.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]

RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

storia & sport


N. 12 - Dicembre 2008 (XLIII)

La Coppa delle cento ghinee
Storia del più antico trofeo dello sport: la Coppa America

di Simone Valtieri

 

Era il 1948, quando il marchese di Anglesey acquistò dall’orafo Robert Gerrard una coppa in argento, pagandola cento ghinee. Pochi anni più tardi il trofeo prenderà, con poca fantasia, il nome di “Coppa delle cento ghinee” e verrà consegnata ai vincitori di una regata velica attorno all’isola di Wight. La sua storia inizia il 22 agosto 1851 in una competizione connessa alla Great Exhibition, la prima Esposizione Mondiale, tenutasi al Crystal Palace di Londra. Le intenzioni del principe Alberto, a capo degli organizzatori, sono chiare: celebrare la supremazia dell’impero britannico nel mondo, servendosi dello strumento di maggior prestigio a propria disposizione, ovvero la flotta navale della Regina. Alla regata, oltre a quattordici imbarcazioni inglesi del Royal Yacht Squadron, prende parte anche John Cox Stevens, commodoro e fondatore del NYYC (New York Yacht Club), alla guida di una goletta (una particolare imbarcazione con alberi inclinati verso poppa) chiamata “America”. La sua agile imbarcazione transiterà per prima sul traguardo, posto a Cowes, coprendo in poco più di dieci ore e mezzo le 53 miglia nautiche del periplo isolano. A 18 minuti di distanza arriva il cutter “Aurora”, penalizzato dalla rotta più esterna percorsa all’altezza del battello-faro di Mab. Qui “America” guadagnerà la vittoria passando all’interno dello stesso, dove i fondali sono più bassi, e accorciando di un paio di miglia. Il successivo ricorso dell’imbarcazione inglese per questo guadagno viene respinto dal Comitato di Regata e il trofeo prende la strada dello yacht club d’oltreoceano.

La coppa assume così il nome di America’s Cup e arriva al NYYC sei anni più tardi, l’8 luglio 1857, accompagnata da un celebre atto di donazione, il Deed of Gift, a cui è acclusa una particolare clausola: il circolo detentore del trofeo ha l’obbligo di rimettere in palio la coppa in un’amichevole competizione velica tra nazioni a seguito di una sfida mossa dai soci di un qualsiasi altro yacht club. Il Deed of Gift verrà in futuro aggiornato con nuove clausole sempre più al passo coi tempi e considerato come una sorta di regolamento ufficiale della competizione, interpretato, a onor del vero, quasi sempre nella direzione favorevole agli interessi del detentore. I primi a sfidare le imbarcazioni dello Yacht Club di New York sono, nel 1870, gli inglesi di “Cambria”, una goletta a gabbia di proprietà di James Ashbury. I britannici saranno anche i primi a fallire nel tentativo di riportare in patria la coppa, che nella sua storia non riprenderà mai più la via di Londra e resterà per ben 132 anni custodita nella bacheca del circolo velico newyorkese. Nell’occasione la piccola goletta “Magic” vince facilmente. Guidata dallo skipper Andrew J. Comstock e di proprietà dell’armatore Franklin Osgood, percorre più velocemente di tutte le 38 miglia di regata del Long Island Sound, precedendo altre otto imbarcazioni americane. Al decimo posto si classificano gli sfidanti di “Cambria”. L’anno successivo avviene una prima svolta nella manifestazione: le regate di flotta vengono sostituite con una sfida a due tra detentore e sfidante. E’ ancora Ashbury a sfidare Osgood, in una sfida al meglio delle sette regate, ossia dove la coppa va al vincitore di quattro gare su sette. “Columbia”, guidato sempre da Comstock, vince agevolmente le prime due regate e perde la terza a causa della rottura del timone. Il fair play inglese consente la sostituzione della barca agli americani che con uno scafo chiamato “Sappho” portano a termine la serie vittoriosamente.

Nel 1876 è ancora una goletta del NYYC a mantenere il trofeo, l’ultima prima del cambio di regolamento che porrà fine alla storia di queste vincenti imbarcazioni. “Madeleine” risponderà alla sfida dei canadesi di “Countess of Dufferin” vincendo per due regate a zero. Le golette vengono sostituite nel 1881 dai “cutter”, imbarcazioni dotate di una randa (la vela triangolare di prua) e almeno due fiocchi. Si riparte con i canadesi dello Yacht Club di Bay of Quinte, sul lago Ontario, che sfidano al meglio delle tre regate i detentori americani. “Mischief”, dotato del primo rudimentale scafo in ferro, vincerà 2-0 su “Atlanta” e con i suoi 298 metri quadrati di superficie velica sarà il più piccolo scafo della storia a conquistare la Coppa. Il cutter sarà la barca ufficiale della Coppa fino agli anni ’20 del Novecento. Con questa tipologia d’imbarcazione gli americani risponderanno ad altre nove sfide provenienti dalle isole britanniche, tre inglesi, una scozzese e quattro irlandesi.

