[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

177 / SETTEMBRE 2022 (CCVIII)


filosofia & religione

AKHENATON
L'enoteismo del papà DEL PAPÀ “ERETICO” DI TUTANKHAMON

di Matteo Liberti

 

Egli divenne non solo il primo idealista del mondo e il primo personaggio significativo della Storia, ma anche il primo monoteista e il primo profeta dell’internazionalismo”. È con queste parole, divenute celebri, che l’egittologo statunitense James Henry Breasted (1865-1935) descrisse Neferkheperura-Waenra, meglio noto come Akhenaton, faraone passato alla Storia dapprima come eretico e poi come rivoluzionario. Il suo merito o colpa? Aver appunto introdotto la prima forma di monoteismo di tutti i tempi, mandando in pensione ogni divinità cara agli egizi per lasciare spazio soltanto ad Aton, rappresentazione del disco solare. Un po’ troppo, per i tempi, tanto che la sua utopia risultò indigesta ai più. Finché, a negarla del tutto, ci pensò suo figlio, Tutankhamon, pronto a condannare il padre e il culto da lui introdotto a un prolungato oblio.


Circa le origini di Akhenaton, si sa che venne alla luce attorno al 1370 a.C., frutto dell’unione tra il faraone Amenofi III (grecizzazione di Amenhotep III) e la Grande sposa reale Tiy. Intorno ai vent’anni, dipartito il padre (con cui verosimilmente condivise un breve periodo di coreggenza), si ritrovò a capo del regno, incoronato con il nome di Amenofi IV. Nella gestione del potere non fu peraltro solo, facendosi coadiuvare sia dalla madre sia, soprattutto, da colei che scelse come consorte principale (o Grande sposa reale): Nefertiti, figura tanto fascinosa quanto misteriosa. «Considerata la donna più incantevole dell’antichità, sappiamo che costei rimase accanto al marito fino al XII anno di regno, quando probabilmente morì», conferma l’egittologo Fabrizio Felici Ridolfi. «Di lei si hanno poche altre notizie, in particolare sulle origini. Il nome, traducibile come “la bella è venuta”, ha fatto per esempio pensare che si trattasse di una principessa straniera, “venuta” a un certo punto in Egitto da qualche luogo lontano, ma c’è anche l’ipotesi che fosse una dama di corte».

Il faraone si contornerà poi anche di altre mogli, tra cui una sua sorella, detta dagli archeologi “Younger Lady”, con cui avrebbe generato Tutankhamon. Fu però appunto Nefertiti a governare accanto a lui, condividendone la scelta di rivoluzionare la religione egizia. Appena preso il potere, il faraone avviò quindi la progettazione di vari templi in onore di Aton, divinità solare che divenne presto uno strumento per abbattere i secolari privilegi della potente casta sacerdotale di Tebe, capitale del regno, legata al culto di altri dei.

Al tempo, al vertice del variegato pantheon egizio c’era Amon, il dio creatore, e i sacerdoti che ne amministravano templi e culto beneficiavano di importanti sovvenzioni e avevano un’influenza politica e popolare paragonabile a quella dei sovrani. Fin quando, appunto, Amenofi IV non iniziò a promuovere Aton quale divinità principale. «Tale dio, a differenza degli altri, non presentava forme antropomorfe, venendo raffigurato tramite un disco solare dotato di lunghi raggi», racconta l’esperto. «Alle estremità di tali “braccia solari” vi erano peraltro delle piccole mani, che in alcuni casi stringevano un ankh, o croce ansata, simbolo di vita». Nel quinto anno di regno, per rendere netta la sua scelta, il nuovo faraone mutò il proprio nome in Akhenaton, “colui che giova ad Aton” (mentre il precedente titolo significava “Amon è soddisfatto”), dichiarando in parallelo che la divinità solare dovesse essere adorata come vera creatrice di tutte le cose, il cui unico mediatore con gli uomini era lui stesso, senza sacerdoti di mezzo. Non bastasse, volle spostare la corte in una nuova città, fatta erigere a circa 400 km a nord di Tebe e interamente dedicata allo stesso Aton.

Akhetaton, ossia “Orizzonte di Aton”: questo il nome dato al nuovo centro urbano, la cui costruzione fu narrata in 14 steli poste attorno ai confini cittadini. L’idea del faraone era quella di “creare” un luogo in cui celebrare l’amore per il Sole e per la natura, lontano da ogni forma di violenza. Per questo, egli sarà anche considerato come uno dei primi pacifisti della Storia (non si fece tra l’altro mai raffigurare in scene di guerra o di caccia, abbondanti tra i suoi predecessori), e tale spirito si rifletté anche nelle decorazioni di palazzi e templi – ricche di fiori e animali – nonché nelle offerte “sacrificali” ad Aton, consistenti in frutta e verdura. Al centro della città, ricca di giardini e specchi d’acqua, svettava il palazzo reale con la cosiddetta “finestra delle apparizioni”, da cui Akhenaton e Nefertiti amavano affacciarsi salutando il popolo. Si trattava di un’ennesima novità, dacché fino a quel momento le mogli dei faraoni erano sempre rimaste nell’ombra, segno del fatto che la carismatica sposa aveva ormai acquisito uno status pari a quello del sovrano. «Ad Akhetaton spiccava infine il Grande tempio dedicato ad Aton, collocato nella zona Nord e caratterizzato dall’assenza del tetto, affinché i raggi del Sole, con la loro energia “generatrice”, potessero entrarvi liberamente», spiega Ridolfi.

