sacrificare agli dèi…

 

Conosciamo moltissimi di questi riti e celebrazioni “russi” di solito eseguiti intorno ai primi dell’anno, ma ne parleremo in un capitolo a parte.

 

Vediamo invece come si fissarono nella tradizione i riti del Capo dell’anno.

Se oggigiorno l’inizio del giorno, illogicamente dal punto di vista della persona che segue i ritmi della natura, è posto durante la notte (a mezzanotte!), nel passato ogni attività cominciava con l’alba che qui al nord appare quasi un’ora prima che nell’area mediterranea e di conseguenza dobbiamo immaginarci che non appena l’usignolo (solovei in russo, che vede il sole persino prima di noi) cominciava a cinguettare nell’aurora mattutina del primo giorno dell’anno, prima del solito gallo, ecco che un grande corteo si formava nel villaggio e solennemente si avviava nella parte più alta della poljana per assistere al grande spettacolo del levar del sole che illuminava il santuario comune. In capo al corteo c’era naturalmente il ciur con le offerte di tutta la comunità affinché questo sole allungasse il suo stare sulle teste degli uomini permettendo così la vita!

 

Quale dio veniva onorato?

Richiamandoci al Cantare della Schiera di Igor, l’epos nazionale russo del XIII sec.,  dove il supposto bardo compositore (il pevez Bojan) chiama i russi i nipoti di Dazhdbog, è proprio a questo dio che si faceva il grande ossequio. Nel mondo religioso slavo il sole è impersonato da più di un dio, ma l’etimo del nome di Dazhd-bog (o Dazh-bog) senza dubbio suggerisce che almeno in questa occasione veniva ricordato proprio lui: il dio che dà la vita, che dà la ricchezza!

 

Anche le Cronache ci confermano questo modo di vedere poiché riferiscono che a Kiev questo dio, al tempo del paganesimo, era venerato specialmente su una delle colline più alte intorno alla città (probabilmente l’odierno Monte Calvo ossia in russo Lysaja Gorà dove si sarebbe trovato il primo santuario di Dazhbog). Si aspettava dunque che il sole apparisse e finalmente si intonavano canti e suoni e si potevano fare le offerte e probabilmente anche un sacrificio cruento: sgozzare un bimbo appena nato!

Dazhbog, figlio di un altro dio a nome Svarog, riceveva le chiavi proprio dall’Usignolo affinché con queste potesse finalmente chiudere la “vecchia” Zimà (inverno) via dal mondo fino al successivo autunno ed aprire la porta alla ruota del Sole che avrebbe “agganciato” la luce e il calore per far loro attraversare il firmamento e far risorgere la vita.

 

Nella tradizione bielorussa si conserva il seguente mito su Dazhbog.

 

Prima che Dazhbog nascesse regnava sull’universo Sitivrat o Karaciùn, signore del mondo sotterraneo e quindi dei buio e delle tenebre. Sotto il suo comando c’era Ziuzia, il padrone del gelo o l’inverno e insieme si opponevano a Perun affinché il mondo degli uomini rimanesse oscuro e freddo. Sitivrat viene a sapere infatti che la moglie di Perun, Gromovinza, è incinta e sta per partorire Bozhic’ (ossia un altro nome “famigliare” di Dazhbog) al solstizio d’inverno. Sitivrat si trasforma allora in orso e si mette alla testa di un intero branco di lupi alla ricerca di Gromovinza affinché costei resti sottoterra e così non possa partorire alla data fissata. Purtroppo l’inseguimento di Gromovinza non ha successo perché Sitivrat e i suoi lupi non riescono a trovarla. Arriva così il solstizio e Dazhbog viene alla luce. L’orso Sitivrat a questo punto abbandona i lupi al loro destino e stanco della vana corsa va dormire nel suo letargo invernale: Si risveglierà in primavera…”

 

Vinta quindi la battaglia, finalmente l’anno nuovo può cominciare.

