L’ananas e la sua simbologia
Origini, usi, tradizioni e
interpretazioni simboliche
di Giulia Cesarini Argiroffo
L’ananas o ananasso (Ananas sativus)
è una pianta arbustacea (bassa)
tropicale delle Bromeliacee e con lo
stesso nome s’indica anche il suo
frutto. Ne esistono molte varietà
con le proprie peculiarità.
In generale questa pianta ha foglie
a rosetta lunghe, strette, aculeate
ai bordi, con fiori riuniti in
spighe stipate intorno all’asse
principale che terminano con un
ciuffo di foglie e in mezzo a esse
si forma il frutto a sincarpio. Di
quest’ultimo ogni pianta ne produce
uno solo alla volta, circa ogni 18
mesi ed è simile a una grossa pigna
sormontato da un ciuffo di foglie
(corona).
L’esterno è rivestito da una scorza
marrone formata da placchette fuse
fra loro, l’interno ha una polpa
gialla. Una volta staccato dalla
pianta solo la buccia del frutto
cambia colore, ma non la polpa e il
suo contenuto zuccherino. Il frutto
è profumato, dolce-acidulo, ricco di
vitamine ed’altre proprietà
benefiche. Si mangia al naturale,
sciroppato, come ingrediente di
piatti dolci e agrodolci. Il succo,
oltre a essere consumato, si usa in
alcuni settori come quello medico e
farmacologico. Questa pianta si
coltiva principalmente nei Paesi
tropicali e subtropicali del mondo.
Dalle foglie si ricava una fibra che
si adopera per fabbricare corde e
tessuti.
Come fa presente Dario Bressanini
uno degli OGM creati, che per ora ha
interesse commerciale limitato, è
quello basato sulla modifica della
composizione nutrizionale. Ad
esempio l’ananas Rosé del Costa Rica
dalla polpa rosa della
multinazionale Del Monte,
autorizzato per la coltivazione nel
2013 negli USA e poi in alcuni altri
Paesi.
Attilio Aleotti afferma che furono i
nativi del Brasile meridionale e del
Paraguay a diffondere l’ananasso in
tutto il Sud America. In seguito
s’importò anche nei Caraibi e
nell’America Centrale, dove lo
coltivavano già i Maya e gli
Aztechi.
Come notava Francesco Maggisano, la
scoperta delle Americhe da parte dei
coloni europei aprì nuovi orizzonti
anche alimentari infatti sulle
tavole rinascimentali più raffinate
fecero la loro apparizione frutti
come l’ananas.
In particolare, come fa presente
Jacques Attali, nel 1493 Cristoforo
Colombo scoprì l’ananasso nell’Isola
Sottovento in Guadalupa, nel corso
del suo secondo viaggio nel Nuovo
Mondo e lo chiamò “Piña de Indias”.
Lo riportò con sé in Spagna
mostrandolo ai reali spagnoli e
riscosse subito successo. Dal
momento che era d’uso importarlo
inizialmente il suo costo era
proibitivo e per cui si serviva in
rarissime occasioni come nei pranzi
di gala delle famiglie reali. Fu la
prima bromeliacea introdotta dalle
Americhe.
Poi in Europa si cominciò a
coltivarlo in serra, in particolare
nei Paesi Bassi e in Inghilterra.
Gli spagnoli lo introdussero nelle
Filippine, nello Zimbabwe e a Guam.
Non si sa precisamente come questa
pianta sia passata dall’America
tropicale alle Hawaii che ha un
clima favorevole per la sua
coltivazione. Si dice che lì il
frutto s’introdusse per la prima
volta quando una nave spagnola lo
portò nel 1500, anche se la prima
coltivazione commerciale è datata
1886.
Poco dopo la scoperta dell’America i
naviganti portoghesi immisero
l’ananas in altre parti del mondo,
forse come alimento complementare
per gli equipaggi delle navi. Lo
importarono dal Brasile e poi lo
introdussero in India nel 1550.
Non è da escludere che in alcuni
casi la pianta si sia propagata
spontaneamente tramite i resti
gettati fuori bordo dalle navi per
poi radicarsi sulle coste africane e
del Madagascar. Anche s’è
improbabile poiché dovunque la
pianta proviene da coltivazioni.
Certo è che prima della fine del XVI
secolo l’ananas si coltivava già in
tutte le regioni tropicali del
mondo.