Erano altri tempi, lontani dalle odierne esasperazioni regolamentari e degni di nota erano anche alcuni significativi episodi di fair play. Nel 1885 ad esempio lo sfidante inglese “Genesta” dell’armatore Sir Richard Sutton, vinse la prima regata contro il defender “Puritan” danneggiato dalla rottura di una vela. Lo stesso armatore inglese chiese ed ottenne la ripetizione della regata sostenendo che “un gentiluomo inglese non potesse vincere sfruttando le disgrazie altrui”. Perse le due successive regate, ma non ne uscì sicuramente sconfitto. Nel 1895 la seconda sfida del britannico Lord Dunraven, che assapora la vittoria più di quanto il netto risultato di 3-0, a favore del defender, possa far pensare. La sua “Valkyrie III” mette a dura prova la barca americana grazie a un’imbarcazione costruita con materiali innovativi e progettata per durare il solo lasso di tempo della competizione. Dal 1899 e per vent’anni è il celebre magnate del the, il nordirlandese Sir Thomas Lipton, a sfidare per ben cinque volte il NYYC. Non vincerà in nessuna delle occasioni sebbene ci andrà vicino nel 1920 (3-2 per “Resolute” contro il suo “Shamrock IV”), ma grazie alla notorietà guadagnata, porterà a termine quello che era il suo secondario (o forse principale) scopo, ossia pubblicizzare ed esportare in America il suo prodotto.

Nel 1930 è la volta di una nuova classe velica, la cosiddetta Classe J, che rivoluziona il tipo d’imbarcazione e resta in vigore per il breve volgere di tre edizioni. Barconi di 40 metri di lunghezza si danno battaglia a colpi di manovre nelle acque di Newport per conquistare l’antico trofeo. La prima apparizione della Classe J coincide anche con l’ultima sfida di Sir Thoms Lipton che varca per la quinta volta l’oceano con una sua barca, lo “Shamrock V”. Dalla parte americana sono in quattro i sindacati iscritti, che si sfidano tra loro per eleggere il defender ufficiale. Vincerà “Enterprise”, timonato da Harold S. Vanderblit, discendente di una centenaria stirpe di armatori e autentico mago nel manovrare tra le onde, oltre che skipper più vincente della storia con tre edizioni vinte consecutivamente. Nell’edizione del 1934 un’ottima figura la fa il britannico “Endeavour I”, in pratica il vecchio “Shamrock V” di Sir Lipton, acquistato e rimodernato dal noto costruttore aeronautico Thomas O.M.Sopwith. Perde 4-2 con un equipaggio di dilettanti autore di molti errori di interpretazione del vento durante le regate, dando comunque del filo da torcere a Vanderblit e al suo “Rainbow”.

Dopo il 1937, passano 21 anni e una guerra mondiale prima di rivedere in mare due imbarcazioni a contendersi la Coppa delle cento ghinee. E’ il 1958 quando l’America’s Cup assiste ad un’altra rivoluzione. Alle boe di partenza si presentano non più gli ingombranti e costosi barconi Classe J, ma le agili e veloci “12 metri”. La classe ufficialmente adottata dagli organizzatori è la 12M J.I., derivata dalla 12 metri già classe olimpica a inizio secolo e molto diffusa soprattutto nell’Europa settentrionale. Forti di una classe velica pressoché sconosciuta agli americani, gli inglesi del Royal Yacht Squadron lanciano la sfida con “Sceptre”, fiduciosi di riportare la coppa in patria. Le speranze dei britannici si infrangono però ben presto contro il “Columbia”, imbarcazione timonata da Briggs S.Cunningham. Quattro anni dopo lo skipper dei defender è Emil Mosbacher Jr, che sconfigge una imbarcazione proveniente, per la prima volta, dall’emisfero australe, ossia “Gretel” del Royal Sydney Yacht Squadron. Gli australiani assaggiano la competizione per la prima volta in quell’anno, perdendo 4-1 e senza ancora poter immaginare che, grazie all’esperienza che accumuleranno in altre sei partecipazioni nel ventennio successivo, saranno loro i primi a riuscire nell’impresa di portar via la coppa dalla sua casa di New York. Andando con ordine, nel 1964 è la volta dell’ultima sfida inglese: “Sovereign”, che ammaina il suo colorato spinnaker (la vela usata con il vento di poppa) bianco-rosso dopo sole quattro regate e altrettante sconfitte. Nel 1967 inizia il lungo assalto australe alla coppa. “Dame Pattie” da Sydney sfida “Intrepid”, a detta di tutti il più bel 12 metri mai varato, e forse anche uno dei più performanti. “Intrepid” ripeterà il successo nell’edizione successiva ancora contro una barca proveniente dallo Yacht Club di Sydney, il “Gretel II”. In questa occasione, ossia nel 1970, viene inaugurata una nuova e importante tradizione. Per la prima volta il NYYC accetta di essere sfidato da più nazioni contemporaneamente. Infatti “Gretel II”, prima di perdere la coppa, aveva agevolmente sconfitto, nello spareggio tra i due sfidanti, “France F1”, imbarcazione transalpina del barone Marcel Bich.

