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N. 107 - Novembre 2016 (CXXXVIII)

LE AMAZZONI NEL MEDIOEVO OCCIDENTALE

FIGURE DELL’IMMAGINARIO - PARTE II
di Stefano Andres

 

Alcuni degli attributi tradizionali delle Amazzoni subiscono distorsioni ancor più significative in testi elaborati non in area mediterranea bensì nelle regioni di tradizione celtica, ultime acquisite alla cultura classica. Si tratta di opere che indistintamente attingono tanto alla sfera dotta quanto al folklore locale.

 

Appartiene all’area insulare – o forse ad uno scrittore di area insulare – la Cosmographia detta di Aetico Istro. Nonostante la sicura attribuzione dei manoscritti, quello che noi conserviamo sarebbe in realtà un’epitome. Nel testo, infatti, il misterioso autore dice di riassumere gli insegnamenti ed i resoconti di viaggio del non meglio precisato filosofo danubiano Aetico Istro. Sulla base di tali pretesti letterari, vengono descritte le regioni reali e fantastiche della terra, compreso il regno delle Amazzoni.

 

La storia delle donne guerriere è tracciata sul solco della tradizione trogiana. Colpisce tuttavia in questa rielaborazione della saga la descrizione compiaciuta di particolari truculenti. L’autore insiste sulle stragi e gli omicidi compiuti dalle Amazzoni, sull’uccisione dei figli maschi e, staccandosi dalla tradizione, accenna alla loro abitudine di ricoprire gli scudi con il sangue dei piccoli uccisi, misto a bitume. L’idea che emerge da questi tratti circa le donne guerriere è inquietante; esse appaiono come bestiali assassine, il cui unico loro contributo all’umanità consiste nell’invenzione di nuovi armi e di nuove tecniche di combattimento (Cosmog., MGH pp. 178-182).

 

Altre fonti coeve si spinsero addirittura oltre in questo processo di ferinizzazione del popolo delle donne. Sono in proposito testimoni interessanti l’Epistola de rebus in Oriente mirabilibus (XXI, p. 209 Faral; XXI, p. 356 Faral) ed il Liber Monstruorum (I 22), operette di mirabilia risalenti probabilmente all’VIII secolo e tra loro collegate, cataloghi accurati di esseri mostruosi creduti esistenti o esistiti. Si descrivono donne che abitano presso il Mar Rosso o sui monti dell’Armenia, vestite di pelli e a cui cresce la barba fino al petto. Quando vanno a caccia esse sono accompagnate, anziché da cani, da tigri e leopardi addomesticati.

 

Le femmine barbute incarnano la deformazione e la degenerazione fisica delle Amazzoni della tradizione classica. La barba simboleggia non solo la natura ferina ma anche la mascolinità che le donne guerriere usualmente incarnano.

 

ADAMO DI BREMA E LA TERRA FEMINARUM

Procedendo nel tempo e passando di nuovo all’area germanica, l’attenzione si sposta sulla descrizione e sulla localizzazione nordica delle Amazzoni fornita da Adamo di Brema (+1085 c.a.) nella sua cronaca sugli arcivescovi di Amburgo-Brema (Gesta Hammaburgensis ecclesiae pontificum), che rappresenta una novità assoluta rispetto alla tradizione precedente.

 

In via preliminare si nota che Adamo, così come le sue fonti, non era in grado di determinare, nemmeno in modo approssimativo, le dimensioni del mar Baltico. D’altro canto, sulla base dell’esperienza, era ben nota l’esistenza di un collegamento acquatico tra il mar Nero ed il Baltico stesso. Egli, evidentemente ignorando - almeno nella loro interezza - l’esistenza dei grandi fiumi che permettevano di navigare tra questi due mari, è quindi costretto a forzare i dati in suo possesso per fare chiarezza sulla geografia di tali luoghi.. Così, nella sua congetturale visione geografica, la Scizia (come visto tradizionale sede delle Amazzoni) viene ulteriormente a dilatarsi, tanto da ricomprendere perfino le coste settentrionali della Russia e la Scandinavia. Su queste basi, il mar Baltico assume una forma molto allungata verso oriente, tanto da congiungersi con il mar d’Azov ed il mar Nero.

 

Le Amazzoni di Adamo sono quindi risucchiate in questo processo di allargamento del contenitore scitico verso la zona baltico-scandinava. Seguendo il destino di altri popoli e dati geografici posti dalla tradizione antica in area scitica e presso il mar Nero, anche le sedi delle donne guerriere vengono quindi spostate sul Baltico.