Come sopracitato l’ananasso, per la
somiglianza con il frutto dei pini,
specialmente quelli marittimi, lo si
chiamò piña, termine ripreso dai
primi cronisti ed è così che lo si
conosce tra gli ispanofoni. Gli
anglofoni ripresero la vulgata
spagnola adottando pineapple. Il
vocabolo ananas, invece, che
significa ‘frutto grande’, è di
origine tupì-guaranìe si usa nella
regione del Rio de la Plata.
Attraverso il portoghesesi diffuse
in Francia, Germania e Italia. In
quechua è achupalla e in Brasile si
chiama abacaxi.
Come per altri prodotti,
l’introduzione del frutto fuori
dalla sua area originaria ha
consentito d’escogitare usi e
funzioni precedentemente inedite. Ad
esempio, nelle Filippine si scoprì
che le fibre ottenute dalle foglie
di ananas si potevano filare
offrendo così un tessuto
resistentissimo chiamato barong.
Attualmente i tessitori di tale
fibra stanno scomparendo dal Paese
rendendo sempre più apprezzato e
caro il delicato panno
indispensabile nelle confezioni
degliabiti tradizionali che
oggigiorno si indossano solo in
eventi formali.
Molte fonti europee citano l’ananas
dai primi anni del Cinquecento ed è
interessantecapire come lo si
considerasse all’epoca. Ecco alcuni
casi.
Ad esempio Gerolamo Benzoni
(1519-1580), un esploratore
italiano, lo descrisse come
toccasana salvifico e scrisse: “La
pigna nasce in certi arboscelli,
quando sono mature paion gialle,
hanno buon odore e miglior sapore
però sono molto colorite e a me è
intraveduto come a’ molti altri,
essere ammalato e non poter mangiare
cosa alcuna senza questo frutto e,
al mio parere, credo che sia uno
degli appetitosi frutti che sia nel
mondo. Levata la scorza tutto il
resto è carne, generalmente sono di
sapore dolce, con un poco di agro”.
Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés
(1478-1557) – scrittore, botanico,
esploratore e che Carlo V insignì
del titolo di storico ufficiale del
Nuovo Mondo – riportò attendibili
notizie di prima mano e i suoi testi
godettero fin dall’inizio di buona
stampa. Ad esempio nella sua La
historia general y natural de las
Indias compì un ottimo lavoro di
osservazione etnografica e
antropologica dedicando particolare
impegno all’indagine su flora e
fauna mentre prestò poca attenzione
ai minerali, tranne all’oro.
Bartolomé de las Casas lo accusò di
crudeltà verso i nativi nel periodo
nel quale ricoprì l’incarico di
governatore di Hispaniola. Comunque
scrisse anche sull’ananas e
metaforicamente lo definì come “La
donna più bella del mondo delle
piante”. Inoltre lo descrisse come
segue:
«Vi sono frutti che si chiamano
pigne, le quali nascono d’una pianta
come cardi ovvero aloe, con molte
foglie acute, più sottili di quelle
dell’aloe, maggiori e spinose; in
mezzo al cespuglio nasce un rampollo
tanto alto quanto la metà
dell’altezza di un uomo, poco più o
manco, e grosso come due dita, e in
cima di quello nasce una pigna
grossa poco manco della testa di un
fanciullo alcune, ma la maggior
parte minori, e piena di squame di
sopra, ma più alta che l’altra, come
son quelle de’ pinoli; ma non si
dividono né aprono, ma stanno intere
queste squame sopra una scorza della
grossezza di quella del melone, e
quando sono gialle, dopo a un anno
che sì sono seminate, sono mature e
da mangiare, e alcune sono mature
avanti. E nel troncone di quelle
alcune volte nascono a queste pigne
uno o due rampolli, e continuamente
uno nell’estremità della detta
pigna, il quale rampollo, subito che
si mette sotto terra, e vegeta, e in
spazio di un altro anno nasce di
quel rampollo un’altra pigna, come è
detto; e quel cardo nel qual la
pigna nasce, dappoi ch’è stata
colta, non è d’alcuna utilità né dà
più frutto. Gl’Indiani e li
cristiani pongono queste pigne,
quando le piantano, a filo come se
fossero viti; e dà odore questo
frutto più che le cotogne, e una o
due di queste rendono grato odore
per tutta la casa dove sono poste.
Ed è tanto soave frutto che credo
che sia un de’ migliori del mondo,
ed è di delicato sapore, e paiono al
gusto cotogne, e sono più carnose
che non sono le pesche, e hanno
alcuni filetti come il cardo, ma più
sottili, e molto cattivi per i denti
quando si continua a mangiarne; e
sono molto sugosi, e in alcuna parte
gl’Indiani fanno vino d’essi, quale
è molto buono. Sono tanto sani che
sì danno agli ammalati perché
eccitano l’appetito a quei che
l’hanno perso».