La natura si sveglia e da sotto la neve che ancora copre i campi cominciano a spuntare i primi fiori. Se nelle latitudini del Mediterraneo la primavera si sente con l’aumento della temperatura, qui nel nord, dove il panorama è dominato dal color bianco della neve, la primavera la si vede nei colori che cambiano poiché i colori sono figli della luce del giorno.

 

Ma siamo sicuri che l’equinozio di primavera è davvero arrivato? Oggi sappiamo già che ciò avviene senza ombra di dubbio perché abbiamo una conoscenza più scientifica del fenomeno astronomico, eppure, aspettiamo che arrivino le rondini prima di dire che la primavera è arrivata! Antichi resti pagani? In realtà però le rondini giungono qui un po’ oltre la primavera, non appena fiorisce una pianta particolare: il Chelidonium maius o Celidonia o Erba Porraia (in russo Cistotel)! E questo era ben noto allo smierd del nord russo il quale credeva per di più che il succo di questa pianta fosse usato dalle rondini proprio per nutrire i piccoli che avevano nel nido e tenerli in salute fino alla successiva migrazione d’autunno. La Celidonia era il segno della primavera e del ritorno dei colori. Siccome poi il sole era una forza divina, in qualche modo abitava in quella pianta e, per assicurarsi che gli dèi avessero mostrato della buona volontà verso di noi, era necessario fare attenzione all’apparire dei fiori di Celidonia e magari attendere finchè fiorisse. La Celidonia a questo scopo, benché si conoscessero le sue proprietà velenose per alcuni animali domestici e per l’uomo, era coltivata nel giardino di casa e, raccolta intorno a maggio, era persino usata per lavare i bimbi e liberarli, ad esempio, da alcune malattie della pelle come la scabbia!

 

Insomma il “Capodanno” non era una data così ben precisa stampata su un calendario e la sua celebrazione si poteva protrarre per diversi giorni.

 

Tutto questo oggi si è cristallizzato dalle tradizioni nei cosiddetti Svjatki che vanno dal Natale fino appunto al 31 dicembre ed è notevole che nel Novgorodese questo periodo si chiami ancora il periodo dei maghi (Kudjes) proprio perché ci si rivolgeva ai maghi e agli stregoni per sapere che cosa riservava il futuro.

Come mai? E’ semplice: Se ci sono sogni, desideri e progetti occorre fare di tutto affinché questi si avverino. E allora? Siamo nell’anno nuovo e perciò si ricorre proprio adesso alle forze divine della natura che governano tutti i nostri atti e che si svegliano anch’esse con la primavera.

 

Come fare? Semplice! Chi sa parlare con gli dèi: il mago, il sapiente, il veggente, l’antenato che vaga invisibile intorno a noi oppure il volhv ci può venir incontro…

Certo, dalle Cronache medievali sappiamo che chiunque avesse fama o esercitasse il mestiere di mago o astrologo era condannato dalla religione ufficiale, dal Cristianesimo, come Figlio del Demonio, ma nelle società pagane dell’Europa centro-orientale questi personaggi per molto tempo dopo l’evangelizzazione conservarono un ruolo importantissimo e non scomparvero nel nulla solo perché apparve la nuova “magia” cristiana! Non dimentichiamo che Giovanni Hus o Martin Lutero furono condannati da Roma proprio perché si sospettava che esercitassero queste arti!

 

Come si riconoscevano questi personaggi? Probabilmente nello stesso modo in cui si riconosceva uno sciamano altaico. Ecco come ce lo descrive M. Eliade:

 

Gli sciamani vengono riconosciuti attraverso 1. improvvisa vocazione o scelta 2. per passaggio di eredità oppure 3. per scelta personale e, più raramente, per una scelta fatta dal clan.”

           

Se ci riferiamo in modo particolare al volhv russo, troviamo moltissime analogie nelle sue funzioni con quelle degli sciamani del mondo mistico ugro-finno-altaico sebbene, di documentato, su quel sacerdote pagano ci sia pochissimo. Il volhv non è solo il custode e il celebrante dei riti divini, ma doveva avere anche una funzione importante dal punto di vista igienico. E’ lui a definire quali cibi sono puri e quali impuri, quali cibi servono a far vivere bene e quali invece possono inquinare il corpo e portarlo alla morte.

