Sul finire della seconda guerra
mondiale, il grande Impero
Giapponese si trovava ormai con le
proverbiali spalle al muro. La
guerra in Europa era ormai giunta al
termine e gli Alleati poterono
concentrare gli sforzi completamente
sul pacifico, costringendo
l’Esercito e la Marina Giapponesi a
indietreggiare.
Dopo la conquista di Saipan da parte
degli americani e l’ingresso sullo
scenario del fronte del Pacifico dei
bombardieri lungo raggio B29
Superfortress, gli alti comandi
delle Forze Armate Giapponesi furono
costretti a ricorrere a disperate
contromisure. Tali contromisure
presero forma nel luglio del 1944,
quando il viceammiraglio Masafumi
Arima (25 settembre 1895 – ottobre
1944), durante la battaglia aerea di
Formosa, si tolse i gradi,
proclamando che non sarebbe tornato
vivo e prese il comando di un
convoglio suicida con l’obiettivo di
colpire la US Navy Task Force 38.
Nonostante le fonti siano discordi
sulla riuscita dell’attacco di Arima,
il Viceammiraglio è stato dichiarato
dalla propaganda della Marina
Giapponese come primo Kamikaze ed
eroe dell’Impero.
Successivamente all’invasione delle
Filippine da parte degli Stati
Uniti, fu il Viceammiraglio Takijiro
Onishi, comandante in capo della 1ͣ
Flotta Aerea, il primo a proporre
ufficialmente l’utilizzo di attacchi
suicidi contro la flotta
statunitense, consapevole
dell’inferiorità numerica e
tecnologica in cui versavano le
forze armate nipponiche.
Il Viceammiraglio Onishi lanciò il
primo attacco kamikaze tramite dei
caccia Mitsubishi A6M, noti anche
come Zero, il 25 ottobre del 1944
durante la battaglia del Golfo di
Leyte, durante il quale i kamikaze
giapponesi affondarono la USS St.
Lo.
Tuttavia, l’utilizzo di caccia Zero
come bombe pilotate risultava troppo
dispendioso per le industrie
giapponesi, già provate dallo sforzo
bellico, creando quindi la necessità
di fornire un velivolo dalla facile
costruzione e dal facile utilizzo.
Nacque così, a opera del Primo
Arsenale Tecnico Aeronavale della
Marina Giapponese, lo Yokosuka
MXY-7 Ohka.
Costruito nell’Arsenale Aeronavale
della città di Yokosuka, dove il
velivolo era stato progettato, e
nell’Arsenale Aeronavale di
Kasumigaura, l’Ohka
venne sviluppato in numerose
varianti, ma l’unica di esse a
vedere un effettivo utilizzo sul
campo di battaglia fu il modello
Type 11, di cui vennero
costruiti quasi 800 esemplari.
Il nome stesso era simbolico.
Ohka in giapponese significa
bocciolo di ciliegio, a
simboleggiare il sacrificio del
pilota che, una volta sganciatosi
dalla carlinga del bombardiere che
lo portava, avrebbe iniziato un
viaggio di sola andata, come il
bocciolo di ciliegio che si stacca
dall’albero.
Capace di volare a una velocità che
poteva arrivare a sfiorare i 1000
km/h, il Type 11 era
lungo solo 6 metri, con un’apertura
alare di appena 5 metri, con tutti
gli strumenti necessari per
garantire il volo, anche se
rudimentali, ma nessuno strumento
per consentire l’atterraggio.
Anche i materiali erano alquanto
economici. La carenatura del
velivolo era in fogli di alluminio,
mentre la struttura e le ali erano
in legno, rendendo l’aereo
estremamente leggero ed economico da
costruire.
Il Type 11 montava un
motore a razzo che garantiva
un’autonomia estremamente limitata,
tanto da dover essere trasportato
con un Mitsubishi G4M, bombardiere
medio della Marina Giapponese,
estremamente vicino all’obiettivo
dove, una volta sganciato, puntava
alle navi statunitensi con una
testata di 1200 kg montata sulla
parte anteriore del velivolo.
Nella pratica, i bombardieri
giapponesi venivano abbattuti molto
prima che i bersagli potessero
essere avvicinati a distanza di
tiro. Per risolvere tale
problematica, il Primo Arsenale
Aeronavale ideò un modello di
Ohka successivo al
Type 11, denominato
Type 22.
Il Type 22 montava un
motoreattore Ishikawajima Tsu-11,
prodotto dalle Ishikawajima-Harima
Heavy Industries su base Hitachi
Hatsukaze, quarto motore costruito
dalle Hitachi Industries. Il
Type 22 montava una bomba
più piccola, attorno ai 600 kg, ed
era stato costruito con delle ali
più ridotte, rendendolo
trasportabile con lo Yokosuka P1Y1,
il bombardiere successore del G4M.
Numerosi furono i prototipi
sviluppati per rispondere alle più
disparate necessità della Marina
Giapponese, anche se nessuno di essi
venne impiegato in teatro operativo.
Venne ideato anche un modello adatto
a essere lanciato da un sottomarino
armato di catapulta lancia-aerei.
Gli Ohka videro il
loro primo successo il 12 aprile
1945, quando un Type 11 colpì e
affondò la USS Mannert L. Abele,
spezzandola in due con la forza
dell’esplosione. Nella stessa data
la USS Jeffers subisce un attacco da
un Type 11, riuscendo tuttavia ad
abbatterlo prima che esso riuscisse
a colpire l’imbarcazione, subendo
tuttavia ingenti danni.
L’utilizzo di questi nuovi velivoli
e il sacrificio di molti giovani
piloti non portò a nessun risultato.
L’effetto sperato dagli alti comandi
giapponesi non si realizzò, e la
sconfitta continuò ad avvicinarsi
all’Impero, fino a sopraggiungere
nell’agosto del 1945 con la resa
incondizionata alle forze alleate.
Lo spreco di vita e di risorse messo
in atto dalle unità Kamikaze
giapponesi portò i militari
americani a indicare tali piloti con
il termine giapponese Baka,
ovvero “stupido”.
Al giorno d’oggi è possibile
osservare degli Ohka
sopravvissuti alla guerra al
Kawaguchiko Motor Museum,
situato a Narusawa, villaggio della
prefettura di Yamanashi, nonché in
numerosi musei britannici e
statunitensi.
Riferimenti bibliografici