[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

183 / MARZO 2023 (CCXIV)


contemporanea

ALBINO BADINELLI
UN CARABINIERE MEDAGLIA D'ORO AL MERITO CIVILE ALLA MEMORIA

di Francesco Caldari

 

A dispetto del nome, nel 1920 nel villaggio di Allegrezze vi era poco da star contenti. La vita era grama, a più di 900 metri sul livello del mare, in questa frazione della verde Val d’Aveto, che da Genova accompagna fino a Piacenza. Quando si pensa alla Liguria si immagina il blu del mar Tirreno, che tutta la sua costa bagna, e ci si rappresenta una striscia di terra che si fa fatica a credere raggiunga certe altitudini. Ma alle spalle del mare subito si ergono le colline, e poi le montagne, quelle dell’Appennino ligure, che tanto merito hanno nel difendere la temperatura mite che durante ogni stagione conforta i suoi abitanti.

No, i liguri non son tutti marinai. E a novecento metri di altitudine d’inverno la neve si affaccia. Dalla rigida Val d’Aveto presero in molti la via “della Merica”, come si diceva da metà Ottocento in poi, per cercar fortuna in quella America che non era solo Nuova York, ma anche il Cile, l’Argentina, il Brasile.

Anche la famiglia Badinelli fece partire qualcuno dei suoi. Ma Vittorio e sua moglie Caterina Ginocchio rimasero. Dovevano badare ai campi, agli animali e soprattutto ai figli, che, come si voleva allora, erano tanti, davvero. Albino giunse di sabato, il 6 marzo di quel 1920, e fu il settimo. Ne arrivarono altri. Fu battezzato nella chiesa di Santa Maria Assunta e le scuole le frequentò nella frazione, non vi era necessità di spostarsi nella sede comunale di Santo Stefano d’Aveto, seppure fosse distante solo un paio di chilometri.

Tempi spensierati: quando non è impegnato nello studio e nel lavoro dei campi a fianco di papà Vittorio, Albino trova il tempo per coltivare la sua passione per il disegno, che non lo lascerà mai. Genova è lontana, Roma ancora di più. La politica da lassù è solo il suono confuso di discorsi distanti. Fino a che nella vita di tutti non irrompe la guerra.

Vittorio e Caterina devono salutare cinque figli maschi, chiamati al fronte. Ad Albino tocca l’uniforme da carabiniere: sta per compiere venti anni quando, il 1° marzo 1940, viene incorporato come ausiliario “a piedi” presso la Legione Allievi di Roma, per svolgere la ferma ordinaria di leva, che sarebbe dovuta durare 18 mesi. Gli alamari li riceve tre mesi dopo, e viene destinato alla Legione di Messina.

Passa un anno, viene “trattenuto alle armi” come disposto dal Ministero della Guerra ed è tempo di un nuovo trasferimento: a Napoli, dove è istituito il XX Battaglione Mobilitato. Si va verso terre lontane, sconosciute, così distanti nei paesaggi e nella lingua dalla sua Val d’Aveto. Nel settembre 1941 lo attendono i Balcani: Zagabria, Spalato. E in quei luoghi lontani e martoriati dalla guerra, il ricordo di casa si fa più acuto, come scriverà nel giorno di Natale: «Nell’ora solenne un pensiero si leva tra la nostalgia, sognando tanti ricordi. Salgono dall’ umili chiesette le preghiere più dilette, invocando la Pace e la benedizione sui figli assenti, ma che saranno anch’ essi presenti a festeggiare le Notti dei Natali più lieti».

Anche qui vi è una chiesa che lo rimanda a quella ove da bambino e ragazzo prese i Sacramenti. Lo scriverà in una lettera ai genitori, il 13 maggio del 1942: «Una cosa devo dirvi che vi farà piacere, specialmente a te cara mamma, che più volte me lo hai ricordato. Sono stato ad adempiere il Precetto Pasquale, in una piccola e umile chiesetta, che proprio mi ricordava quella di Allegrezze. Tre Sacerdoti vi stavano celebrando la S. Messa e mi è sembrata una cosa strana, perché quando incontri queste persone fuori non le capisci, mentre nelle funzioni sì. È un po’ come ascoltarle lì in una delle nostre chiese. La differenza è che cantano e pregano nella loro lingua, ma comunque la formula rimane la stessa».

Dopo tanta lontananza è tempo di avvicinarsi a casa. La nuova destinazione è per fortuna non così distante dal suo borgo. La Stazione di Santa Maria del Taro, nella provincia parmense, lo riporta in luoghi per lui più familiari, e la possibilità di far visita a casa gli consente di rinfrancare i genitori. Lo sconvolgimento della guerra però permane: l’8 settembre 1943 se possibile porta ancora più confusione.