Dall’edizione del 1974 i progettisti degli scafi abbandonano definitivamente il legno preferendo le più performanti leghe leggere, soprattutto in alluminio. “Courageous”, 12 metri americano progettato da Olin Stephens, già matita di “Intrepid”, vince agevolmente contro l’australiano “Southern Cross”, del Royal Perth YC, e si ripete tre anni dopo contro “Australia”. Nel 1980 al timone di “Freedom”, il defender americano che si aggiudica la coppa, c’è un giovane timoniere proveniente dalle classe olimpiche, Dennis Conner. Il suo nome resterà legato per sempre a quello della competizione. Ne vincerà tre e parteciperà a tutte le edizioni successive vestendo dal 1995 anche i panni dell’armatore. Altro nome importante dell’edizione del 1980 è quello dell’armatore australiano Alan Bond, che alla seconda partecipazione continua a raccogliere esperienza, vincendo le selezioni degli sfidanti con la sua “Australia”, rimodernata per l’occasione, e perdendo la Coppa 4-1 contro la barca di Conner.

L’anno in cui la Coppa America cambia padrone coincide con la prima sfida italiana nella manifestazione. “Azzurra”, dallo Yacht Club Costa Smeralda, debutta tra le acque di Newport con un ottimo risultato, rivaleggiando quasi alla pari con i più quotati yacht rivali. L’edizione del 1983 è però quella della rivoluzione non soltanto per l’esordio di una nazione come l’Italia, che segnerà passi importanti nella storia recente della manifestazione, ma soprattutto per un ulteriore cambio di classe, la 12 internazionale, e per un secondo aspetto: per la prima volta sarà un munifico sponsor a patrocinare l’evento, la Louis Vuitton (che darà anche il nome al torneo di qualificazione dei challenger, ossia gli sfidanti, mettendo in palio la omonima coppa, la Louis Vuitton Cup). Il torneo, diviso in più fasi chiamate “Round Robin”, e in una fase finale di sfide a due, desta grande interesse per via delle sette barche al via in rappresentanza di cinque paesi. A qualificarsi per la sfida valevole per la Coppa America contro il defender “Liberty”, anch’esso uscito da un agguerrito torneo di qualificazione e guidato da Dennis Conner, sarà “Australia II”, di Alan Bond con il giovane John Bertrand, già tattico di “Australia” tre anni prima, al timone. In una tiratissima serie finale la barca australiana ha la meglio per 4-3 sul defender e per la prima volta nella storia dopo 132 anni la coppa cambia domicilio. L’Italia chiude la sua prima partecipazione accumulando esperienza e terminando al terzo posto tra gli sfidanti. Il più grande risultato che “Azzurra” e il suo equipaggio, guidato da due bravi velisti come Mauro Pelaschier e Cino Ricci, ottengono in quell’anno è però un altro: riuscire a coinvolgere e a far crescere negli italiani l’interesse per la vela, che si riscoprono un popolo di navigatori.