 

Dislocato all’interno della grande Scizia (Schol. 123 (119)), esse vivono in un’ampia regione delimitata ad ovest dalla Sveonia (Svezia) e dai suoi ultimi avamposti, le città di Birka e Sigtuna (IV 14; IV 17) e a sud dalle coste del mar Baltico (IV 14; IV 19). Prospiciente a tali coste si trova l’isola di Estland (Ösel-Saaremaa (IV 17). Adamo è più vago a proposito dei confini settentrionali della terra delle donne. Si può immaginare che il loro territorio dovesse estendersi nell’interno fino alle pendici delle montagne che tracciano il confine con la Norvegia, che lo scrittore chiama - sulla scorta delle fonti classiche - Monti Rifei (IV 25).

 

Le Amazzoni si trovano lì in mezzo; da un lato la popolazione degli Esti e altri popoli inafferrabili: Vizzi, Mirri, Lami, Scuti e Turchi, dall’altro i mostri: i Cinocefali, i Ciclopi, gli Imantopodi.. Esse quindi abitano zone remote e quasi inaccessibili, ubi deserta ingentia, nives altissimae, ubi monstruosi hominum greges ultra prohibent accessum (IV 25). Tuttavia, anche in questo caso, come tutti i luoghi meravigliosi, la terra feminarum non è totalmente inaccessibile agli uomini civili: i viaggi avventurosi di marinai e mercanti e una sfortunata spedizione militare degli Sveoni (III 16 (15); Schol. 123 (119)) lo testimoniano.

 

Le Amazzoni di Adamo sono una comunità di sole donne dedite ad attività maschili, prima tra tutte la guerra. Come gli animali, si accoppiano con chi capita e, a quanto si dice, addirittura con mostri tout court. La loro stessa natura fisiologica non è immune da anomalie: esse infatti possono rimanere incinte anche solo bevendo acqua, per poi partorire femmine bellissime o ripugnanti uomini dalla testa di cane.

 

Il problema delle fonti orali con cui egli integrò le proprie conoscenze letterarie è, a sua volta, strettamente connesso a quello dell’identificazione delle Amazzoni della tradizione classica con le donne che abitano questa indefinita regione ai confini della Sveonia. Non è del tutto chiaro se le sue fonti parlavano espressamente di Amazzoni, oppure se si limitavano a mettere lo scrittore a conoscenza dell’esistenza di un popolo di sole donne nello sperduto settentrione. In questo modo, sarebbe stato lo scrittore a fare l’equazione. Una serrata analisi testuale induce tuttavia a credere che sarebbe stato lo stesso Adamo a identificare le Amazzoni classiche con il popolo di donne che viveva nel nord (III 16 (15); IV 19).

 

In ogni modo, Adamo non mostra alcun dubbio intorno a questa identificazione. Da tale angolatura traspare chiaramente il diverso approccio alla saga amazzonica rispetto a Paolo Diacono. Quest’ultimo, con argomentazioni lucide e razionali, si era sforzato di tentare di conciliare le Amazzoni classiche con tribù matrifocali, ancora ai suoi tempi, viventi nel cuore della Germania; Adamo invece, come in altre circostanze incapace di celare il proprio personale gusto per i mirabilia, si lascia trascinare dai collegamenti più incredibili e dalle notizie più suggestive.

 

In ogni modo la suggestiva testimonianza dello storico bremese ebbe scarsa influenza sugli scrittori successivi; la Historia Norwegie (sec. XII), ad esempio, eccezionalmente appena accenna alla terra virginum di Adamo, senza fornire ulteriori particolari (I 9).

 

LETTURA IN CHIAVE MORALISTA DEL “MITO” AMAZZONICO

Come noto, la cultura ecclesiastica non era completamente indifferente all’antica mitologia; veniva passata al vaglio sotto il profilo etico, per elogiare o censurare la condotta degli eroi e degli dèi ormai umanizzati, o, più semplicemente, poteva essere utilizzata in chiave metaforica o per scopi esemplificativi. Conosciamo, in tal senso, alcune precoci testimonianze di reimpiego moralistico-teologico del mito amazzonico.

 

Alcuni – si pensi all’autore delle Ricognitiones attribuite a papa Clemente I (+ 95), IX 24, 2, o al Liber Legum Regionum [595] dello gnostico Bardesane (+ 222) – citavano asetticamente gli usi sessuali delle Amazzoni per dimostrare che ogni popolo, grazie al libero arbitrio, stabilisce le proprie leggi. L’allusione di Lattanzio (+ 317 c.a.) alle donne guerriere si pone invece in un contesto retorico teso a stigmatizzare la degradazione morale di Eracle. Le sue imprese contro le Amazzoni e la regina Ippolita, al pari delle altre celebri fatiche, non sono reputate degne di pregio, in quanto non controbilanciano la depravazione e la condotta viziosa dell’eroe (Div. Inst., I 9 5).