 

A parte ciò, comunque per quanto riguarda un’eventuale organizzazione “ecclesiastica” dei culti antico-russi e dei suoi sacerdoti vaghiamo nella nebbia e quindi ci asteniamo a questo punto dal parlarne oltre. Quanto poi a sapere dove si rifugiarono i maghi e le streghe durante la persecuzione del Cristianesimo ufficiale, non è difficile immaginarlo: Nella foresta naturalmente! E qui generarono con la loro strana presenza leggende e miti sui tanti esseri misteriosi che incontreremo più in là.

 

La cosa strana che notiamo invece è che i riti di richiesta di conoscere il futuro e se i nostri progetti si avvereranno sono “fatti” solitamente di la notte. Perché mai? Eppure la notte è la negazione dell’esistenza. La ragione si nasconde nel fatto che solo di notte vagano gli spiriti impuri e solo essi sono capaci di squarciare i veli del tempo dandoci le informazioni nei sogni! Se rimaniamo svegli ecco che li potremo vedere aggirarsi e potremo interrogarli direttamente…

 

I primi giorni dell’anno perciò erano riservati ai vecchi della famiglia che conoscevano tutte queste storie. Intorno ad essi ci si raccoglieva per ascoltare dalla loro lunga esperienza l’annuncio che ci sarà un buon raccolto ed altre amenità! Essi raccontano come, parlando con le forze della natura, avevano saputo che…

 

Nelle lunghe sere tutti i giovani pendevano dalle loro labbra! La società contadina era, ed è rimasta, una comunità del parlare e del raccontare e quindi le cose che gli anziani sapevano dire con il loro linguaggio cantilenato e rimato erano ascoltate con attenzione e divertimento, tanto più che i racconti si rifacevano alle grandi imprese passate degli antenati e le esaltavano e le infioravano con gran diletto degli ascoltatori. E’ proprio in questo ambiente nascono infatti le famose byline russe…

Torniamo però al nostro assunto. Le ragazze puberi nella notte prima dell’equinozio, si riunivano in un angolo dell’izbà in segreto con le proprie nonne ed eseguivano i gadanie ossia le pratiche per indovinare come quando e con chi si sarebbero sposate. Noi ne descriveremo molto sommariamente qualcuno.

 

1. Gadanie na vesc’ciah. Qui si cerca il futuro attraverso gli oggetti preziosi dei giovani che vogliono sapere.

 

2. Oklic’ka prohozhih i proezzhih. Questo rito è simile a quello della Santa Monaca in Puglia in cui si fanno delle semplici domande al primo che passa sotto la finestra.

 

3. Podsluscivanie. Qui si sta attenti, senza farsi vedere, a raccogliere le parole dei vicini che chiacchierano in casa propria e da queste dedurre il futuro.

 

4. Gadanie na kuricah. Questa si fa con un gallo ponendogli davanti vari tipi di cibi da becchettare e di qui si deduce il responso.

 

5. Gadanie u vorot. Questa è simile alla 2. poiché ci si pone appoggiati allo steccato e si chiede al primo passante.

 

6. Gadanie basc’makom. Questa si compie con la scarpa sinistra che una ragazza lascia cadere davanti alla porta di casa e dalla direzione che la punta indica ne trarrà l’auspicio.

 

7. Gadanie lucìnoju. Questa consiste nel correre con un ramo di betulla fresco al pozzo, bagnarlo con l’acqua e sempre di corsa tornare a casa e porlo nella pec’ka. Se il ramo brucia subito vuol dire lunga vita, se non brucia vuol dire morte e se brucia con crepitìo vuol dire malattia.

 

Invece del gadanie qualche ragazza, addirittura!, preparava il pranzo per il suo ancora sconosciuto promesso sposo in modo particolare… per forzare gli eventi! Innanzi tutto poneva in tavola (si usava uno sgabello che faceva da piccola tavola bassa!) pane e sale e un pane piatto per mangiarvi dentro la zuppa. Accanto a questo si poneva solo un cucchiaio di legno, ma non il coltello (la forchetta giunse storicamente molto più tardi!). Poco prima di mezzanotte la ragazza si sarebbe sedersi davanti alla tavola e avrebbe detto: “O promesso vieni da me a cena!” Non appena mezzanotte fosse suonata, ecco che il promesso si sarebbe fatto vivo!