Quelli che erano nostri alleati ora sono diventati coloro verso cui le forze armate italiane “reagiranno a eventuali attacchi”, come proclama il nuovo Capo del Governo, Generale Badoglio, nell’annunciare l’”armistizio breve”. Quattro giorni dopo un reparto di paracadutisti tedeschi comandato dal maggiore Harald-Otto Morslibera Mussolini dalla detenzione presso un albergo di Campo Imperatore, sul Gran Sasso.

Il 23 settembre 1943 sarà insediato a capo della Repubblica Sociale Italiana (RSI) che sotto l’egida nazista controllerà il Nord-Italia, ove operano i partigiani. Questi in Valtaro, a nord della Linea Gotica, sono particolarmente attivi: si tratta di un territorio strategico, controllando il quale si ha la padronanza dello spartiacque Tosco-Emiliano, di numerosi passi e del percorso ferroviario Parma-La Spezia, utilizzato dalle truppe tedesche per il trasporto logistico tra Padania e l’importante porto militare. Il presidio di forze tedesche, supportate dalla neocostituita Guardia Nazionale Repubblicana, Brigate nere, X Mas, è ramificato sul territorio, così come vivaci sono le attività di sabotaggio e attacchi da parte dei gruppi partigiani, che nel giugno del 1944 libereranno gran parte dei comuni dell’Alta valle e alcuni comuni liguri confinanti, sì da istituire tra il giugno e il luglio successivo il Territorio Libero del Taro.

Badinell iè costretto a vivere momenti difficili quindi anche presso la piccola Stazione presso cui presta servizio. I presidi dell’Arma non vengono risparmiati. Come racconterà un suo commilitone: «Un giorno alcuni partigiani, cercando di entrare con forza nella caserma, spararono a un nostro collega. Alcuni giorni dopo la stessa caserma venne distrutta con un bomba, sempre a opera dei partigiani. Dopo quell’episodio ci ordinarono di abbandonare la caserma e di fare ritorno a casa».

Badinelli, senza una guida, sbandato, si ritira allora nella sua Allegrezze, dove conosce Albina, una giovane con la quale intreccia una affettuosa amicizia, mentre il pensiero suo e dei genitori è al fratello Marino, alpino sul fronte russo, disperso sin dal dicembre del ‘43. In tal modo si sottrae alla partecipazione alle forze della Repubblica di Salò e al “bando Graziani” (il Maresciallo ministro della difesa nazionale), serie di disposizioni che prevedonola pena di morte per i militari sbandati dopo l’8 settembre e per i giovani che si sottraggono alla leva, molti dei quali avevano ingrossato le fila della Resistenza, nonché “immediati provvedimenti anche a carico dei capi famiglia”.

Saranno proprio le forze repubblichine a segnare il destino di Albino. Siamo nell’agosto del ‘44. La Divisione Alpina “Monterosa” – mobilitata nel febbraio precedente, addestrata e armata in Germania e inviata nella zona ligure per contrastare un possibile sbarco e comunque l’avanzata degli anglo-americani e le connesse attività partigiane – insedia nel vicino villaggio di Borzonasca il Gruppo Esplorante guidato dal Maggiore Girolamo Cadelo.

All’ufficiale gli impauriti abitanti di quei villaggi affibbiano il curioso soprannome di “Caramella” per via del monocolo che è uso portare. Alla guida dei suoi uomini, uniti a truppe naziste, nei piccoli centri della Val d’Aveto e della contigua Val Trebbia vuole in particolare stanare quanti sono oggetto del Bando Graziani.

Di contro le azioni dei partigiani si fanno più ficcanti: il 27 agosto proprio nei pressi di Allegrezze è attaccata una colonna della Divisione in attività di rastrellamento, mentre è diretta alla vicina Santo Stefano. Il giovane Antonio Brizzolara, preso in ostaggio e costretto dai soldati a precedere la colonna per verificare se vi fossero partigiani, rimasti ben nascosti prima dell’attacco, verrà poi fucilato per rappresaglia. Nello scontro si contano cinque morti tra gli alpini, e uno tra i partigiani, Silvio Solimano da Santa Margherita Ligure, nome di battaglia Berto. I soldati feriti vengono trasportati nella Canonica del villaggio. La reazione di Cadelo e dei suoi è risoluta.

Ad Allegrezze il 29 agosto successivo mentre la gran parte della popolazione è in chiesa per la celebrazione della Messa per la venerata Madonna della Guardia vengono appiccati incendi alle abitazioni, poiché la comunità locale è accusata di connivenza. Posta la sua base presso la Casa Littoria nella vicina Santo Stefano d’Aveto e ammassati nella palestra come ostaggi una cinquantina di uomini, per la maggior parte sfollati, Cadelo fa affiggere nel capoluogo e frazioni i manifesti che richiedono la consegna dei militari sbandati presso il suo comando, penala fucilazione di venti ostaggi nonché l’incendio delle abitazioni di Santo Stefano.

