[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 210 / GIUGNO 2025 (CCXLI)


ambiente

L’ananas e la sua simbologia
Origini, usi, tradizioni e interpretazioni simboliche

di Giulia Cesarini Argiroffo

 

L’ananas o ananasso (Ananas sativus) è una pianta arbustacea (bassa) tropicale delle Bromeliacee e con lo stesso nome s’indica anche il suo frutto. Ne esistono molte varietà con le proprie peculiarità.

In generale questa pianta ha foglie a rosetta lunghe, strette, aculeate ai bordi, con fiori riuniti in spighe stipate intorno all’asse principale che terminano con un ciuffo di foglie e in mezzo a esse si forma il frutto a sincarpio. Di quest’ultimo ogni pianta ne produce uno solo alla volta, circa ogni 18 mesi ed è simile a una grossa pigna sormontato da un ciuffo di foglie (corona).

L’esterno è rivestito da una scorza marrone formata da placchette fuse fra loro, l’interno ha una polpa gialla. Una volta staccato dalla pianta solo la buccia del frutto cambia colore, ma non la polpa e il suo contenuto zuccherino. Il frutto è profumato, dolce-acidulo, ricco di vitamine ed’altre proprietà benefiche. Si mangia al naturale, sciroppato, come ingrediente di piatti dolci e agrodolci. Il succo, oltre a essere consumato, si usa in alcuni settori come quello medico e farmacologico. Questa pianta si coltiva principalmente nei Paesi tropicali e subtropicali del mondo. Dalle foglie si ricava una fibra che si adopera per fabbricare corde e tessuti.

Come fa presente Dario Bressanini uno degli OGM creati, che per ora ha interesse commerciale limitato, è quello basato sulla modifica della composizione nutrizionale. Ad esempio l’ananas Rosé del Costa Rica dalla polpa rosa della multinazionale Del Monte, autorizzato per la coltivazione nel 2013 negli USA e poi in alcuni altri Paesi.

Attilio Aleotti afferma che furono i nativi del Brasile meridionale e del Paraguay a diffondere l’ananasso in tutto il Sud America. In seguito s’importò anche nei Caraibi e nell’America Centrale, dove lo coltivavano già i Maya e gli Aztechi.

Come notava Francesco Maggisano, la scoperta delle Americhe da parte dei coloni europei aprì nuovi orizzonti anche alimentari infatti sulle tavole rinascimentali più raffinate fecero la loro apparizione frutti come l’ananas.

In particolare, come fa presente Jacques Attali, nel 1493 Cristoforo Colombo scoprì l’ananasso nell’Isola Sottovento in Guadalupa, nel corso del suo secondo viaggio nel Nuovo Mondo e lo chiamò “Piña de Indias”. Lo riportò con sé in Spagna mostrandolo ai reali spagnoli e riscosse subito successo. Dal momento che era d’uso importarlo inizialmente il suo costo era proibitivo e per cui si serviva in rarissime occasioni come nei pranzi di gala delle famiglie reali. Fu la prima bromeliacea introdotta dalle Americhe.
Poi in Europa si cominciò a coltivarlo in serra, in particolare nei Paesi Bassi e in Inghilterra.

Gli spagnoli lo introdussero nelle Filippine, nello Zimbabwe e a Guam. Non si sa precisamente come questa pianta sia passata dall’America tropicale alle Hawaii che ha un clima favorevole per la sua coltivazione. Si dice che lì il frutto s’introdusse per la prima volta quando una nave spagnola lo portò nel 1500, anche se la prima coltivazione commerciale è datata 1886.

Poco dopo la scoperta dell’America i naviganti portoghesi immisero l’ananas in altre parti del mondo, forse come alimento complementare per gli equipaggi delle navi. Lo importarono dal Brasile e poi lo introdussero in India nel 1550.

Non è da escludere che in alcuni casi la pianta si sia propagata spontaneamente tramite i resti gettati fuori bordo dalle navi per poi radicarsi sulle coste africane e del Madagascar. Anche s’è improbabile poiché dovunque la pianta proviene da coltivazioni. Certo è che prima della fine del XVI secolo l’ananas si coltivava già in tutte le regioni tropicali del mondo.