 

Perché mai ci siamo fermati ripetutamente sul desiderio di matrimonio delle giovani donne? Evidentemente perché nel mondo contadino c’erano degli eventi che erano importantissimi e fra questi rientrava proprio l’uscita dalla famiglia avita della donna (in russo infatti lo sposarsi della donna si dice uscire dietro al marito, vyiti zamuzh). Ne parleremo più a lungo in un'altra parte del nostro lavoro perché in realtà, al contrario di quanto si dice da noi, il matrimonio era quasi una cerimonia funebre nell’antica Rus’…

 

Un rito invece ci interessa particolarmente, perché ha dei riscontri nel resto della Slavia (e persino nell’antica Scandinavia!) ai primi dell’anno nuovo, è la visita ai vicini e lo spargimento delle granaglie tradizionali mentre si invoca un raccolto migliore per l’anno che inizia. Si mandavano infatti in giro per le izbe i giovani i quali con panierini fatti di scorza di tiglio intrecciata (lukosc’ko) pieni di miglio, segale e avena bussavano cantando e suonando alle porte e poi lanciavano quei chicchi per aria nell’angolo “bello” dell’izbà augurando ogni bene (s’ciastie i zdorovie i horoscii urazhai). I ragazzi venivano accolti dalla padrona di casa con un’offerta di paste dolci. Oggi si offrono biscotti e cioccolatini, ma una volta erano sicuramente offerti dolcetti fatti con farina e miele, di cui però non sappiamo scegliere una ricetta giusta per attribuirla con sicurezza al X-XII sec.

 

In realtà in questo rito mascherato si nascondeva la venerazione dei propri antenati morti e nel seguito vedremo meglio come gli Slavi “convivevano” con essi. Ma, quale divinità presiedeva a questi riti dell’inizio dell’anno?

 

Nella mitologia slava si è conservato il nome di Avsen’ (probabilmente con etimo che significa il “celeste” perché portava il bel tempo, vjodro). Lo si immaginava come un uomo-dio a cavallo che attraversa un ponte che si è costruito da sé per “far entrare” finalmente tutte le feste di gioia che seguiranno durante l’anno che arriva. Con Avsen’ è legata tutta una serie di piatti tipici che elenchiamo:

 

· Bliný ossia frittelle

 

· Lepjòsc’ki ossia focacce molto schiacciate

 

· Piroghì ossia dolcetti

 

· Piedini di porco arrostiti

 

· Kàscia di varie granaglie

 

Come è logico non c’è nessun piatto fatto con roba fresca poiché stiamo appena uscendo dall’inverno! Lo strano però è che non compare neppure frutta secca o seccata che era invece un cibo molto comune durante la stagione brutta…

Abbiamo detto sopra che il Gallo è l’uccello che annuncia la luce, l’Usignolo la primavera e, se da noi è la rondine che annuncia la primavera, qui invece è l’Allodola!

 

L’Allodola (Alauda arvensis in russo zhavoronok) è un uccello migratorio e i maschi iniziano a cantare nel primo mattino dell’Equinozio per conquistarsi la propria femmina, ma anche per fissare il proprio territorio dove troverà posto il nido. Talvolta si hanno vere e proprie zuffe nell’aria fra maschi concorrenti. Il tempo per loro è limitatissimo qui al nord e devono vincere la loro battaglia per fare finalmente una bella cova. Tutto questo spettacolo ha sempre affascinato il contadino e i suoi ragazzi che guardavano questo uccello volteggiare sulle loro teste col suo canto dolce e a volte stridente, che lottava col tempo per poter migrare con i nuovi nati verso sud al primo accenno di freddo. Addirittura, quando l’Allodola accennava a voler tornare a sud voleva dire che anche il lino era cresciuto abbastanza e si sperava che volasse proprio dove le donne avevano seminato questa preziosa pianta affinché essa crescesse alta e ben fatta.