Un viaggiatore inglese della fine
del XVI secolo lo definì come: “Cibo
degli Dei dovrebbe essere raccolto
solo dalle mani di una Venere”.
La lettura di un frammento di
Giuseppe Baretti (1719-1789), citato
da Camporesi ne Il Brodo Indiano,
diceva: «Di tutte le piante esotiche
non conosco e non amo altro che
l’ananasso frutto del Tropico, che
ho sentito dire sì vada introducendo
in molte parte d’Italia».
In particolare, chi fornì precisi
ragguagli sulla coltivazione
dell’ananas nella penisola italiana
fu Francesco Leonardi (1730-1816),
cuoco di rinomanza europea al
servizio di Caterina di Russia e
autore dell’Apicio Moderno. Il
Leonardi uscì dalle generiche
illazioni di Baretti, non si limitò
a indicare dove e in che modo si
stesse realizzando la coltivazione,
ovvero in serre predisposte all’uopo
in località dal clima mite, ma
presentò anche un succinto
ricettario.
In particolare scrisse: «In Italia
specialmente ve ne sono delle
piantagioni eccellenti entro le
stufe. In Roma le abbiamo nel
Giardino al Quirinale, nell’Orto
Vaticano Indico, e nella preziosa
Villa Pinciana; onde si può dire che
questo piacevolissimo frutto non sia
tanto raro (…). Si condiscono con
vino di Spagna e zucchero, ovvero
con acquavite e molto zucchero,
oppure con rosolio e zucchero (…).
Si mangiano ancor cotti con vino
bianco e poscia conditi con zucchero
a guisa di cotogni (…). Con gli
ananassi si preparano due composte,
una conserva, delle mezze paste,
delle clarette, una gelatina e un
sorbetto al gelato».
Una leggenda di dubbia veridicità,
narra quanto segue. I primi coloni
europei che tornavano in patria dopo
le loro lunghe spedizioni carichi
dei prodotti dell’Americhe
eranosoliti infilzare degli ananas
sullo stipite delle porte delle loro
case. Questo per indicare il loro
ritorno e segno che esso era andato
bene. Inoltre era anche un invito ai
visitatori, come parenti e amici, a
entrare in casa loro per condividere
le loro storie avventurose e
consumare insieme cibi trafugati dal
Nuovo Mondo.
Così si diffuse gradualmente, a
partire dalle colonie inglesi del
Nord America, l’uso di rappresentare
come elemento architettonico un
ananas negli ingressi edin altre
zone delle caseo porlo come centri
frutta nelle tavole nelle occasioni
di festa. Tale tradizione portò
anche attività commerciali, locande
e alberghi a utilizzare l’ananasso
come simbolo di benvenuto e
ospitalità per i loro servizi.
Si è rilevata la peculiarità della
scorza del frutto ch’è organizzato
in due eliche a incastro, otto in
una direzione e tredici nell’altra e
ciascuna di esse rappresenta un
numero di Fibonacci.
Nonostante l’approvazione
entusiastica che riceveva da ogni
cronista, estimatore e gastronomo
questo frutto non occupò mai un
posto di rilievo nella cucina
italiana. Giunse all’ingrosso in
Italia in lattina, sull’onda lunga
del Piano Marshall, nei tempi in cui
la produzione industriale proveniva
dalla monocoltura hawaiana, gestita
da multinazionali statunitensi.
In generale oggigiorno l’ananas
simboleggia ospitalità, Accoglienza,
benvenuto, espansività e l’estate.
Riferimenti bibliografici:
Aleotti,
Attilio Angelo, Le Caravelle
dell’abbondanza, Robin Edizioni,
Torino 2022.
Attali, Jacques, Cibo. Una storia
globale dalle origini al futuro,
Ponte delle Grazie Editore, Milano
2020.
Bressanini, Dario, OGM tra leggende
e realtà. Alla scoperta delle
modifiche genetiche del cibo che
mangiamo, Zanichelli Editore,
Bologna 2009.
Fernández-Armesto, Felipe, Storia
del cibo, Mondadori Editore,
Milano-Torino 2012.
Maggisano, Francesco, Storia
dell’alimentazione, STREETLIB
Editore, Milano 2021.
Went, Fritzs W., e dai redattori di
LIFE, Le Piante, Mondadori Editore,
Milano 1965.