Parallelamente al rilancio di Aton, il faraone avviò una sistematica opera di “boicottaggio” delle altre divinità, a partire naturalmente da Amon, facendone cancellare i nomi da ogni luogo e disponendo la chiusura dei templi di Karnak (odierno sito archeologico corrispondente all’area di Tebe). Tuttavia, i precedenti culti non furono totalmente proibiti: semplicemente, nella visione del faraone, presto additato dai sacerdoti come pericoloso eretico, Aton doveva spiccare sopra a ogni altra divinità. «In tal senso, pur se spesso indicato come primo monoteista di tutti i tempi, egli introdusse quello che viene chiamato “enoteismo”, consistente in un formale politeismo in cui a essere adorata era però, nei fatti, una sola divinità», riprende Ridolfi. «Gli abitanti di Akhetaton potevano per esempio tenere talismani e amuleti di altri dei, ma nella prospettiva di una religione – oggi detta “Atonismo” – al cui centro vi era appunto Aton, dio di fronte al quale tutti gli individui, gli animali, le terre e le cose erano da considerarsi uguali».

Tale visione “universalistica” (che secondo alcuni anticipò nientemeno che le istanze del Cristianesimo) è in parte riscontrabile anche nelle modalità di rappresentazione del faraone. Costui, essendo connesso al divino, parve voler infatti trascendere persino le categorie di uomo e donna, facendosi raffigurare dagli artisti di corte con tratti androgini: viso lungo, occhi a mandorla, labbra carnose, collo esile, spalle minute e fianchi larghi. E a proposito di rappresentazioni visive, nel far tabula rasa delle precedenti tradizioni, Akhenaton rivoluzionò le arti, dando vita a quella che – con riferimento ad Amarna, odierno nome di Akhetaton – è oggi chiamata “arte amarniana”.

Se alcune delle novità artistiche introdotte dal faraone eretico sopravvissero nel tempo, il suo pseudo-monoteismo attecchì invece poco o nulla, ed egli si attirò inoltre molte critiche per il fatto che, nel riformare così radicalmente i costumi egizi, perse di vista gli affari di governo. Sotto di lui, l’Egitto subì infatti l’ascesa del popolo degli Ittiti, perdendo il controllo e lo sfruttamento economico di vari territori in Asia Minore. Sempre più sotto accusa, Akhenaton sparì improvvisamente dalla scena attorno al 1334 a.C., quando aveva all’incirca quarant’anni. La sua morte, nonostante il proliferare delle ipotesi sulle possibili patologie che lo colsero, è ancora oggi avvolta dal mistero, così come la sequela di avvenimenti successivi. Si sa solo che, dopo una breve salita sul trono dei sovrani Neferneferuaton e Smenkhara (figure avvolte da più incognite che certezze), verso il 1333 a.C. toccò a Tutankhamon, che fece tornare la corte a Tebe iniziando inoltre una vasta opera di “controriforma”.

«La città di Akhetaton cadde quindi in rovina e il ricordo del sovrano che l’aveva concepita andò incontro alla damnatio memoriae», sottolinea Ridolfi. «Furono infatti smantellati i templi in onore di Aton, distrutte le statue dedicate al faraone e infine eliminato il suo nome dalle liste reali, il tutto accompagnato dalla reintroduzione delle vecchie pratiche religiose». Ed è a sigillo di ciò che Tutankhamon assunse tale nome, il cui significato è “immagine vivente di Amon”. In origine, infatti, si chiamava Tutankhaton. Mentre l’opera di Akhenaton veniva cancellata, il suo corpo, dopo una prima sepoltura nel cimitero reale di Amarna, fu trasportato nella Valle dei Re, presso l’antica Tebe, trovando “alloggio” nella tomba KV55, dove è stato ritrovato nel 1907. «Lo stile del feretro è in effetti facilmente riconducibile ad Akhenaton, il cui nome è anche presente in alcune lamine d’oro», conferma l’esperto. Prima ancora che fosse rinvenuta tale sepoltura, il faraone eretico era peraltro tornato a far parlare di sé con la scoperta dei resti dell’antica Akhetaton, i cui scavi furono avviati nel 1891 dall’archeologo inglese Flinders Petrie.

Da subito, nei confronti di tale controverso sovrano, sorse infatti un grande interesse da parte di stuoli di studiosi, pronti a riabilitarlo rimarcandone il coraggio riformatore e il ruolo di pioniere del monoteismo (che dopo di lui trovò piena espressione con l’Ebraismo), capace di indicare al mondo nuove strade da percorrere pur rimanendo, come molti profeti, a lungo inascoltato.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]