AKHENATON
											L'enoteismo del papà DEL PAPÀ 
											“ERETICO” DI TUTANKHAMON
											
										
											di 
										
										
										Matteo Liberti
											
											 
											
											
											“Egli 
											divenne non solo il primo idealista 
											del mondo e il primo personaggio 
											significativo della Storia, ma anche 
											il primo monoteista e il primo 
											profeta dell’internazionalismo”. 
											È con queste parole, divenute 
											celebri, che l’egittologo 
											statunitense James Henry Breasted (1865-1935)
											descrisse 
											Neferkheperura-Waenra, meglio noto 
											come Akhenaton, faraone passato alla 
											Storia dapprima come eretico e poi 
											come rivoluzionario. Il suo merito o 
											colpa? Aver appunto introdotto la 
											prima forma di monoteismo di tutti i 
											tempi, mandando in pensione ogni 
											divinità cara agli egizi per 
											lasciare spazio soltanto ad Aton, 
											rappresentazione del disco solare. 
											Un po’ troppo, per i tempi, tanto 
											che la sua utopia risultò indigesta 
											ai più. Finché, a negarla del tutto, 
											ci pensò suo figlio,
											
											Tutankhamon, pronto a 
											condannare il padre e il culto da 
											lui introdotto a un prolungato 
											oblio.
											
											
											
											Circa le origini di Akhenaton, si sa 
											che venne alla luce attorno al 1370 
											a.C., frutto dell’unione tra il 
											faraone Amenofi III (grecizzazione 
											di Amenhotep III) e la Grande sposa 
											reale Tiy. Intorno ai vent’anni, 
											dipartito il padre (con cui 
											verosimilmente condivise un breve 
											periodo di coreggenza), si ritrovò a 
											capo del regno, incoronato con il 
											nome di Amenofi IV. Nella gestione 
											del potere non fu peraltro solo, 
											facendosi coadiuvare sia dalla madre 
											sia, soprattutto, da colei che 
											scelse come consorte principale (o 
											Grande sposa reale): Nefertiti, 
											figura tanto fascinosa quanto 
											misteriosa. «Considerata la donna 
											più incantevole dell’antichità, 
											sappiamo che costei rimase accanto 
											al marito fino al XII anno di regno, 
											quando probabilmente morì», conferma 
											l’egittologo Fabrizio Felici Ridolfi. 
											«Di lei si hanno poche altre 
											notizie, in particolare sulle 
											origini. Il nome, traducibile come 
											“la bella è venuta”, ha fatto per 
											esempio pensare che si trattasse di 
											una principessa straniera, “venuta” 
											a un certo punto in Egitto da 
											qualche luogo lontano, ma c’è anche 
											l’ipotesi che fosse una dama di 
											corte».
											
											Il faraone si contornerà poi anche 
											di altre mogli, tra cui una sua 
											sorella, detta dagli archeologi 
											“Younger Lady”, con cui avrebbe 
											generato Tutankhamon. Fu però 
											appunto Nefertiti a governare 
											accanto a lui, condividendone la 
											scelta di rivoluzionare la religione 
											egizia. Appena preso il potere, il 
											faraone avviò quindi la 
											progettazione di vari templi in 
											onore di Aton, divinità solare che 
											divenne presto uno strumento per 
											abbattere i secolari privilegi della 
											potente casta sacerdotale di Tebe, 
											capitale del regno, legata al culto 
											di altri dei.
											