L’edizione seguente (1987) vede due barche italiane al via della Louis Vuitton Cup e ben tredici sfidanti complessivi. Si naviga nelle acque di Fremantle, vicino Perth, e l’australiana “Kookaburra III” è il defender ufficiale. A sfidarla ci sono sei barche statunitensi ansiose di riportare in patria la Coppa, “Azzurra” e “Italia” a difendere i colori italiani, “Canada II”, “French Kiss”, “Challenge France” e “New Zealand” di cui si intuiscono facilmente le nazionalità e gli inglesi di “White Crusader”. A dominare i tre Round Robin è “New Zealand” guidata da Chris Dickson che, dopo aver dominato in lungo e in largo, perde la finale contro “Stars & Stripes” della vecchia volpe Conner. La finale di coppa sarà a senso unico, un monologo a stelle e strisce, un 4-0 che riporta in America il trofeo, stavolta nella bacheca del San Diego Yacht Club.

E’ del 1988 la pagina più triste, sportivamente parlando, di oltre un secolo e mezzo di Coppa America. Il fair play dei tempi di Sir Richard Sutton è purtroppo roba d’altri tempi. I neozelandesi, finanziati dal magnate dell’editoria Michael Fay, trovano un cavillo interpretativo nel Deed of Gift e fondano uno yacht club senza fissa dimora, il Mercury Bay Boating Club, armando un maxi yacht di 133 piedi (circa 40 metri). Come risposta, il team “Stars & Stripes”, non potendo competere con un “piccolo” 12 metri né avendo il tempo di costruire un’imbarcazione di dimensione pari a quella neozelandese, interpreta anch’esso a suo modo il regolamento e partecipa con un catamarano ad ala rigida da 60 piedi. I due consorzi non trovano l’accordo neanche sul percorso di gara, quindi si decide di seguire alla lettera il regolamento antico e le due barche si sfidano al meglio delle tre regate. Non c’è storia a causa del divario di prestazioni netto tra le due tipologie di imbarcazione: vince “Stars & Stripes” 2-0 in un’edizione che copre di ridicolo i due partecipanti, tanto quanto il vergognoso strascico in tribunale che si conclude nel 1990 con la conferma della vittoria del team di Dennis Conner che mette in bacheca la sua terza, non certo la più brillante, America’s Cup.

Dal 1992, dopo la sfortunata parentesi di quattro anni prima, si cambia ancora. I vari consorzi riescono a mettersi d’accordo e nasce la IACC, ossia la classe velica America’s Cup che definisce minuziosamente le caratteristiche delle imbarcazioni. In pratica si tratta di barche lunghe 23-24 metri, più agili, veloci e leggere delle precedenti, costruite in leghe di materiale composito. Parte l’era della tecnologia, delle sperimentazioni e dei conseguenti reclami per trovate ingegneristiche al limite del consentito: appendici vietate, bompressi irregolari, vele o alberi troppo leggeri. Vengono introdotti anche gli “umpires”, ossia i giudici che seguono le barche durante le regate e hanno il compito di comminare le eventuali penalità in tempo reale. Nella Louis Vuitton Cup sono otto gli sfidanti, provenienti da sette nazioni, tra cui una barca italiana, armata dall’imprenditore Raul Gardini. “Il Moro di Venezia”, questo il nome della barca dello Yacht Club “Compagnia della Vela”, fa innamorare gli italiani. Milioni di persone restano incollate al televisore fino a tarda notte riscoprendosi esperte di vela. Parole come boma, tangone, bolina, randa, gomena, lasco, entrano nel gergo comune dei discorsi da bar, la barca italiana fa sognare un Paese intero, soprattutto nella finale della Louis Vuitton Cup, quando in svantaggio di tre regate a zero sugli esperti neozelandesi timonati da Rod Davis, riescono a ribaltare il risultato e a vincere per 5-3. Gli artefici di questa clamorosa rimonta sono il baffuto timoniere americano Paul Cayard e il tattico Tommaso Chieffi. Il sogno finisce pochi mesi dopo quando nelle acque di San Diego il “Moro” non riesce ad avere la meglio su “America Cube”, armato e guidato da Bill Koch, perdendo per 4-1.