 

Un dolcetto tipico in onore di questo uccello sacro erano dei biscotti (a forma di allodola, naturalmente) con un buco in mezzo per poterli infilare in un bastoncino che i ragazzi si portavano in giro nel giorno di festa (festa poi assimilata con i 40 Martiri Cristiani del 22 marzo) e mangiucchiavano cantando:

 

Lodolette qui volate,

e il gelo dell’inverno  allontanate,

calore e primavera invece portate.

L’inverno ci ha stufato

e il pane è ormai tutto mangiato!

 

E mostravano i biscotti agli uccelli volteggianti per far vedere che quello era tutto il cibo ormai rimasto. Non sappiamo come queste “allodole di pane” fossero fatte, ma dovevano essere simili ai Bretzel del sud tedesco!

 

Tutto dunque era fatto in onore dell’astro solare che era tornato fra gli uomini.

Abbiamo accennato al fatto che gli Slavi (ed in generale anche i popoli a loro vicini) vedevano nel Sole vari dèi proprio perché questo astro a quelle latitudini si mostra ed influisce sulla natura in modi diversi a seconda del periodo dell’anno. A volte ha più calore, a volte più brillantezza, a volte dura nel cielo più a lungo. Perciò ad ogni suo aspetto diverso doveva corrispondere una forza divina diversa se non proprio un dio multiforme.

 

Bastava dunque guardar le piante per riconoscere quale sole brillava nel cielo.

Nel panorama botanico dello smierd alla fine dell’inverno ci sono varie piante per questo. A quanto ci consta è proprio il Vimine (Salix viminalis sp. in russo Verba) che manda fuori i primi boccioli all’equinozio e addirittura dà il nome alla Settimana prima di Pasqua che, a sua volta, cade subito dopo il primo plenilunio primaverile. Così quella che nel sud si chiama Settimana delle Palme qui nell’antica Rus’, con l’introduzione del Cristianesimo, si chiamò Settimana del Vimine (Vèrbnaja Nedèlja), visto che qui palme o olivi non ne crescono!

 

Nei climi più caldi del sud invece era la Primula (Primula sp. in russo pervozvèt o baràncik) che annuncia la primavera, mentre nel nord questa pianta fiorisce soltanto a maggio Tuttavia va detto che la primula è un fiore che porta fortuna specialmente perché può allungare la vita, visto che questa pianta riappare dalla stessa radice più volte e in più anni.

 

C’era un uso curioso nella Rus’ antica a questo riguardo: strappare alcune primule e calpestarle con forza sotto i piedi invocando più anni di vita per sé! E’ rimasto un proverbio russo: “E’ inutile che pesti le primule quest’anno!” (Emù rjasta ne toptat’!) per augurare a qualcuno che si troverà presto in tali condizioni di salute che non ce la farà a vivere neppure fino alla fine dell’anno! Per la tavola invece le grosse foglie della primula si possono mangiare in insalata e sono utili anche da conservare secche ravvivandole nell’acqua calda come verdura cotta con molte vitamine e un buon sapore!

 

In questo periodo dell’anno lo smierd (e il resto della famiglia) esegue molti lavori sia in casa che nel campo. Ad esempio a primavera le donne svuotano le cassepanche dai vestiti che sono stati riposti tutto l’inverno e “li rivoltano” nel primo freddo sole distendendoli sul prato lucido di rugiada oppure sulla neve secca perché, si dice, le tarme “che hanno paura del sole” (mol’ boitsja solnysc’ka!) così non si sviluppano e non danneggiano i tessuti.