											Al tempo, al vertice del variegato 
											pantheon egizio c’era Amon, il dio 
											creatore, e i sacerdoti che ne 
											amministravano templi e culto 
											beneficiavano di importanti 
											sovvenzioni e avevano un’influenza 
											politica e popolare paragonabile a 
											quella dei sovrani. Fin quando, 
											appunto, Amenofi IV non iniziò a 
											promuovere Aton quale divinità 
											principale. «Tale dio, a differenza 
											degli altri, non presentava forme 
											antropomorfe, venendo raffigurato 
											tramite un disco solare dotato di 
											lunghi raggi», racconta l’esperto. 
											«Alle estremità di tali “braccia 
											solari” vi erano peraltro delle 
											piccole mani, che in alcuni casi 
											stringevano un ankh, o croce ansata, 
											simbolo di vita». Nel quinto anno di 
											regno, per rendere netta la sua 
											scelta, il nuovo faraone mutò il 
											proprio nome in Akhenaton, “colui 
											che giova ad Aton” (mentre il 
											precedente titolo significava “Amon 
											è soddisfatto”), dichiarando in 
											parallelo che la divinità solare 
											dovesse essere adorata come vera 
											creatrice di tutte le cose, il cui 
											unico mediatore con gli uomini era 
											lui stesso, senza sacerdoti di 
											mezzo. Non bastasse, volle spostare 
											la corte in una nuova città, fatta 
											erigere a circa 400 km a nord di 
											Tebe e interamente dedicata allo 
											stesso Aton.
											
											Akhetaton, ossia “Orizzonte di Aton”: 
											questo il nome dato al nuovo centro 
											urbano, la cui costruzione fu 
											narrata in 14 steli poste attorno ai 
											confini cittadini. L’idea del 
											faraone era quella di “creare” un 
											luogo in cui celebrare l’amore per 
											il Sole e per la natura, lontano da 
											ogni forma di violenza. Per questo, 
											egli sarà anche considerato come uno 
											dei primi pacifisti della Storia 
											(non si fece tra l’altro mai 
											raffigurare in scene di guerra o di 
											caccia, abbondanti tra i suoi 
											predecessori), e tale spirito si 
											rifletté anche nelle decorazioni di 
											palazzi e templi – ricche di fiori e 
											animali – nonché nelle offerte 
											“sacrificali” ad Aton, consistenti 
											in frutta e verdura. Al centro della 
											città, ricca di giardini e specchi 
											d’acqua, svettava il palazzo reale 
											con la cosiddetta “finestra delle 
											apparizioni”, da cui Akhenaton e 
											Nefertiti amavano affacciarsi 
											salutando il popolo. Si trattava di 
											un’ennesima novità, dacché fino a 
											quel momento le mogli dei faraoni 
											erano sempre rimaste nell’ombra, 
											segno del fatto che la carismatica 
											sposa aveva ormai acquisito uno 
											status pari a quello del sovrano. 
											«Ad Akhetaton spiccava infine il 
											Grande tempio dedicato ad Aton, 
											collocato nella zona Nord e 
											caratterizzato dall’assenza del 
											tetto, affinché i raggi del Sole, 
											con la loro energia “generatrice”, 
											potessero entrarvi liberamente», 
											spiega Ridolfi.
											
											Parallelamente al rilancio di Aton, 
											il faraone avviò una sistematica 
											opera di “boicottaggio” delle altre 
											divinità, a partire naturalmente da 
											Amon, facendone cancellare i nomi da 
											ogni luogo e disponendo la chiusura 
											dei templi di Karnak (odierno sito 
											archeologico corrispondente all’area 
											di Tebe). Tuttavia, i precedenti 
											culti non furono totalmente 
											proibiti: semplicemente, nella 
											visione del faraone, presto additato 
											dai sacerdoti come pericoloso 
											eretico, Aton doveva spiccare sopra 
											a ogni altra divinità. «In tal 
											senso, pur se spesso indicato come 
											primo monoteista di tutti i tempi, 
											egli introdusse quello che viene 
											chiamato “enoteismo”, consistente in 
											un formale politeismo in cui a 
											essere adorata era però, nei fatti, 
											una sola divinità», riprende Ridolfi. 
											«Gli abitanti di Akhetaton potevano 
											per esempio tenere talismani e 
											amuleti di altri dei, ma nella 
											prospettiva di una religione – oggi 
											detta “Atonismo” – al cui centro vi 
											era appunto Aton, dio di fronte al 
											quale tutti gli individui, gli 
											animali, le terre e le cose erano da 
											considerarsi uguali».
											