 

Girolamo (+ 420), vedeva invece nelle Amazzoni un esempio paradigmatico di lussuria: esse, con le loro nudità, provocano gli uomini e insidiano la loro virtù (Adv. Iov., II 37, 382; ib., In Ier. proph., III 16). Per Agostino (+ 430), il fatto che esse svolgano ruoli maschili è assolutamente contro natura. Quello amazzonico è stato un episodio unico nella storia dell’umanità che peraltro si verificò in Scizia, ai confini del mondo (De mir. sacr. Scrip., PL XXXV § de fato CXV, col. 2357). Su questa scia si poneva pure il suo discepolo Orosio, secondo cui l’epopea delle Amazzoni costituisce un esempio storico della follia umana (Hist., I 16, 1), e il cosiddetto Ambrosiaster (ignoto autore forse del secolo IV), il quale - come Agostino - a chiare lettere definisce contro natura le loro gesta (In epist. B. Paul. ad Coloss., PL XVII, col. 436).

 

Predicatori, teologi e poligrafi medievali, sulla scia dei Padri della Chiesa, continuarono saltuariamente ad indagare l’aspetto morale del mito amazzonico, sebbene, talvolta, addirittura con esiti opposti. Le meditazioni sull’epopea delle Amazzoni si inseriscono quindi nella ben più ampia letteratura sulla donna, ora filogina, ora misogina. Così, mentre Pietro il Venerabile (+ 1156; Ep., I 115), in prospettiva cristiana, apprezza la virtù e Jacques di Vitry (+ 1240; Hist. Orient., XCII) la castità delle donne guerriere che vivono senza stare a contatto con il sesso maschile, Giordano da Pisa (+1311; Esempi, 118) continua invece a vedere nelle Amazzoni un esempio storico di forzata degenerazione della natura femminile, di per sé portata ad un tipo di vita pacifica.

 

LE AMAZZONI DI PENTESILEA ALLA GUERRA DI TROIA NEI ROMANZI CORTESI

A partire dal secolo XII la saga delle Amazzoni assunse nuove sfaccettature grazie alla letteratura cortese ed ai romanzi di gusto classicheggiante incentrati sul ciclo troiano.

Le vicende delle Amazzoni e della loro regina Pentesilea, che nell’ultima fase della guerra di Troia furono tragiche protagoniste, vennero diffusamente trattate nel primo romanzo ‘troiano’, il Roman de Troie di Benoît de Sainte-Maure (1160 c.a.; in particolare, IV 23357-23780; 23979-24148; 24169-76; 24209-24461), di ben trentamila ottosillabi, e, successivamente, in numerosi rifacimenti e ramificazioni (in prosa e in versi) quali, in particolare, l’Historia destructionis Troiae (1280 c.a.; XVIII, p. 211-225) del messinese Guido delle Colonne ed il Libro de la storia di Troia del toscano Binduccio dello Scelto (1300 c.a.; CDLX-CDXC).

 

In queste opere, spesso artisticamente mediocri, caratterizzate dall’amplificatio e dalla dispersione, la materia troiana - filtrata attraverso i tardi resoconti romanzeschi di Ditti Cretese (IV sec.) e Darete Frigio (VI sec.) - risulta alquanto trasfigurata. Al di là della forma e della lingua, prevale il gusto dell’esotico e del meraviglioso e trovano ampio spazio la passione e la psicologia amorosa nonché le regole del codice cavalleresco: ogni gesto eroico è compiuto sempre in funzione dell’amore.

 

Gli autori, prima di celebrare le gesta delle Amazzoni sotto le mura di Troia, spesso indugiano nel riportare le tradizionali notizie relative agli usi e costumi delle donne guerriere, nonché gli episodi più salienti della loro storia. Prendendo spunto soprattutto dall’opera di Darete Frigio, viene riproposta una versione della guerra più favorevole ai Troiani ed ai loro alleati, quali appunto Pentesilea.