 

Dalla stalla poi si tirano fuori i cavallini e si portano in giro e si crede che questi animali, essendo stati rinchiusi per tanto tempo, non sappiamo più dove andare e il contadino li vede incerti prima di liberarsi in un allegro galoppo. Lo smierd allora griderà: “Andate diritto! O forse avete dimenticato dov’è la destra e la sinistra?” e li batte con un ramo incitandoli a correre. Quando saranno sgranchiti e pronti, dopo aver mangiato dell’erba marzolina fresca e croccante, potranno aiutare all’aratura per la prossima semina. Tutti infatti sono già accorsi dalle izbe nel granaio comune (ovin’) per scegliere i semi di avena, di lino, di frumento e di piselli che sono le prime seminagioni da fare. Anche nell’ovin’ c’è da propiziarsi lo spirito che ha custodito accuratamente per tutto l’inverno le granaglie del villaggio, l’Ovinnik

 

Fra qualche giorno poi ci sarà la prima luna e anche l’orto dell’izbà va seminato…

 

Qualcuno sta già pensando di far uscire le caprette e i porci e ha già nelle mani lo zufolo che gli servirà per dare i comandi a questi animali. Dalle ricerche di V. Belov sembra addirittura che con lo zufolo si traggano ancor oggi suoni diversi per comandi diversi che sono capiti perfettamente dalle bestie!! Inoltre non dobbiamo immaginare degli individui della taglia di quelli di oggi che ormai hanno subito selezioni di secoli raggiungendo moli corporee mostruose. Gli animali qui sono generalmente piccoli e ossuti, come è il caso delle capre, che comunque sono utili all’economia dello smierd, non essendo esclusivamente destinate al macello. Qualche smierd addirittura deve curare intere piccole mandrie non proprie, ma che, come abbiamo detto, devono essere rigovernate per conto del bojaro o del knjaz!

 

Non ci risulta che nell’antica Rus’ ci fosse una sviluppata industria del latte e del formaggio come questi prodotti si vendono oggi, sebbene ci fosse gran consumo di burro (maslo) salato per non farlo irrancidire e di latte acido (smetàna). In realtà la convenienza per lo smierd nell’avere un paio di vacche non era tanto per ricavarne prodotti dal latte, quanto invece il fatto che questo docile animale poteva essere facilmente messo a pascolare entro uno spazio recintato e in questo modo produrre delle deiezioni che avrebbero concimato il terreno! Insomma era una macchina per produrre concime che essendo più liquido di quello delle capre poteva essere meglio diluito e distribuito!

 

Conosciamo anche il nume tutelare del bestiame: il dio con la faccia di bue e con corte corna di nome Veles. Nel secolo scorso molto si è scritto su questo dio del pantheon vladimiriano e addirittura si è “scoperta” l’esistenza di un libro azzurro di Veles dai contenuti magici e arcani. Purtroppo il libro si è rivelato una falsificazione e non risulta dunque così antico come era stato millantato dai supposti scopritori e ristampatori del manoscritto. Detto ciò, aggiungeremo invece che Veles, con l’avvento del Cristianesimo, fu assimilato a san Biagio per assonanza (in greco Biagio suona Vlasios ed è passato in russo come Vlasii) e così la venerazione per questa divinità si perpetuò sotto veste cristiana fino ad oggi.

 

Veles doveva essere un dio abbastanza popolare poiché negli scavi più volte si trova qualche simulacro di legno riconoscibile come suo. Nelle Cronache Russe e nelle byline è talvolta contrapposto come dio del sottosuolo a Perun e Oleg di Kiev giura in suo nome nel trattato commerciale con Costantinopoli del 907. Evidentemente fu proprio Vladimiro che, molti anni dopo e dopo aver conquistato la sua posizione a Kiev, elevò Perun che lo aveva aiutato a vincere a capo del pantheon slavo, relegando Veles in una posizione secondaria. A conferma di ciò ne fece erigere un simulacro proprio nel Podol di Kiev (la città bassa, cioè!). Questa lotta fra Perun (Vladimiro) e Veles si rispecchia nella tradizione che vede Veles esser battuto da Perun e, trasformato in serpente. Costretto a rifugiarsi sottoterra, conserva però i suoi poteri di concorrere anche lui alla fertilità della terra.

Aldo C. Marturano © 2006 dal libro VITA DI SMIERD, Cibo e Magia del Medioevo Russo



 

 

 

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