											Tale visione “universalistica” (che 
											secondo alcuni anticipò nientemeno 
											che le istanze del Cristianesimo) è 
											in parte riscontrabile anche nelle 
											modalità di rappresentazione del 
											faraone. Costui, essendo connesso al 
											divino, parve voler infatti 
											trascendere persino le categorie di 
											uomo e donna, facendosi raffigurare 
											dagli artisti di corte con tratti 
											androgini: viso lungo, occhi a 
											mandorla, labbra carnose, collo 
											esile, spalle minute e fianchi 
											larghi. E a proposito di 
											rappresentazioni visive, nel far 
											tabula rasa delle precedenti 
											tradizioni, Akhenaton rivoluzionò le 
											arti, dando vita a quella che – con 
											riferimento ad Amarna, odierno nome 
											di Akhetaton – è oggi chiamata “arte 
											amarniana”.
											
											Se alcune delle novità artistiche 
											introdotte dal faraone eretico 
											sopravvissero nel tempo, il suo 
											pseudo-monoteismo attecchì invece 
											poco o nulla, ed egli si attirò 
											inoltre molte critiche per il fatto 
											che, nel riformare così radicalmente 
											i costumi egizi, perse di vista gli 
											affari di governo. Sotto di lui, 
											l’Egitto subì infatti l’ascesa del 
											popolo degli Ittiti, perdendo il 
											controllo e lo sfruttamento 
											economico di vari territori in Asia 
											Minore. Sempre più sotto accusa, 
											Akhenaton sparì improvvisamente 
											dalla scena attorno al 1334 a.C., 
											quando aveva all’incirca 
											quarant’anni. La sua morte, 
											nonostante il proliferare delle 
											ipotesi sulle possibili patologie 
											che lo colsero, è ancora oggi 
											avvolta dal mistero, così come la 
											sequela di avvenimenti successivi. 
											Si sa solo che, dopo una breve 
											salita sul trono dei sovrani 
											Neferneferuaton e Smenkhara (figure 
											avvolte da più incognite che 
											certezze), verso il 1333 a.C. toccò 
											a Tutankhamon, che fece tornare la 
											corte a Tebe iniziando inoltre una 
											vasta opera di “controriforma”.
											
											«La città di Akhetaton cadde quindi 
											in rovina e il ricordo del sovrano 
											che l’aveva concepita andò incontro 
											alla damnatio memoriae», sottolinea 
											Ridolfi. «Furono infatti smantellati 
											i templi in onore di Aton, distrutte 
											le statue dedicate al faraone e 
											infine eliminato il suo nome dalle 
											liste reali, il tutto accompagnato 
											dalla reintroduzione delle vecchie 
											pratiche religiose». Ed è a sigillo 
											di ciò che Tutankhamon assunse tale 
											nome, il cui significato è “immagine 
											vivente di Amon”. In origine, 
											infatti, si chiamava Tutankhaton. 
											Mentre l’opera di Akhenaton veniva 
											cancellata, il suo corpo, dopo una 
											prima sepoltura nel cimitero reale 
											di Amarna, fu trasportato nella 
											Valle dei Re, presso l’antica Tebe, 
											trovando “alloggio” nella tomba 
											KV55, dove è stato ritrovato nel 
											1907. «Lo stile del feretro è in 
											effetti facilmente riconducibile ad 
											Akhenaton, il cui nome è anche 
											presente in alcune lamine d’oro», 
											conferma l’esperto. Prima ancora che 
											fosse rinvenuta tale sepoltura, il 
											faraone eretico era peraltro tornato 
											a far parlare di sé con la scoperta 
											dei resti dell’antica Akhetaton, i 
											cui scavi furono avviati nel 1891 
											dall’archeologo inglese Flinders 
											Petrie.
											
											Da subito, nei confronti di tale 
											controverso sovrano, sorse infatti 
											un grande interesse da parte di 
											stuoli di studiosi, pronti a 
											riabilitarlo rimarcandone il 
											coraggio riformatore e il ruolo di 
											pioniere del monoteismo (che dopo di 
											lui trovò piena espressione con 
											l’Ebraismo), capace di indicare al 
											mondo nuove strade da percorrere pur 
											rimanendo, come molti profeti, a 
											lungo inascoltato.