 

Eccettuata la bellicosità, le donne guerriere perdono nel contempo i caratteri virili e barbarici attribuiti loro dalla tradizione classica, come la mutilazione del seno, l’androginia e l’uccisione dei figli maschi, subendo una profonda metamorfosi che le femminilizza (si tratta di una femminilità irreale, quasi onirica) e le rende sensibili all’amore, vissuto nel pieno rispetto dei codici cortesi. Attraverso le Amazzoni viene quindi costruito un nuovo tipo femminile, assolutamente originale; in antitesi al topos epico e maschile fortitudo-sapientia, esse incarnano un anti topos costituito da fortitudo-pulchritudo-pudicitia.

 

In particolare la regina Pentesilea dei romanzi cortesi continua, in ossequio alla tradizione precedente, ad essere fiera, coraggiosa e bellicosa e in più assume i caratteri del cavaliere ideale. Siamo di fronte ad una radicale trasformazione letteraria del personaggio: ella si rende protagonista di memorabili duelli contro i massimi guerrieri greci, mostra un forte senso dell’onore, una spiccata magnanimità, è capace di provare ammirazione e rispetto per altri cavalieri e anche di innamorarsi, pur senza intaccare il proprio status virginale, particolare questo che la tradizione romanzesca medievale non eccede d’altronde nel sottolineare. Proprio per conquistare il cuore di Ettore, che ella amava smisuratamente, nonché ovviamente per guadagnarsi fama e onore, Pentesilea si sarebbe decisa a soccorrere i Troiani in guerra con i Greci, accompagnata dalle migliori damigelle.

 

Le versioni romanzate indugiano nel descrivere l’equipaggiamento di Pentesilea. Senza paura affronta cruenti battaglie, sconfiggendo in duello avversari del calibro di Ulisse, Diomede, Aiace Telamonio. A seguito di queste iniziali prodezze Pentesilea e le sue damigelle vengono superbamente onorate e omaggiate di doni dagli alleati, rinfrancati dal loro arrivo. Lei, savia e valente, non manca di confortare il vecchio Priamo per la morte in battaglia di alcuni dei suoi figli.

 

In modo pressoché unanime in questo ciclo romanzesco viene accolta la versione, nota soprattutto attraverso Darete Frigio, secondo cui Pentesilea sarebbe stata uccisa sotto le mura di Troia non da Achille ma dal di lui figlio Neottolemo/Pirro, dopo un cruento e drammatico duello (l’arrivo dell’Amazzone a Troia è quindi successivo alla morte del Pelide). Il cadavere dell’Amazzone sarebbe stato recuperato dopo molte insistenze dal troiano Antenore e quindi imbalsamato, mentre le poche guerriere superstiti avrebbero fatto ritorno in patria.

 

La tradizione medievale sembra invece ignorare il lato più truculento della storia di Pentesilea, l’incontinenza dell’eroe vincitore (in realtà Achille) sul cadavere dell’Amazzone, dettaglio peraltro esplicitamente attestato in fonti greche ancora ignote in Occidente in quei secoli.

 

Il recupero e la rivisitazione, tramite tali romanzi, di Pentesilea fece sì che essa divenisse un vero e proprio modello, un termine di paragone per le virago medievali di cui, a partire dal secolo XI, le cronache registrano le gesta. Così Orderico Vitale associa a Pentesilea Isabella di Conches-Toesny, figlia di Simone I di Montfort, solita partecipare alle spedizioni militari cavalcando in assetto di guerra, al pari dei cavalieri maschi. Di Eleonora d’Aquitania, celebre ispiratrice della letteratura cortese, si dice fosse stata lei stessa a paragonarsi alla regina Amazzone.

 

ALESSANDRO MAGNO E LE AMAZZONI

L’epopea di Alessandro Magno costituì un altro importante canale di diffusione della saga amazzonica medievale. Già nell’antichità, sopra l’altra faccia della letteratura fiorita intorno alla figura del condottiero macedone, quella retorica e romanzesca che si opponeva a quella ufficiale e attendibile, era germogliato l’episodio relativo al presunto incontro tra le donne guerriere e il giovane re in marcia verso Oriente. Una regina delle Amazzoni di nome Talestri avrebbe raggiunto il sovrano chiedendogli di generare dei figli, ritenendosi degna di divenire madre degli eredi del suo impero: lui era il più valoroso degli uomini, lei delle donne. Avrebbero applicato le consuetudini che in questi casi usano le Amazzoni: se fosse nato un maschio l’avrebbe consegnato al padre, se invece una femmina l’avrebbe tenuta con sé per allevarla secondo il costume della sua gente. Alessandro, per accontentarla, concesse una sosta ai suoi. Dopo alcuni giorni, Talestri, quando credette di essere rimasta incinta, si allontanò per tornare nelle proprie terre non senza aver ricevuto splendidi doni dall’ospite.