Come sopracitato l’ananasso, per la somiglianza con il frutto dei pini, specialmente quelli marittimi, lo si chiamò piña, termine ripreso dai primi cronisti ed è così che lo si conosce tra gli ispanofoni. Gli anglofoni ripresero la vulgata spagnola adottando pineapple. Il vocabolo ananas, invece, che significa ‘frutto grande’, è di origine tupì-guaranìe si usa nella regione del Rio de la Plata. Attraverso il portoghesesi diffuse in Francia, Germania e Italia. In quechua è achupalla e in Brasile si chiama abacaxi.

Come per altri prodotti, l’introduzione del frutto fuori dalla sua area originaria ha consentito d’escogitare usi e funzioni precedentemente inedite. Ad esempio, nelle Filippine si scoprì che le fibre ottenute dalle foglie di ananas si potevano filare offrendo così un tessuto resistentissimo chiamato barong. Attualmente i tessitori di tale fibra stanno scomparendo dal Paese rendendo sempre più apprezzato e caro il delicato panno indispensabile nelle confezioni degliabiti tradizionali che oggigiorno si indossano solo in eventi formali.

Molte fonti europee citano l’ananas dai primi anni del Cinquecento ed è interessantecapire come lo si considerasse all’epoca. Ecco alcuni casi.

Ad esempio Gerolamo Benzoni (1519-1580), un esploratore italiano, lo descrisse come toccasana salvifico e scrisse: “La pigna nasce in certi arboscelli, quando sono mature paion gialle, hanno buon odore e miglior sapore però sono molto colorite e a me è intraveduto come a’ molti altri, essere ammalato e non poter mangiare cosa alcuna senza questo frutto e, al mio parere, credo che sia uno degli appetitosi frutti che sia nel mondo. Levata la scorza tutto il resto è carne, generalmente sono di sapore dolce, con un poco di agro”.

Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés (1478-1557) – scrittore, botanico, esploratore e che Carlo V insignì del titolo di storico ufficiale del Nuovo Mondo – riportò attendibili notizie di prima mano e i suoi testi godettero fin dall’inizio di buona stampa. Ad esempio nella sua La historia general y natural de las Indias compì un ottimo lavoro di osservazione etnografica e antropologica dedicando particolare impegno all’indagine su flora e fauna mentre prestò poca attenzione ai minerali, tranne all’oro.

Bartolomé de las Casas lo accusò di crudeltà verso i nativi nel periodo nel quale ricoprì l’incarico di governatore di Hispaniola. Comunque scrisse anche sull’ananas e metaforicamente lo definì come “La donna più bella del mondo delle piante”. Inoltre lo descrisse come segue:

«Vi sono frutti che si chiamano pigne, le quali nascono d’una pianta come cardi ovvero aloe, con molte foglie acute, più sottili di quelle dell’aloe, maggiori e spinose; in mezzo al cespuglio nasce un rampollo tanto alto quanto la metà dell’altezza di un uomo, poco più o manco, e grosso come due dita, e in cima di quello nasce una pigna grossa poco manco della testa di un fanciullo alcune, ma la maggior parte minori, e piena di squame di sopra, ma più alta che l’altra, come son quelle de’ pinoli; ma non si dividono né aprono, ma stanno intere queste squame sopra una scorza della grossezza di quella del melone, e quando sono gialle, dopo a un anno che sì sono seminate, sono mature e da mangiare, e alcune sono mature avanti. E nel troncone di quelle alcune volte nascono a queste pigne uno o due rampolli, e continuamente uno nell’estremità della detta pigna, il quale rampollo, subito che si mette sotto terra, e vegeta, e in spazio di un altro anno nasce di quel rampollo un’altra pigna, come è detto; e quel cardo nel qual la pigna nasce, dappoi ch’è stata colta, non è d’alcuna utilità né dà più frutto. Gl’Indiani e li cristiani pongono queste pigne, quando le piantano, a filo come se fossero viti; e dà odore questo frutto più che le cotogne, e una o due di queste rendono grato odore per tutta la casa dove sono poste. Ed è tanto soave frutto che credo che sia un de’ migliori del mondo, ed è di delicato sapore, e paiono al gusto cotogne, e sono più carnose che non sono le pesche, e hanno alcuni filetti come il cardo, ma più sottili, e molto cattivi per i denti quando si continua a mangiarne; e sono molto sugosi, e in alcuna parte gl’Indiani fanno vino d’essi, quale è molto buono. Sono tanto sani che sì danno agli ammalati perché eccitano l’appetito a quei che l’hanno perso».