Nel 1995, a causa della tragica scomparsa di Raul Gardini, nessun consorzio italiano si presenta al via. La novità più importante è il cambiamento di regole sul percorso da affrontare che rimarranno tali anche in futuro. Scompaiono infatti i lati di lasco e di traverso, ossia quelli caratterizzati dal vento prevalentemente laterale, rimangono in un percorso “andata-ritorno” da fare tre volte, le andature di poppa e di bolina, ossia a favore e contro vento. I sette consorzi sfidanti vedono quattro barche australi sulle sette totali alla partenza, che si sfidano nelle acque del Pacifico con spinnaker e jennaker griffati dai loro sponsor: il prezzo da pagare con l’avvento della televisione. A trionfare nella Louis Vuitton Cup sarà “Black Magic”, guidata dal bravissimo neozelandese Russel Coutts, proveniente dalle classi olimpiche. Parallelamente e nelle stesse acque si svolge la Citizen Cup, ossia la selezione tra i defender. A prevalere è la vecchia imbarcazione di “Stars & Stripes”, grazie specialmente all’abilità e ai rischi corsi dall’equipaggio guidato da Paul Cayard. Grazie ad alcune pieghe del regolamento, viene consentito all’equipaggio di Cayard di cambiare barca e di schierare nella finale di coppa la più veloce “Young America”, su cui avevano trionfato nella sfida decisiva della Citizen Cup. L’epilogo è però un monologo neozelandese, 5-0 in una finale al meglio delle nove regate, e la Coppa si sposta ad Auckland.

Le ultime edizioni della Coppa America sono caratterizzate da un sempre più costante utilizzo della tecnologia, fortunatamente ancora oggi vietata a bordo delle imbarcazioni. Le regate, notoriamente difficili da seguire in tv a causa della mancanza di punti di riferimento in mare aperto, sono rese di immediata comprensione anche per il pubblico televisivo. Vengono inventate nuove tecnologie, come il Virtual Spectator, un programma informatico che grazie al segnale satellitare restituisce, come in un videogioco, l’immagine delle imbarcazioni in gara sullo schermo, aggiungendo parametri grafici in tempo reale che rendono immediata la percezione dell’andamento della regata. La tecnica sempre più affinata dei timonieri e il fiuto, quello davvero antico, dei marinai più navigati, rendono le gare estremamente combattute. La fase di partenza diventa cruciale e gli skipper si specializzano sempre di più nel “corpo a corpo”, tentando tramite manovre complicate e spettacolari, di far comminare penalità agli avversari fin dalla partenza.

In questo contesto rifiorisce per una terza volta la passione degli italiani per la vela. La protagonista delle notti in tv si chiama “Luna Rossa”. La barca dello Yacht Club Punta Ala di Livorno, armata da Ernesto Bertelli e timonata dal napoletano Francesco De Angelis, vince l’edizione 2000 della Louis Vuitton Cup perdendo la finale di Coppa America 5-0 contro i neozelandesi di “Black Magic”, e battagliando da protagonista anche nelle due successive edizioni, dove sarà affiancata da altre due imbarcazioni italiane: “Mascalzone Latino” prima e “+39” poi. Nel 2003 Russel Coutts diventa il terzo timoniere a vincere tre America’s Cup, stavolta in modo ancor più storico, perché alla guida di una barca svizzera, “Alinghi”, armata dall’imprenditore italiano Ernesto Bertarelli e con sede sul lago elvetico di Ginevra. La coppa, non potendosi disputare per regolamento in un bacino chiuso, trova casa a Valencia nel 2007, dove “Alinghi”, guidata dall’esperto americano Ed Baird, vince il secondo titolo consecutivo sui neozelandesi dello skipper Dean Barker.

La Coppa America appare oggi agli occhi di tutti come un circo milionario, che al pari dei più seguiti sport del globo è alla ricerca di consensi sempre più ampi in giro per il mondo. All’ultima edizione hanno partecipato anche imbarcazioni di yacht club cinesi, spagnoli e sudafricani, e nel periodo intercorso tra l’edizione precedente e quella del 2007 è stato disputato una sorta di campionato del mondo itinerante della Coppa America, in stile Formula 1, con tappe in vari Paesi, punti assegnati e classifica finale. La data definitiva della prossima edizione di questa prestigiosa manifestazione è ancora incerta, a causa di un contenzioso dovuto a molteplici cause, soprattutto economiche, sorto tra “Alinghi” e il team americano di “BMW Oracle” che si è protratto a colpi di avvocati per oltre un anno. Scongiurato il rischio di una seconda edizione-farsa dopo quella del 1988, le barche di classe IACC hanno ripreso gli allenamenti in vista della prossima Coppa. In una disciplina fatta di passione e di amore per il mare, dove una carriera non dura il breve volgere di una giovinezza, ma accompagna i suoi naviganti per una vita intera, è bello notare come la componente umana sia ancora fondamentale, e come l’assenza a bordo di dispositivi elettronici di comunicazione e localizzazione, faccia sì, oggi come allora, che il merito del successo vada esclusivamente ad esperti marinai da sempre alla ricerca del vento.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]

.

.