 

Nessuna fonte ci dice tuttavia cosa sia successo in seguito a Talestri, e soprattutto se un figlio nacque da quell’unione. E’ comunque probabile che dietro all’aneddoto si celi un dato reale: l’incontro con una delle tante società matrifocali che vivevano nelle steppe asiatiche, le cui donne, al pari degli uomini, cavalcavano, si tatuavano simboli clanici e partecipavano alla caccia e alla guerra (quanto meno alle operazioni difensive).

Anche nel celebre Romanzo di Alessandro, una raccolta di racconti leggendari sulla vita del condottiero macedone risalente al III secolo d.C., il sovrano intrecciava le proprie vicende con quelle delle Amazzoni ma in un contesto assolutamente innovativo rispetto alla tradizione più antica, tramite l’espediente di un lungo scambio epistolare.

 

Si legge infatti nel terzo libro che il re avvicinatosi al loro paese, inviò loro una lettera informandole delle sue vittorie e chiedendo di poter esplorare i loro territori pacificamente. Esse gli risposero descrivendo le proprie terre, culti e costumi, compresi quelli legati alla vita militare, e lo minacciarono rivendicando la loro autonomia. Alessandro lesse la lettera e sorrise. Ne scrisse una seconda minacciandole a sua volta e obbligandole a presentarsi innanzi a lui. Se non avessero ubbidito avrebbe mosso contro di loro. Le invitò poi a lasciargli alcune guerriere da inquadrare, dietro alti compensi, nell’esercito. Le Amazzoni gli risposero di nuovo ma questa volta in modo più amichevole e lo invitarono a venire nei loro territori. Promisero di versare un tributo di cento talenti d’oro e l’invio di cinquecento guerriere che ogni anno sarebbero state sostituite da altre cinquecento, considerandolo fin da quel momento loro signore (Rom. Alex., III 25-26).

 

Nel romanzo la vicenda finisce quindi col divenire una descrizione delle Amazzoni stesse, le quali diventano uno dei tanti mirabilia che Alessandro, novello Odisseo, più esploratore che condottiero, incontra nella sua marcia verso i confini del mondo. Entrambi i filoni continuarono ad essere assai diffusi nel corso dell’età di mezzo (tra l’altro il Romanzo ebbe una grande fortuna grazie a numerose traduzioni, versioni e revisioni) e furono pure rivisti nell’ambito della tradizione cortese.

 

Infatti, tra i romanzi che rivisitarono il mito amazzonico vi furono non solo quelli legati alla materia troiana, ma anche quelli che rielaborarono la saga di Alessandro Magno. Siamo a conoscenza di un grande numero di rimaneggiamenti diversi ma, ai nostri fini, si segnalano le versioni del secolo XII del normanno Alexandre de Bernay (Roman d’Alexandre, Br. III 7226-7711) e di Gualtiero di Châtillon (Alexandreis, VIII 1-48), in cui l’incontro tra il macedone e le Amazzoni viene riproposto in toni decisamente cortesi.

 

Gualtiero di Châtillon, sulla scorta della storiografia antica – segnatamente di Curzio Rufo – senza significative variazioni narrative, ripropone l’episodio della regina Talestri, che raggiunge Alessandro in Ircania attratto dalla sua fama, decisa ad avere dei figli da lui.

 

Alexandre de Bernay è invece largamente debitore del Romanzo di Alessandro ma non si esime dall’arricchire l’episodio. Mentre il condottiero si apprestava ad essere incoronato in Babilonia come sovrano del mondo, gli venne fatto presente che ancora il regno delle donne guerriere prosperava libero dal suo giogo. A capo del suo esercito, il re si reca quindi presso la terra delle Amazzoni, circondata dal fiume Mehothedie (Meotide), al fine di sottometterla. Nel frattempo la regina Amable, consigliata in sogno, decide di non resistere con le armi ma di pagare un tributo al macedone. Verrà quindi stretta un’alleanza dopo grandi scambi di gentilezze e galanterie. Saranno perfino officiati dei matrimoni tra due Amazzoni (Floré e Biauté) e due cavalieri di Alessandro (Clins e Aristés). L’atmosfera cortese che ammanta il poema ingentilisce profondamente i tratti delle donne guerriere; ben poco rimane qui della tradizione amazzonica più antica, se non la valentia nell’uso delle armi ed il peculiare regime sessuale, peraltro, come dimostrano i matrimoni celebrati, facilmente derogabile.



 

 

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