Un viaggiatore inglese della fine del XVI secolo lo definì come: “Cibo degli Dei dovrebbe essere raccolto solo dalle mani di una Venere”.

La lettura di un frammento di Giuseppe Baretti (1719-1789), citato da Camporesi ne Il Brodo Indiano, diceva: «Di tutte le piante esotiche non conosco e non amo altro che l’ananasso frutto del Tropico, che ho sentito dire sì vada introducendo in molte parte d’Italia».

In particolare, chi fornì precisi ragguagli sulla coltivazione dell’ananas nella penisola italiana fu Francesco Leonardi (1730-1816), cuoco di rinomanza europea al servizio di Caterina di Russia e autore dell’Apicio Moderno. Il Leonardi uscì dalle generiche illazioni di Baretti, non si limitò a indicare dove e in che modo si stesse realizzando la coltivazione, ovvero in serre predisposte all’uopo in località dal clima mite, ma presentò anche un succinto ricettario.

In particolare scrisse: «In Italia specialmente ve ne sono delle piantagioni eccellenti entro le stufe. In Roma le abbiamo nel Giardino al Quirinale, nell’Orto Vaticano Indico, e nella preziosa Villa Pinciana; onde si può dire che questo piacevolissimo frutto non sia tanto raro (…). Si condiscono con vino di Spagna e zucchero, ovvero con acquavite e molto zucchero, oppure con rosolio e zucchero (…). Si mangiano ancor cotti con vino bianco e poscia conditi con zucchero a guisa di cotogni (…). Con gli ananassi si preparano due composte, una conserva, delle mezze paste, delle clarette, una gelatina e un sorbetto al gelato».

Una leggenda di dubbia veridicità, narra quanto segue. I primi coloni europei che tornavano in patria dopo le loro lunghe spedizioni carichi dei prodotti dell’Americhe eranosoliti infilzare degli ananas sullo stipite delle porte delle loro case. Questo per indicare il loro ritorno e segno che esso era andato bene. Inoltre era anche un invito ai visitatori, come parenti e amici, a entrare in casa loro per condividere le loro storie avventurose e consumare insieme cibi trafugati dal Nuovo Mondo.

Così si diffuse gradualmente, a partire dalle colonie inglesi del Nord America, l’uso di rappresentare come elemento architettonico un ananas negli ingressi edin altre zone delle caseo porlo come centri frutta nelle tavole nelle occasioni di festa. Tale tradizione portò anche attività commerciali, locande e alberghi a utilizzare l’ananasso come simbolo di benvenuto e ospitalità per i loro servizi.

Si è rilevata la peculiarità della scorza del frutto ch’è organizzato in due eliche a incastro, otto in una direzione e tredici nell’altra e ciascuna di esse rappresenta un numero di Fibonacci.

Nonostante l’approvazione entusiastica che riceveva da ogni cronista, estimatore e gastronomo questo frutto non occupò mai un posto di rilievo nella cucina italiana. Giunse all’ingrosso in Italia in lattina, sull’onda lunga del Piano Marshall, nei tempi in cui la produzione industriale proveniva dalla monocoltura hawaiana, gestita da multinazionali statunitensi.

In generale oggigiorno l’ananas simboleggia ospitalità, Accoglienza, benvenuto, espansività e l’estate.



Riferimenti bibliografici:

Aleotti, Attilio Angelo, Le Caravelle dell’abbondanza, Robin Edizioni, Torino 2022.
Attali, Jacques, Cibo. Una storia globale dalle origini al futuro, Ponte delle Grazie Editore, Milano 2020.
Bressanini, Dario, OGM tra leggende e realtà. Alla scoperta delle modifiche genetiche del cibo che mangiamo, Zanichelli Editore, Bologna 2009.
Fernández-Armesto, Felipe, Storia del cibo, Mondadori Editore, Milano-Torino 2012.
Maggisano, Francesco, Storia dell’alimentazione, STREETLIB Editore, Milano 2021.
Went, Fritzs W., e dai redattori di LIFE, Le Piante, Mondadori Editore, Milano 1965.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]