[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 206 / FEBBRAIO 2025 (CCXXXVII)


contemporanea

SULL'AEREO DEI KAMIKAZE

Yokosuka MXY-7 Ohka, "FIORE DI CILIEGIO"
di Giovanni Lombardi

 

Sul finire della seconda guerra mondiale, il grande Impero Giapponese si trovava ormai con le proverbiali spalle al muro. La guerra in Europa era ormai giunta al termine e gli Alleati poterono concentrare gli sforzi completamente sul pacifico, costringendo l’Esercito e la Marina Giapponesi a indietreggiare.

 

Dopo la conquista di Saipan da parte degli americani e l’ingresso sullo scenario del fronte del Pacifico dei bombardieri lungo raggio B29 Superfortress, gli alti comandi delle Forze Armate Giapponesi furono costretti a ricorrere a disperate contromisure. Tali contromisure presero forma nel luglio del 1944, quando il viceammiraglio Masafumi Arima (25 settembre 1895 – ottobre 1944), durante la battaglia aerea di Formosa, si tolse i gradi, proclamando che non sarebbe tornato vivo e prese il comando di un convoglio suicida con l’obiettivo di colpire la US Navy Task Force 38.

 

Nonostante le fonti siano discordi sulla riuscita dell’attacco di Arima, il Viceammiraglio è stato dichiarato dalla propaganda della Marina Giapponese come primo Kamikaze ed eroe dell’Impero.

 

Successivamente all’invasione delle Filippine da parte degli Stati Uniti, fu il Viceammiraglio Takijiro Onishi, comandante in capo della 1ͣ Flotta Aerea, il primo a proporre ufficialmente l’utilizzo di attacchi suicidi contro la flotta statunitense, consapevole dell’inferiorità numerica e tecnologica in cui versavano le forze armate nipponiche.

 

Il Viceammiraglio Onishi lanciò il primo attacco kamikaze tramite dei caccia Mitsubishi A6M, noti anche come Zero, il 25 ottobre del 1944 durante la battaglia del Golfo di Leyte, durante il quale i kamikaze giapponesi affondarono la USS St. Lo.

 

Tuttavia, l’utilizzo di caccia Zero come bombe pilotate risultava troppo dispendioso per le industrie giapponesi, già provate dallo sforzo bellico, creando quindi la necessità di fornire un velivolo dalla facile costruzione e dal facile utilizzo. Nacque così, a opera del Primo Arsenale Tecnico Aeronavale della Marina Giapponese, lo Yokosuka MXY-7 Ohka.

 

Costruito nell’Arsenale Aeronavale della città di Yokosuka, dove il velivolo era stato progettato, e nell’Arsenale Aeronavale di Kasumigaura, l’Ohka venne sviluppato in numerose varianti, ma l’unica di esse a vedere un effettivo utilizzo sul campo di battaglia fu il modello Type 11, di cui vennero costruiti quasi 800 esemplari.

 

Il nome stesso era simbolico. Ohka in giapponese significa bocciolo di ciliegio, a simboleggiare il sacrificio del pilota che, una volta sganciatosi dalla carlinga del bombardiere che lo portava, avrebbe iniziato un viaggio di sola andata, come il bocciolo di ciliegio che si stacca dall’albero.

 

Capace di volare a una velocità che poteva arrivare a sfiorare i 1000 km/h, il Type 11 era lungo solo 6 metri, con un’apertura alare di appena 5 metri, con tutti gli strumenti necessari per garantire il volo, anche se rudimentali, ma nessuno strumento per consentire l’atterraggio.

 

Anche i materiali erano alquanto economici. La carenatura del velivolo era in fogli di alluminio, mentre la struttura e le ali erano in legno, rendendo l’aereo estremamente leggero ed economico da costruire.

 

Il Type 11 montava un motore a razzo che garantiva un’autonomia estremamente limitata, tanto da dover essere trasportato con un Mitsubishi G4M, bombardiere medio della Marina Giapponese, estremamente vicino all’obiettivo dove, una volta sganciato, puntava alle navi statunitensi con una testata di 1200 kg montata sulla parte anteriore del velivolo.

 

Nella pratica, i bombardieri giapponesi venivano abbattuti molto prima che i bersagli potessero essere avvicinati a distanza di tiro. Per risolvere tale problematica, il Primo Arsenale Aeronavale ideò un modello di Ohka successivo al Type 11, denominato Type 22.

 

Il Type 22 montava un motoreattore Ishikawajima Tsu-11, prodotto dalle Ishikawajima-Harima Heavy Industries su base Hitachi Hatsukaze, quarto motore costruito dalle Hitachi Industries. Il Type 22 montava una bomba più piccola, attorno ai 600 kg, ed era stato costruito con delle ali più ridotte, rendendolo trasportabile con lo Yokosuka P1Y1, il bombardiere successore del G4M.

 

Numerosi furono i prototipi sviluppati per rispondere alle più disparate necessità della Marina Giapponese, anche se nessuno di essi venne impiegato in teatro operativo. Venne ideato anche un modello adatto a essere lanciato da un sottomarino armato di catapulta lancia-aerei.

 

Gli Ohka videro il loro primo successo il 12 aprile 1945, quando un Type 11 colpì e affondò la USS Mannert L. Abele, spezzandola in due con la forza dell’esplosione. Nella stessa data la USS Jeffers subisce un attacco da un Type 11, riuscendo tuttavia ad abbatterlo prima che esso riuscisse a colpire l’imbarcazione, subendo tuttavia ingenti danni.

 

L’utilizzo di questi nuovi velivoli e il sacrificio di molti giovani piloti non portò a nessun risultato. L’effetto sperato dagli alti comandi giapponesi non si realizzò, e la sconfitta continuò ad avvicinarsi all’Impero, fino a sopraggiungere nell’agosto del 1945 con la resa incondizionata alle forze alleate. Lo spreco di vita e di risorse messo in atto dalle unità Kamikaze giapponesi portò i militari americani a indicare tali piloti con il termine giapponese Baka, ovvero “stupido”.

 

Al giorno d’oggi è possibile osservare degli Ohka sopravvissuti alla guerra al Kawaguchiko Motor Museum, situato a Narusawa, villaggio della prefettura di Yamanashi, nonché in numerosi musei britannici e statunitensi.

 

 

Riferimenti bibliografici

 

AA.VV. (2002), The Divine Wind: Japan’s Kamikaze Force in World War II. US Naval Institute Press, Annapolis (MD).

FRANCILLION RENÉ (1979), “Japanese Aircraft of the Pacific War, 2nd edition”, Putnam & Company Ltd., Londra.

MIKESH ROBERT, SHORZOE ABE (1990), “Japanese Aircraft 1910-1941”, Putnam Aeronautical Books, Londra.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]