Albino, che non ha preso parte attivamente alla Resistenza e nulla ha a che vedere con lo scontro a fuoco precedente, dopo aver raccolto informazioni su quanto sta accadendo, decide di presentarsi spontaneamente. Ai suoi familiari dice: «Se succedesse qualcosa a quegli innocenti non avrei pace. Io devo essere il primo».

Accompagnato dalla madre si reca presso la Casa Littoria, dove riferisce a Cadelo di essere un carabiniere. Il maggiore non ha dubbi sul destino del giovane: in ossequio al Bando Graziani, deve essere fucilato immediatamente. Monsignor Giuseppe Monteverde viene chiamato da un giovane del luogo, e si accosta al carabiniere, che lungo la via che lo porta – scortato dai soldati – verso il cimitero, scelto come luogo dell’esecuzione, ha la possibilità di confidarsi.

Come il Monsignore testimonierà: «Camminammo e pregammo insieme. Albino stringeva tra lemani il crocifisso, che baciò più volte. Poi, in prossimità della curva, mi riferì che perdonava i suoi uccisori. Poco dopo vennesistemato contro il muro del camposanto, e alcuni istanti primache fossero dati i colpi mortali, disse con serenità e fiducia: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno!” Poi cadde a terra sotto i tre colpi del fucile, tenendo sempre stretto a sé il crocifisso.

Un giovane seminarista a sua volta è testimone dell’uccisione, don Pietro Tassi: «Un mesto corteo formato dal Carabiniere Badinelli, con a fianco Monsignor Monteverde e alcuni militari, si dirigeva verso il cimitero. Dei colpi di arma da fuoco ruppero il silenzio, poi le grida della madre. Quando vidi che il Sacerdote che aveva assistito il giovane Albino faceva ritorno verso la chiesa, salii anche io e lui, ancora sconvolto e commosso, mi disse: “È morto sereno, perdonando ai suoi uccisori”».

Il sacrificio del carabiniere placa il Maggiore Cadelo che libera gli ostaggi. La sua esistenza terrena non durerà molto: il 27 settembre successivo, mentre era in auto fu oggetto di un agguato predisposto da tre partigiani, appostatisi nel bosco in prossimità di una curva in località Brizzolara. All’apparire dell’auto una raffica colpì l’ufficiale, seduto accanto all’autista. Cadelo fu trasportato all’ospedale di Chiavari, dove giunse cadavere.

La famiglia Badinelli dei cinque figli militari, ne pianse due caduti: Marino, disperso in Russia dal 1943, e Albino. Un signore del luogo, che all’epoca aveva dieci anni, nel ricordare che la mamma aveva accompagnato Albino presso la Casa Littoria, e si era accomiatata, fiduciosa, per tornare verso casa e lì attendere il suo ritorno, racconta che ella udì il crepitio dei colpi che finirono suo figlio e corsa verso il cimitero, ne vide il corpo straziato. Raggiunta tempo dopo nella sua casa da un Cappellano Militare, inviato dal Comando Generale dell’Arma, fu trovata seduta in un angolo della cucina, intenta a recitare il Rosario: «Prego per coloro che hanno ucciso mio figlio”.

Al carabiniere Badinelli, freddato nel fiore dei suoi 24 anni, a Santo Stefano d’Aveto è dedicata una via e la caserma sede della Stazione dell’Arma. Gli è stata conferita l’8 agosto 2017 la Medaglia d’Oro al Merito Civile, alla memoria,con la seguente motivazione: “Carabiniere effettivo alla Stazione di Santa Maria del Taro (Pr), dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, non volendo venir meno al giuramento prestato e deciso a non far parte delle milizie della Repubblica di Salò, si dava dapprima alla macchia e successivamente decideva di consegnarsi al reparto nazifascista che, come rappresaglia a un attacco subito, minacciava di trucidare venti civili inermi. Condotto davanti al plotone di esecuzione sacrificava la propria vita per salvare quella dei prigionieri. Chiaro esempio di eccezionale senso di abnegazione e di elette virtù civiche spinte fino all’estremo sacrificio. 2 settembre 1944, Santo Stefano d’Aveto (GE)”.

È in corso l’iter canonico per la Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Albino Badinelli, la cui competenza è affidata al Vescovo della Diocesi di Chiavari. Attore promotore dei lavori è il Comitato appositamente costituito.


Riferimenti bibliografici:

Tommaso Mazza, L’Amore più grande, 2015.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]